Gabriele Gatti
Un mondo in forma di biblioteca.
Leggere/consultare nel paesaggio elettronico

Journée d'études Littérature et réseaux informatiques, Paris, 21 novembre 1997.


Abstract - Testo - Bibliografia


Un monde en forme de bibliothèque.
Lire/consulter dans le paysage électronique

De l'automatisation des catalogues à la réforme des services d'orientation bibliographique, les applications informatiques dans la bibliothèque ont été en grande partie orientées en vue de répondre à l'exigence du «contrôle bibliographique universel». En se servant des nouvelles technologies comme extension des «salles de consultation», les bibliothécaires ont d'une certaine façon accentué leur rôle d'intermédiaire de l'information. Mais la simplification des interfaces et l'expansion de la «connectivité» télématique provoquent désormais un phénomène inverse de «désintermédiation». De nouveaux rapports directs sont devenus possibles entre l'usager et les sources électroniques de l'information, mais ceux-ci se trouvent d'emblée confrontés à un ensemble de problèmes liés à ce qu'il est convenu d'appeler la «surcharge informationnelle», représentée de façon emblématique par les résultats pléthoriques des «moteurs de recherche». En outre, la désintermédiation a pour effet de faciliter la production documentaire qui, passant outre les filtres éditoriaux traditionnels, contribue à cette surcharge informationnelle.

D'autre part, la diffusion des outils électroniques et en particulier d'Internet dessine un monde «en forme de bibliothèque» au sein duquel un public toujours plus vaste se familiarise avec des concepts (catalogage, indexation, bruit/silence, etc.) qui font partie depuis toujours du bagage disciplinaire et technique des bibliothécaires et d'une culture bibliographique traditionnellement peu répandue en Italie. Ce phénomène représente une occasion à saisir aussi bien sur le plan de la culture en général - pour la didactique et, en bibliothèque, dans le cadre de la formation de l'usager («user education») - que sur le plan plus spécifique des études littéraires: il semble qu'on assiste à une réévaluation des modalités systématiques d'analyse et de «consultation» qui avaient peut-être été négligées auparavant.

De ce point de vue, on peut souhaiter l'émergence, dans le cadre universitaire en particulier, d'une synergie culturelle entre les activités éditoriales électroniques et les bibliothèques, s'attachant aux modalités par lesquelles une masse croissante de travail créatif et critique est introduit dans un circuit de communication déjà encombré. Rendre bibliographiquement contrôlable (c'est-à-dire «consultable» en plus de «lisible») ce patrimoine documentaire au moment même où il est produit, le doter au départ d'un antidote à la surcharge informationnelle, signifie le rendre d'autant plus précieux à la communauté des chercheurs. Cette construction commune, graduelle, d'un futur grand répertoire bibliographique ne peut s'appuyer exclusivement sur les standards techniques, mais implique aussi une attention «stylistique» plus générale aux formes de présentation et d'organisation des informations et des documents.

[Traduction française de R. Couture]


Gabriele Gatti (Università di Siena)
Un mondo in forma di biblioteca.
Leggere/consultare nel paesaggio elettronico

 

Quantunque allontanato non si fosse mai da Firenze che alcune miglia, venne a capo [...] di conoscere meglio di qualunque altro tutti i depositi letterarj, e la sua memoria prodigiosa glie li rendeva sempre presenti. Si narra intorno a ciò che un giorno avendogli il Granduca chiesta un'opera sommamente rara, Magliabechi gli rispose: «Signore, è impossibile di procurarvela: non ve n'è in tutto il mondo che un solo esemplare il quale è a Costantinopoli nella biblioteca del Gran Signore; è il settimo volume del secondo armadio dal lato destro entrando».

WEISS, Antonio Magliabechi. In: Biografia universale antica e moderna. Venezia, 1822-1832.

[1] Molto prima che i supporti elettronici pervadessero gran parte delle attività sociali e dell'immaginario collettivo e che Internet diventasse un mezzo di comunicazione di massa, il rapporto fra le biblioteche, l'informatica e la telematica era già aperto.

Lungo tutta una sua prima fase questo rapporto si è incentrato quasi esclusivamente sul tema dell'automazione dei cataloghi, mostrando da subito come, nonostante le contraddizioni e i ritardi, la relazione tra questo tipo di tecnologia e le biblioteche fosse fisiologica: l'informatica rispondeva proprio ad alcune delle fondamentali esigenze e difficoltà del pensiero catalografico consentendo di moltiplicare le possibilità di indicizzazione ed accesso ai documenti e potenziando quindi l'efficacia dei cataloghi. Ma si può anche pensare - più in generale - che l'informatica e la telematica abbiano fornito una risposta definitiva all'antico sogno umanistico del "controllo bibliografico universale": quello di Gesner, come quello che spingeva il bibliotecario Leibniz a immaginare una enciclopedia universale costituita dalla fusione dei cataloghi a soggetto delle più importanti biblioteche del mondo.

Le migliaia di OPAC (Online Public Access Catalogue) attualmente consultabili via Internet rappresentano in qualche modo una realizzazione del sogno leibniziano e gesneriano, e la tendenza di questi sistemi ad uniformarsi a standard come WWW e soprattutto Z39.50 [Scolari], che consente la consultazione contemporanea di cataloghi diversi, sembra rispondere proprio alla necessità di ridurre ulteriormente la distanza rispetto a quel modello ideale.

La realtà dei cataloghi bibliotecari in rete è invero molto più complessa. L'utente che passi in rassegna, ad esempio, i circa duecento OPAC italiani attualmente accessibili - tutti censiti in un apposito repertorio (http://www.aib.it/aib/lis/opac1.htm) consultabile nel sito dell'Associazione Italiana Biblioteche - avrà modo di notare le cautele necessarie per un buon uso di questi strumenti. Balzeranno subito all'occhio gli aspetti tecnici: le diverse procedure di accesso (http, telnet, tn3270, uso di proxies, richieste di password, eccetera) e la varietà di sistemi di consultazione (comandi, tasti speciali, maschere di ricerca, bottoni, operatori logici, troncamenti, eccetera) dipendenti dall'eterogeneità del software impiegato nelle varie biblioteche.

Ma più che dalle complicazioni informatiche, le cautele sono suggerite da una serie di considerazioni tutt'altro che tecnologiche. Bisognerà ovviamente tenere presente la disomogeneità delle scelte catalografiche - specialmente per l'aspetto semantico - e la loro stratificazione anche all'interno di ogni singolo catalogo. Inoltre è fondamentale la considerazione storica sui tempi e le modalità di avvio dell'automazione bibliotecaria nelle diverse istituzioni italiane: in base a questa si spiegheranno la diseguale distribuzione geografica (con una netta prevalenza del centro-nord) e tipologica (la maggior parte degli OPAC sono universitari) delle biblioteche in rete e l'ampiezza di gamma degli OPAC, che possono rappresentare singole raccolte documentarie o cataloghi collettivi di numerose biblioteche cooperanti su base istituzionale, territoriale o tematica; si noterà poi il frequente scollamento tra il prestigio, le dimensioni, la specificità di una biblioteca e la rappresentatività del suo OPAC, che a volte dà conto solo di una percentuale esigua del reale patrimonio, relativa alle acquisizioni più recenti. Infine, occorrerà misurare lo scarto, a volte notevole, fra la prossimità illusoria dell'OPAC e la distanza reale dei servizi bibliotecari italiani. Si verificherà allora, ad esempio, un triste parallelismo tra la memoria elettronica degli OPAC e la memoria erudita del vecchio Magliabechi ricordata in epigrafe: gli OPAC ci consentono di localizzare facilmente libri distanti, ma la scarsità di autentici servizi di prestito interbibliotecario nel nostro paese ci impedisce di procurarceli.

E' dunque necessario un approccio critico: il panorama delle biblioteche in rete è molto più accidentato ed eterogeneo di quanto possa sembrare a prima vista; ma rispetto all'esiguo patrimonio di testi digitalizzati oggi disponibili, l'informazione bibliografica di riferimento rappresentata dagli OPAC costituisce comunque la porzione più cospicua della presunta "biblioteca virtuale" di Internet e forse il più evidentemente tangibile fra i prodotti del felice connubio tra informatica e biblioteche.

Dopo la prima fase dell'automazione bibliotecaria, questo rapporto si è andato consolidando su un altro fronte, che è quello del potenziamento dei servizi di reference, di informazione e consulenza bibliografica al pubblico. Dopo essere entrata in biblioteca dal lato dei cataloghi, l'informatica è passata anche dal lato delle "sale di consultazione" e come gli OPAC hanno affiancato o sostituito gli schedari, le banche dati bibliografiche e fattuali si sono presentate come nuovi, più agili e ricchi ouvrages de référence.

In effetti, le banche dati sono entrate in biblioteca in primo luogo come versioni elettroniche di strumenti di riferimento, di enciclopedie, di repertori bibliografici e si sono naturalmente presentate come espansione delle nostre sale di consultazione e dei nostri servizi di consulenza al pubblico. In Italia, la disponibilità di questi nuovi strumenti è servita spesso come spunto per istituire un reference service: infatti la tradizione biblioteconomica italiana ha storicamente trascurato questo che viene considerato altrove (in particolare nel mondo anglosassone) come un elemento fondamentale fra i servizi di una biblioteca. La sala di consultazione della biblioteca italiana ha avuto spesso la tendenza a trasformarsi in "sala riservata", mentre il suo ruolo doveva essere proprio quello non di restringere, ma di ampliare le possibilità di accesso generale alle informazioni e di fornire i presupposti per la ricerca. E' infatti nella reference, intesa complessivamente come patrimonio di opere di consultazione e attività di orientamento esperto, che si affronta in biblioteca quella fondamentale distinzione tra catalogo e bibliografia, tra informazione primaria e secondaria, insomma tra i documenti "posseduti" e i documenti esistenti. E su questo si misura il "controllo bibliografico universale", che ovviamente travalica il limite fisico del patrimonio della singola biblioteca e quello tipologico delle sole monografie generalmente reperibili in un catalogo, investendo nella ricerca strumenti e metodi diversi, come lo spoglio dei periodici, la ricognizione della letteratura grigia o l'indicizzazione spinta (es.: abstract) delle risorse bibliografiche.

Dal punto di vista dell'utente, è evidente come la disponibilità di cataloghi remoti porti non solo ad una agevolazione nel lavoro di ricerca, ma anche ad un certo mutamento concettuale: basti pensare a come la consultazione di OPAC particolarmente grandi o particolarmente specializzati possa scardinare in qualche misura la stessa distinzione tra catalogo e bibliografia, mettendo a volte il ricercatore in condizione di ricostruire un universo bibliografico pressoché completo su un certo soggetto, ricavandolo dagli scaffali di una biblioteca remota che resterà comunque fisicamente inattingibile.

Ma più in generale, la struttura stessa delle basi di dati, siano esse "catalografiche" (riferite ad una specifica raccolta di documenti) o "bibliografiche" (tendenzialmente riferite ad un intero universo documentario, a prescindere dalla sua collocazione fisica) incide sul modo di lavorare del ricercatore. La ricerca bibliografica, con tutte le sue conseguenze scientifiche e culturali, oltre che su una serie di fattori stocastici si basa fondamentalmente su un'operazione di mediazione intellettuale fra l'idea del ricercatore e l'organizzazione repertoriale delle informazioni: le "voci" di un indice, in sostanza, più o meno "larghe" o "strette" e più o meno capaci di mettere in contatto i diversi concetti investiti dalla ricerca. La molteplicità delle chiavi di ricerca, propria di un archivio elettronico, supera e insieme articola questa impasse consentendo di indicizzare ogni singolo elemento informativo: il sistema di classificazione o soggettazione proprio del "repertorio" o "catalogo" elettronico non è più il solo, rigido criterio di selezione delle informazioni bibliografiche e la banca dati si presenta come una sorta di "concordanza di sé stessa", permettendo di rintracciare ogni documento in cui l'argomento indagato sia trattato anche solo obliquamente o da un'angolazione imprevista.

Vi sono poi alcune basi di dati con caratteristiche strutturali particolari, che esaltano le possibilità innovative del supporto elettronico. È il caso ad esempio di Arts & Humanities Search, una banca dati umanistica che, già molto tempo prima dell'avvento di World Wide Web, realizzava nella forma del Citation Index un'organizzazione sostanzialmente ipertestuale delle informazioni bibliografiche. In questo tipo di banche dati, la citazione bibliografica, magari corredata di abstract, è seguita dall'elenco delle referenze bibliografiche che l'autore ha esplicitamente o implicitamente citato. Una conseguenza metodologica di questa struttura è la possibilità di rintracciare bibliografia su un argomento a partire dalla ricorrenza di citazioni di un importante contributo su quell'argomento; il che appare come una interessante dimostrazione funzionale di intertestualità della critica.

In biblioteca, le basi di dati esterne si sono presentate in primo luogo come basi di dati online, remote, consultabili spesso tramite linee telefoniche (di Internet non si era ancora sentito parlare, almeno in Italia) e distribuite quasi esclusivamente da imprese commerciali. Il costo delle informazioni e dei collegamenti telefonici, la complessità delle strutture di indicizzazione e dei linguaggi di ricerca (tutt'altro che "user-friendly") rendeva indispensabile l'intervento di un nuovo tipo di bibliotecario specializzato capace di individuare le fonti informative elettroniche più adatte in un mercato in espansione e di tradurre i bisogni informativi dell'utente nel linguaggio e nella struttura di indicizzazione delle banche dati. In questo contesto, l'accesso all'informazione elettronica presupponeva necessariamente la cosiddetta intermediazione, l'elaborazione da parte del bibliotecario di strategie di ricerca che avevano lo scopo di minimizzare i tempi (e quindi i costi) di collegamento e ottimizzare la pertinenza dei risultati, giocando sulla dialettica silenzio/rumore.

Dal punto di vista dei bibliotecari, l'espansione delle possibilità offerte dalla tecnologia e la nuova centralità assunta dalla reference (a cui in un certo senso sembrava potersi ricondurre tutto il contesto multiforme della professione, in un mutato scenario tecnologico) sono apparse in tutta quella fase come linee guida per una ridefinizione del proprio ruolo sociale. Come intermediario dell'informazione (o "information manager" o "cybrarian", eccetera) il bibliotecario sembrava finalmente riconquistare una fisionomia socialmente riconoscibile nel contesto della "società dell'informazione".

In Italia c'è stata una certa resistenza da parte degli utenti, specialmente in ambito umanistico, ad avvalersi di questi nuovi strumenti di ricerca. Fra le varie ragioni di questo atteggiamento, vale la pena di sottolineare in primo luogo l'aspetto fastidiosamente "wittgensteiniano" (nel senso del primo Wittgenstein) dei metodi di ricerca negli archivi elettronici: la necessità - naturalmente repulsiva per l'umanista - di tradurre in una nomenclatura e in una serie di espressioni logiche (gli operatori booleani AND/OR/NOT) analitiche il complesso sintetico di una idea di ricerca. L'"illeggibilità", poi, delle banche dati, l'impossibilità di "sfogliarle", sembra precludere quella dose di serendipità che è connessa ad ogni tipo di ricerca scientifica, in particolare in ambito umanistico. Inoltre, in Italia la scarsa propensione all'uso delle banche dati bibliografiche si è posta in continuità storica con la scarsa abitudine all'utilizzo di strumenti repertoriali di riferimento, anche tradizionali (su questo importante aspetto mi soffermerò più avanti).

Ma in larga misura il problema è costituito proprio dall'intermediazione: se per gli scienziati e i professionisti questi servizi semplicemente hanno risposto alla pressante necessità di aggiornamento tempestivo delle informazioni, spesso in funzione strettamente strumentale rispetto alle loro attività (si pensi al campo della medicina o della finanza), viceversa gli studiosi delle discipline umanistiche e delle scienze sociali vedono nella ricerca bibliografica una parte integrante del proprio lavoro e, a differenza dei cultori delle "scienze esatte", sono poco inclini a delegarla ad altri.

 

 

Quando si proclamò che la biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità.

J.L. Borges, La biblioteca di Babele.

[2] Oggi stiamo però assistendo ad un fenomeno opposto: la disintermediazione. Si tratta in sostanza della tendenza ad un rapporto diretto delle fonti informative con l'utente finale, una evoluzione tecnologica e di mercato che tende a consentire all'utente un uso personale delle risorse informative elettroniche, scavalcando le varie figure intermedie (bibliotecari, documentalisti, information brokers).

La prima fase particolarmente evidente di questo fenomeno si è avuta con la diffusione dei CD-ROM: pensati per l'utente finale e quindi con un'interfaccia semplice; non certo gratuiti, ma con un costo prevedibile e quindi non legato alla durata o all'efficacia di una strategia di ricerca; consultabili anche "per tentativi", recuperando in parte la serendipità cui si è accennato.

La fase attuale della disintermediazione ha preso avvio dalla nascita di World Wide Web che trasformando la rete globale in un unico ipertesto percorribile con interfacce sempre più amichevoli ha reso Internet un fenomeno di costume. Più ancora che dalla semplificazione tecnica, lo scenario è stato mutato appunto dalla penetrazione sociale del concetto di informazione in rete, che ha contribuito a diffondere anche nei settori più recalcitranti una maggiore consapevolezza delle possibilità informative e comunicative - culturali, alla fine - offerte dai supporti elettronici in generale. Le riserve psicologiche, la keyboard fright caratteristica dell'utente finale nell'epoca dell'online information, hanno lasciato il campo ad una disinvoltura e ad un entusiasmo a volte ingenui nei confronti della networked information e gli sviluppi tecnologici sembrano favorire sempre di più questa riconquistata autonomia del ricercatore nel rapporto con le proprie fonti informative.

A fronte di questo fenomeno, entra in crisi quel naturale rapporto di completamento che si era stabilito fra le biblioteche e l'elettronica. Ed entra in crisi anche la ridefinizione sociale e professionale dei bibliotecari, che sembrava aver felicemente superato gli smarrimenti provocati dall'introduzione delle nuove tecnologie.

Nel nuovo scenario dell'informazione elettronica distribuita, che appare direttamente alla portata dell'utente senza eccessivi investimenti di denaro o di conoscenze tecniche, anche la figura più avanzata di bibliotecario, capace di istruire l'utente o addirittura di mediare il suo rapporto con sistemi informativi strutturalmente complessi, rischia di perdere di significato. E lo stesso luogo fisico della biblioteca appare in prospettiva destituito di senso in un contesto in cui le informazioni e i documenti, per la loro stessa natura, non saranno più depositati in un luogo.

Al di qua di queste prospettive, non sono poche le persistenze che possono essere registrate, e che probabilmente tarderanno a tramontare. In primo luogo la gestione dei documenti stampati. Se è lecito dubitare che qualche rivista scientifica sopravviverà al 2000 in versione cartacea, non si può essere altrettanto certi sulla sorte del libro, che vanta ancora una superiorità tecnologica difficilmente superabile: non si intravede ancora all'orizzonte un supporto documentario che sia altrettanto portatile, economico, gradevole alla vista e al tatto (e talvolta all'olfatto), utilizzabile anche in assenza di fonti di energia e dotato dell'interfaccia più intuitiva che si riesca ad immaginare. Tutte caratteristiche che rendono il libro a stampa ancora insostituibile per quelle categorie di utenti che vedono la "lettura prolungata" come principale modalità di fruizione dei documenti: si tratta certo dei "lettori" genericamente intesi, ma anche di ampi settori del mondo della ricerca nelle scienze umane e sociali, oltre che negli studi letterari.

Lo stesso ruolo di conservazione delle biblioteche oltre a persistere potrebbe essere rilanciato, in nuove forme, in un contesto comunicativo che vede i nuovi documenti elettronici molto più volatili e caduchi di quanto fossero gli antichi manoscritti.

L'intermediazione, poi, è ancora pratica comune nelle biblioteche e nei centri di documentazione, anche e soprattutto perché l'informazione di qualità si attinge tuttora in gran parte da fonti commerciali e la riconversione dei maggiori distributori di banche dati ai protocolli Internet e ad interfacce WWW ha solo in parte diminuito la complessità e i costi di quei sistemi informativi.

Quanto alla user education, quand'anche la si volesse ridurre ad un mero problema di interfacciamento tecnico, al rapporto con la tastiera e coi misteri congiunti della bibliografia e dell'elettronica, sembra destinata a vita non breve, almeno in un paese dove, al di là delle mode, le conoscenze elementari per affrontare questi strumenti tecnologici sono tutto sommato scarsamente diffuse e la prevalente divulgazione di conoscenze strettamente tecniche e informatiche rischia di formare utenti abili, entusiasti e acritici.

Ma al di là degli aspetti più o meno residuali, vi sono altri motivi per cui le biblioteche non saranno forse inutili; c'è un punto critico che incrina il panorama idilliaco della Bibliotheca Universalis disintermediata, il mito della biblioteca virtuale con cui tutti abbiamo a che fare: un punto critico che sembra indicare proprio il bisogno diffuso di funzioni bibliotecarie, se non di bibliotecari, documentalisti e biblioteche reali. Si tratta del cosiddetto Information overload: il sovraccarico informativo.

Il fenomeno preesiste ad Internet, e possiamo dire che non ha fatto che accentuarsi dal 1445 ad oggi, ma la diffusione di massa di Internet ne ha provocato una esplosione tale da suggerire una spontanea associazione di idee fra il sovraccarico informativo e il World Wide Web. E in effetti in ambito WWW troviamo quella che forse è la manifestazione più emblematica di questo fenomeno: la mole enorme, non referenziata e spesso scarsissimamente pertinente di risposte che otteniamo ogni volta che usiamo un motore di ricerca è un'immagine tipicamente rappresentativa del sovraccarico informativo e questa sorta di metafora pratica mi sembra tanto eloquente da consentirci, in questa sede, di non spendere ulteriori parole per definire l'espressione Information overload.

Il fenomeno investe la valutazione del rapporto che intercorre tra la massa totale delle informazioni disponibili e la loro qualità, o anche semplicemente la loro utilità e pertinenza per certi usi in certe circostanze. Si tratta, in definitiva, del problema della consultabilità della rete.

In parte, è anche dall'esplosione di questo problema che nasce l'idea di Internet 2 [UCAID], che si sta coltivando negli Stati Uniti. Internet 2 non è solo una infrastruttura tecnologicamente più potente, ma sembra anche un tentativo di ricreare in qualche modo ciò che Internet era prima della sua diffusione di massa e del conseguente ingorgo telematico: una turris eburnea riservata al mondo accademico e quindi relativamente garantita rispetto alla qualità dei suoi contenuti.

Ma il problema non riguarda solo Internet: l'information overload ha a che fare con la complessiva disponibilità di informazione che i soggetti più vari mettono in campo sui diversi media; basti pensare, per restare nell'ambito dei supporti elettronici, all'esplosione del mercato dei CD-ROM e dei vari prodotti multimediali. Da questo punto di vista, non solo il sovraccarico dei contenuti informativi mette in crisi, come si vede, il presunto rapporto pacificato dell'utente disintermediato con le sue fonti, ma la stessa eterogeneità delle interfacce e delle forme stilistiche e tecnologiche con cui l'informazione elettronica si propone, sempre oscillante tra l'estrema semplificazione "a prova di cretino" e la messa in opera di ogni possibile armamentario tecno-grafico, provoca un effetto disorientante di interface overload.

Vi è un aspetto della disintermediazione che è degno di particolare interesse in questa sede: la disintermediazione è anche attiva: non solo si sono estremamente semplificate le pratiche di accesso all'informazione, ma la stessa produzione documentaria diventa pratica comune e molto più diffusa. Pubblicare elettronicamente permette di superare una serie di limitazioni tecniche e finanziarie che erano proprie del mondo esclusivamente tipografico, ma permette anche e soprattutto di superare una serie di filtri culturali, accademici, editoriali che caratterizzavano quell'epoca. Ricordo qui questo aspetto per sottolineare come questa rimarchevole, benvenuta liberazione di energie creative e intellettuali non possa non contribuire massicciamente all'information overload.

Vista dal bibliotecario, la crescita esponenziale, e la sempre minore controllabilità, delle fonti di produzione documentaria rappresenta un ulteriore spostamento in avanti dell'orizzonte del "controllo bibliografico universale". E noi arranchiamo.

Finora, la più tipica risposta tecnologica al sovraccarico informativo della rete è consistita nello sviluppo dei motori di ricerca, di cui però constatiamo quotidianamente l'impotenza. Le linee di tendenza attuali segnano il passaggio concettuale dall'idea statica di information retrieval, che presiedeva al funzionamento delle vecchie banche dati come dei nuovi motori di ricerca, all'idea dinamica di information filtering, che prevede la disseminazione selettiva dell'informazione in base a profili di interesse. E' il concetto di base della push technology [Kelly], applicabile indifferentemente alla comparazione automatica dei costi di un prodotto, all'aggiornamento bibliografico su settori specifici o alla limitazione di determinati flussi informativi per vari scopi, compresa la censura.

Sebbene i cosiddetti "agenti intelligenti" siano ancora allo stadio embrionale e ancora grandi siano le difficoltà di elaborazione automatica del linguaggio naturale, da questo tipo di tecnologia arriverà probabilmente qualche risposta all'information overload: non trovo utile assumere una posizione "umanistica" a tutti i costi e proclamare che in nessun modo potranno essere le macchine a sbrogliare la matassa che le macchine stesse hanno ingarbugliato.

Quel che appare evidente, comunque, è a mio avviso il carattere eminentemente bibliotecario del Problema. «Quando si proclamò che la biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità»: solo la prima impressione, poi sopravviene l'angoscia; e quest'angoscia da sovraccarico informativo, elemento quasi fondante dell'antropologia del navigatore in rete, sembra sempre rimandare a bisogni bibliotecari: catalogare i contenuti di Internet, organizzarli, recensirli, classificarli... insomma corredare di metainformazioni le informazioni circolanti per renderle reperibili e quindi utilizzabili. A questo tipo di esigenze intendono rispondere le varie Virtual libraries, le attività di site reviewing, le esperienze di catalogazione e classificazione di Internet [McKiernan] - spesso condotte proprio sulla base di metodi biblioteconomici già affermati, come la Classificazione Decimale Dewey - e infine la schiera di siti-repertorio che raccolgono links, links di links, links di links di links...

Non trovo troppo arbitrario ricondurre il complesso di queste attività all'idea di base del bibliotecario (o bibliografo, o documentalista) che - indicizzando - estrae metadata dai documenti disponibili per consentire a ciascun lettore di accedere a tutti e solo quelli che lo riguardano. E non molto diverso, in fondo, è il concetto che è alla base della push technology: in questo caso si tratta di individuare in certo modo i metadata degli utenti, per consentire ad ogni documento di raggiungere il suo lettore. Una reciprocità già insita nelle celebri leggi della biblioteconomia: «every reader his book - every book its reader» [Ranganathan].

Da questo quadro, risulterebbe una prima riformulazione del ruolo delle biblioteche nella gestione dei documenti elettronici. Nell'epoca della penuria informativa che sembra (sembra) starci alle spalle, gli scaffali delle biblioteche hanno rappresentato l'orizzonte della totalità: la tendenziale onnicomprensività della biblioteca compensava l'inevitabile selettività di ogni singola raccolta di libri. Nell'epoca del sovraccarico informativo la biblioteca potrebbe rovesciare completamente il suo significato e assumere proprio la selettività come orizzonte di servizio: la capacità di compensare quella totalità babelica del WWW (e non solo) che preme minacciosamente da dentro lo schermo di ogni singolo utente.

 

 

Il signor Croce crede di aver messo le mani sopra un soggetto vergine, e questo soggetto altri dieci, a dir poco, l'hanno avuto tra mani prima di lui. Così che, non solo egli non accresce, se non per picciolissima parte, la conoscenza di esso, ma ignora e lascia in disparte il più di quanto già da altri era stato trovato e notato, e viene in conseguenza di ciò a conclusioni e giudizi in tutto erronei.

A. Graf, Recensione a: Benedetto Croce, La leggenda di Niccolò Pesce. «Giornale storico della letteratura italiana», 6(1885), p. 263-269.

[3] Analizzando sommariamente i filoni metaforici attivati nel discorso sulla rete, notiamo fra l'altro quelli, molto consistenti, legati all'ambito animale (dal gopher al ragno ai vari insetti) e dei trasporti (dalle autostrade informatiche alla navigazione), ma non meno rilevante è il filone bibliotecario. E' stata notata l'insistenza dei rinvii terminologici e concettuali dall'ambito elettronico a quello tipografico ("Pagina", "Browser/Lettore", "Bookmark/Segnalibro") o addirittura più indietro (la modalità di lettura di un documento elettronico, lo scrolling, ricorda più da vicino l'antico volumen che il moderno codex).

Più specificamente, vorrei richiamare l'attenzione su un abbozzo di elenco di termini e concetti che mi sembrano accentuatamente ricorrenti nell'ordine mentale di un qualsiasi utente della rete, o comunque di supporti elettronici di informazioni: Abstract, Accesso all'informazione/al documento, Archiviare, Biblioteca/Library, Catalogare, Classificare, Consultare, Documento, Indice/Indicizzare, Information retrieval, Intestazione, Link/Rinvio, Operatori logici (AND/OR/NOT), Ordinamento/Sorting, Parola chiave/Keyword, Ricerca per autore/titolo/soggetto, Rumore/Silenzio, Soggetto, Thesaurus...

Sono tutti ferri del mestiere del bibliotecario: tutti termini e concetti fino a ieri quasi totalmente assenti dal vocabolario e dall'orizzonte intellettuale di un italiano anche di cultura medio-alta. La consuetudine con i supporti elettronici di informazioni, specialmente con Internet, li ha resi familiari e anzi eminentemente caratteristici dell'inquieta condizione di esistenza nella rete.

Insomma, se Internet è definibile come un universo parallelo, se dietro lo schermo possiamo individuare un intero mondo; ebbene: esso appare come un mondo fatto a forma di biblioteca, i cui abitanti si misurano quotidianamente proprio con questi concetti bibliotecari e bibliografici, come i concetti nodali in cui si manifesta la reattività al sovraccarico informativo. In questo mondo il "catalogare", in senso lato, sembra diventare un'esigenza sociale e paradossalmente il rapporto più stretto con le nuove tecnologie può far avanzare, anziché arretrare, la posizione delle biblioteche nell'immaginario collettivo.

Ma vi sono a mio avviso altre e più rilevanti opportunità da cogliere in questa sorta di popolarizzazione della "cultura bibliografica", tradizionalmente negletta nel nostro paese. In primo luogo, nella didattica. E' stata spesso rilevata, anche recentemente su Bollettino '900 [Lenzini], la totale assenza del ruolo delle biblioteche nel curriculum formativo degli studenti italiani, che infatti si mostrano spesso impacciati anche nella consultazione di un semplice catalogo. Non solo in Italia non si viene quasi mai indotti, dalla scuola elementare fino all'università, ad entrare in una biblioteca; ma tanto meno rientra nei percorsi formativi l'approccio con gli strumenti di consultazione: dal dizionario al repertorio bibliografico.

E' anche per questo motivo che i servizi di educazione all'utenza continuano ad avere, particolarmente nelle biblioteche italiane, un ruolo importante di sostegno e a volte di impropria supplenza di una didattica tradizionalmente carente sotto questo profilo. Da questo punto di vista, appare chiaro come la user education non si esaurisca in un interfacciamento di interfacce, siano esse elettroniche o cartacee, e non miri in definitiva a insegnare l'uso della tastiera del computer, o tanto meno delle pagine dei libri, ma piuttosto a rendere fruibile una certa organizzazione delle informazioni: indici, thesauri, voci di soggetto, motori di ricerca, schede e quant'altro.

Credo che l'inedita popolarità di questi temi, indotta in gran parte proprio dalla scoperta della loro centralità "ciberspaziale", possa suggerire finalmente l'apertura, anche in Italia, di un nuovo capitolo della didattica. Nell'università, in particolare, la conoscenza dei metodi, delle tecniche, della pratica di rapporto con le fonti dell'informazione bibliografica, dagli schedari alle basi di dati, non può continuare ad essere affidata alla improvvisazione spontanea; si tratta a mio avviso di abbandonare quello che spesso appare come un atteggiamento snobistico nei confronti di temi troppo prosaicamente "tecnici" e al contrario integrarli, come tradizionalmente avviene in altri paesi, nella complessiva competenza metodologica che l'insegnamento universitario dovrebbe trasmettere ai giovani studiosi e ai futuri ricercatori. Insegnare - magari in un nuovo rapporto di collaborazione con le biblioteche - a consultare, oltre che a leggere.

Del resto, sembra che la distanza della cultura italiana da questo complesso epistemologico che possiamo definire "cultura bibliografica" abbia radici più lontane e più profonde nella tradizione degli studi letterari. Da non addetto ai lavori, posso solo presumere che questo abbia a che fare con il rifiuto della tradizione erudita sei-settecentesca che emerge nel dibattito romantico sulla critica letteraria e si stabilizza in certo modo nell'affermazione della linea De Sanctis-Croce, in contrapposizione alla rivalutazione del metodo "tiraboschiano" propugnata dagli esponenti della "scuola storica".

In ogni caso, mi sembra possibile individuare in un arco storico-culturale non breve una diffusa antipatia per lo stesso "tipo" antropologico dell'erudito (topo di biblioteca, talpa, pedante...); una tradizionale diffidenza della cultura italiana rispetto alla produzione e all'uso del genere-repertorio, che sono tentato di interpretare - e spero di non peccare di eccessivo psicologismo - come una contrapposizione assiologica tra l'atto quasi sacrale della lettura e quello meccanico-professionale della consultazione.

Se questa interpretazione ha qualche fondamento, essa può anche spiegare in parte la scarsità di iniziative editoriali in questo campo; il fatto insomma che lo studioso di letteratura italiana possa far molto poco conto, rispetto ad altre tradizioni europee, su un patrimonio consolidato di "opere di consultazione". Basti pensare all'agonia del Dizionario biografico degli italiani che, ultimo arrivato fra le opere europee di questo genere e ancora inspiegabilmente immune dal sano contagio dell'elettronica, rischia ora un'eutanasia [Frugoni] che rinnoverà il lutto, mai completamente elaborato, per la morte prematura del Mazzuchelli.

Fra le tante possibili definizioni di "opera di consultazione", trovo particolarmente calzante quella che la descrive come un «documento, su qualunque supporto, strutturato come un insieme, alle cui parti si possa accedere prescindendo dall'esame del tutto» [Aghemo]. E' fin troppo agevole verificare la sovrapponibilità di questa definizione alla rete globale. Si tratta, a mio avviso, di intendere Internet come una gigantesca opera di consultazione, di rintracciare in quella caratteristica e a volte ossessiva, autoreferenziale, centralità del link, i segni distintivi di una "economia citazionale" tipica del reference book.

Mi sembra insomma che certe caratteristiche tecniche e culturali della rivoluzione comunicativa che - dopo mezzo millennio - stiamo vivendo, possano fornire un utile spunto allo stesso studio della letteratura per recuperare una parte metodico-sistematica forse trascurata della sua tradizione. Non si tratta di agitare la bandiera del neopositivismo, ma di arricchire con una dose di cultura "della consultazione" un ambito epistemologico naturalmente basato sulla cultura "della lettura": affrontare ad esempio negli apparati critici il problema di quel poco o tanto di aleatorio e di esoterico che deriva dallo scarso controllo bibliografico, dalla "inconsultabilità" delle fonti, dei testi, della letteratura critica. Dal mio punto di osservazione esterno, mi sembra ad esempio di poter attribuire proprio a questa linea di tendenza una certa rivalutazione metodologica dell'uso delle concordanze, che probabilmente prende spunto in gran parte dalle nuove possibilità offerte dai supporti elettronici.

Da questo punto di vista risulta evidente l'urgenza di una sinergia tra le biblioteche e le esperienze editoriali elettroniche come quella di Bollettino '900. Se pubblicare in rete significa contestualmente incrementare gli indici di un gigantesco repertorio bibliografico futuro, ebbene: la "cultura bibliografica" che le biblioteche esprimono può contribuire a dare forma a questo nuovo patrimonio documentario. Non si tratta di censurare la creatività ipertestuale, ma di riconoscere la valenza culturale del paratesto elettronico, delle "soglie" [Genette] che garantiscono l'accesso ai contenitori letterari e critici, tematizzare la loro consultabilità.

Si tratta di assumere come impegno operativo e culturale quello di non proporsi come ulteriori fonti di mero sovraccarico informativo, ma di controllare le modalità con cui si immette nel circuito comunicativo elettronico una massa crescente di lavoro creativo e critico: renderlo reperibile, referenziabile, bibliograficamente controllabile; insomma non solo leggibile ma consultabile da una più ampia comunità intellettuale.

Credo che questo obiettivo possa essere perseguito con maggior efficacia integrando le professioni dell'informazione nelle collettività di ricerca: inaugurando (o riscoprendo) una collaborazione tra coloro che si muovono nella trama dell'intertestualità e coloro che da sempre hanno il ruolo ausiliario di tracciare le mappe dell'intertestualità.

Pubblicare in rete significa contemporaneamente catalogare i documenti della biblioteca globale: appena messo in rete, un testo "produce" il suo indice, interagendo con l'indicizzazione di tutti gli altri documenti. Di qui, l'opportunità di dotare già in origine le informazioni di metainformazioni, questione di cui si occupano vari standard [Cathro], che generalmente perseguono l'obiettivo di fornire agli autori uno schema di "autocatalogazione". Particolarmente interessante è il "Dublin Core", che consiste in un corredo minimo di metainformazioni da integrare in un documento: l'autore, il titolo, alcune parole chiave, eccetera. Chi abbia anche una vaga idea delle problematiche sottese al solo concetto bibliografico di "autore" può immaginare la complessità di definizione di uno schema di questo tipo.

Ma probabilmente lo standard metainformativo più usato, anche da chi non ne è consapevole, è l'elemento META di HTML. I dati di riferimento segnalati da questo insieme di tags sono spesso proprio quelli che i robot prendono in considerazione per indicizzare i documenti e sono quindi i responsabili semantici dei risultati di alcuni "motori di ricerca". Sul piano tecnico, la presenza dell'elemento META consente una gestione più agile degli agenti software dei motori che, limitandosi a questo corredo metainformativo, possono evitare l'indicizzazione automatica dell'intero documento e così ridurre il loro traffico sulla rete [Musella].

Da un altro punto di vista, la pratica dell'indicizzazione appare come un insieme ben più complesso, problematico e ambiguo di operazioni intellettuali. Basti pensare solo ai casi esplicitamente abusivi di word spamming e di uso ingannevole dell'elemento META: la statistica insegna che per garantire un buon numero di visitatori provenienti dai motori di ricerca alle proprie pagine Web è sufficiente largheggiare nell'uso della parola chiave "sex", a prescindere (direbbe Totò) dall'argomento delle pagine stesse.

Ma anche a voler essere onesti, è evidente che "autocatalogarsi" per soggetto è forse più arrischiato e incerto che catalogare libri altrui.

Anche quella degli standard metainformativi è dunque una questione molto più bibliotecaria di quanto comunemente non si pensi e a questo proposito va menzionata anche la recente uscita di ISBD(ER) (International Standard Bibliographic Description - Electronic Resources), che prosegue la serie delle norme tecniche comunemente usate nella catalogazione delle varie tipologie documentarie (ISBD(M): Monographs, (S): Serials, (A): Antiquarian, (PM): Printed Music, eccetera).

Ma il contributo della cultura bibliografica e delle professioni che la esprimono può intervenire a mio avviso su una più complessiva conformazione "stilistica" delle risorse elettroniche di informazione, una organizzazione paratestuale dei contenuti che possa costituire un antidoto al sovraccarico informativo.

A titolo esemplificativo, trovo divertente e istruttiva l'osservazione delle "voci" di un sito tipicamente repertoriale come l'Italian General Subject Tree della World-Wide Web Virtual Library (http://www.mi.cnr.it/IGST/). Si tratta di un sito di una certa utilità orientativa, illustrato dal prestigio del World Wide Web Consortium a cui fa riferimento: per un certo periodo, quando il ciberspazio italiano era ancora relativamente esiguo, questo sito ha rappresentato un fondamentale punto di riferimento per la ricognizione delle risorse di rete.

Ma osserviamo come questo sito risponde alla cruciale esigenza di disporre i contenuti di Internet sotto delle "voci" di soggetto: le Agenzie immobiliari si trovano sotto la voce Edilizia, non sotto Economia, commercio, finanza; Agenzie stampa è sottovoce di Editoria, non di Notiziari quotidiani, riviste o magari Giornalismo; la voce Biblioteche è sottovoce di Didattica (tutto sommato: un buon auspicio); il calderone della voce Home pages personali è ovviamente strapieno di links, ma vuoto di ogni significato; è almeno discutibile, invece, il significato della espressione Scienze umanistiche (che comprende Geografia, Letteratura, Musei, Paleografia, eccetera); è poi interessante vedere che la Pedagogia sta fra Otorinolaringoiatria e Pediatria, come sottovoce di Medicina e sanità; infine, balza all'occhio una perla sotto la voce Scienze della terra che, oltre a Cristallografia, Mineralogia e Geologia, comprende la Speleologia, con links ai relativi siti turistici e amatoriali.

Nella sua impostazione generale la Virtual Library, iniziata dallo stesso inventore del WWW Tim Berners-Lee, punta sul contributo volontario di esperti nei vari campi disciplinari nell'intento di compilare una selezione di links basata su sicuri criteri di pertinenza e qualità delle risorse. Credo risulti evidente in questa sezione italiana del progetto l'assenza del contributo di un esperto in soggettazione.

Un altro esempio eloquente è la "biblioteca digitale" del sito MediaMente della RAI (http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/biblio-c.htm). Si tratta di una raccolta di interviste su argomenti tecnici e culturali legati ai media, alla comunicazione, a Internet, eccetera. La "biblioteca" organizza questi interessanti materiali in una serie di "tematiche" molto generali: Economia dei media, Hardware e software, Telecomunicazioni, Realtà virtuale, eccetera. Ad esempio, interviste riguardanti il rapporto tra filologia e informatica si troveranno cliccando su Antropologia dei media...

L'aspetto generale delle pagine, basate su frames e arricchite da belle immagini e animazioni, è molto accattivante ed elegante, tanto da far pensare che alla costruzione del sito non abbiano lavorato solo informatici, ma magari anche un designer. Se anche un bibliotecario avesse partecipato all'allestimento di questa "biblioteca", forse questo utile patrimonio documentario sarebbe stato diversamente fruibile, consultabile con strumenti concettuali un po' più complessi di quanto non siano le nove "tematiche" proposte.

E' appena il caso di sottolineare, di passaggio, come il barocchismo tecnologico che spinge a farcire ogni piccolo bocconcino di informazione con una quantità di immagini, animazioni, cornici e prelibatezze varie, sia un aspetto non secondario dell'information overload; e non solo come sovraccarico concreto della rete, i cui tempi di risposta sembrano sempre più lenti, ma proprio nella sua funzione di inquinamento informativo, che ha suggerito l'idea di un graduale passaggio dal WWW alla MMM: MultiMedia Mediocrity [Ciolek].

Non si tratta certo di sindacare sugli aspetti stilistici dei tanti oggetti estetici, deliberatamente tali, che la creatività diffusa può finalmente esporre nello spazio libero della rete. Rispetto a questi non si può che lasciarsi investire dal gioco estetico innovativo che ci propongono. Ma laddove l'obiettivo è referenziale, informativo, la spettacolarizzazione ridondante, tanto più se impone equipaggiamenti specifici e standard proprietari ("this page is best viewed with Browser X"), tradisce a mio avviso lo spirito originario di Internet, che è nata all'insegna dell'interoperabilità di sistemi diversi e della universalità della comunicazione [cfr. Burstein].

A questo proposito, mi sembra giusto mettere in una luce critica anche una risorsa proveniente dal mondo bibliotecario. L'Indice del Servizio Bibliotecario Nazionale non rappresenta esattamente, come il nome può far supporre ai non addetti ai lavori, la totalità del patrimonio bibliografico italiano, ma è senza dubbio una risorsa bibliografica di enorme importanza, che include circa 3 milioni di titoli pubblicati a partire dal 1830 e posseduti da circa 800 biblioteche italiane. La maschera di ricerca (http://opac.sbn.it/Search.html) consente una certa agilità di consultazione, ma nell'ambiente bibliotecario è stato notato che il suo pur gradevole aspetto grafico la rende un po' farraginosa e soprattutto notevolmente "pesante" e lenta da caricare: un valore estetico non necessario che va a scapito della funzionalità, indispensabile per una risorsa come questa.

Proseguendo in questa sommaria rassegna esemplificativa, devo portare testimonianza "da utente" della piccola angoscia da information overload che ho ricavato dalla fila di bottoni uguali che caratterizzano il sito di Bollettino '900 (http://www.comune.bologna.it/iperbole/boll900/). Un sito letterario come questo non può essere certo imbrigliato in un rigido principio di mera funzionalità; eppure esso, come paratesto-contenitore, non è ancora letteratura: ne è una "soglia". Forse per questo devo ammettere di essere stato disorientato da quelle nove vie d'uscita, tutte ignote (a parte il criptico suggerimento degli URLs sottostanti), prima di scoprire che esse stesse costituivano un gioco iperletterario. Ma riconosco di non aver titolo ad addentrarmi oltre su questo terreno: ne sutor ultra crepidam...; e passo all'ultimo esempio, che serve a ricordare come l'enorme patrimonio genericamente informativo o anche specificamente bibliografico che circola nelle reti non sia identificabile esclusivamente con WWW.

In diversi anni di vita, il gruppo di discussione LET-IT (http://RmCisadu.let.uniroma1.it/crilet/letit/letit.htm) ha "pubblicato" una mole cospicua e preziosa di testi, informazioni bibliografiche e notizie letterarie. Si tratta ormai di un patrimonio che, se organizzato e archiviato in un database accessibile, potrebbe costituire un utile strumento di consultazione per gli studiosi di letteratura: valga da esempio l'esperienza di AIB-CUR (http://www.aib.it/aib/aibcur/aibcur.htm3), una lista di discussione per bibliotecari (e forse, con i suoi circa 1200 iscritti, la maggiore lista italiana in assoluto), i cui archivi, affiancati da varie raccolte di documenti e carteggi selezionati su specifici argomenti, sono consultabili con criteri di information retrieval e prelevabili sia per posta elettronica che tramite Web.

Al contrario, i contributi a LET-IT sembrano condannati ad una caducità più irrimediabile di quella, che rimpiangiamo, dei carteggi letterari del passato. Anche la fruibilità immediata del flusso informativo della lista è a mio avviso diminuita da alcune scelte "stilistiche" come quella di inserire diverse notizie e documenti in ogni singolo messaggio (non sempre introdotto da un sommario), o peggio quella di far precedere l'intestazione (Subject) dei messaggi da una inutile parte fissa (MJ-let-it@caspur.it:...) che impedisce la rapida individuazione del vero "soggetto" significativo.

Concludendo, desidero proporre la lettura di un documento di straordinario interesse rispetto alle considerazioni fin qui svolte. Si tratta di un messaggio pubblicitario che ho ricevuto per posta elettronica e che propone ai gestori di siti Web l'acquisto di un manuale di «strategie top secret» per fare in modo che il proprio sito compaia fra i primi dieci o venti risultati dei motori di ricerca. Il messaggio sottolinea come lo studio del prezioso manuale consenta al cliente di porsi in una posizione di forte vantaggio rispetto ai propri concorrenti, mettendolo in condizione di attirare nel proprio sito un grande afflusso di visitatori.

Il volume (25 pagine) illustra argomenti di «tattica dei motori di ricerca» come per esempio: «le 10 parole chiave più usate nelle ricerche»; «come ottenere un piazzamento migliore rispetto ai tuoi concorrenti anche quando hanno le stesse identiche parole chiave»; «tecniche collaudate per selezionare e disporre le parole chiave più efficaci»; «un potente sistema per fare in modo che i potenziali clienti vedano il tuo sito, anche se non lo stanno cercando»; «un sistema poco noto per ottenere risultati multipli per il tuo sito nello stesso motore di ricerca»; «strategie collaudate per riproporre il tuo sito o pagina e ottenere lo stesso ottimo punteggio anche se era già listato» e inoltre «le parole più potenti usate per creare le migliori pagine Web».

Il lancio pubblicitario prosegue con una riflessione sull'enorme incremento quotidiano delle pagine Web, visto come una preoccupante, continua crescita della concorrenza, e si conclude con l'assicurazione che i metodi indicati dal manuale TOP SECRET consentiranno al lettore di «realizzare i propri sogni di successo».

In più, ai gentili clienti verranno inviati in omaggio CGI scripts, bottoni, sfondi e montagne di immagini Jpeg e Gif, comprese quelle animate! [EVA Inc.]

Sono esattamente tutte quelle cose che, da utenti della rete, vorremmo che non accadessero mai: lo stesso sito listato più volte nello stesso motore di ricerca; il motore che attribuisce un punteggio alto ad una pagina ugualmente o meno pertinente di altre rispetto alla propria ricerca; l'ambiguità delle parole chiave che provoca rumore e ci costringe a passare in rassegna una quantità di documenti estranei all'argomento della nostra consultazione...

Siamo dunque di fronte ad una provocazione deliberata - a scopi commerciali - di information overload: il sistematico inquinamento di un ecosistema basato sui contenuti informativi. E se è vero che quel mondo parallelo che è Internet, quel mondo in forma di biblioteca, sente ormai la selezione, la catalogazione, la reperibilità sistematica delle informazioni come altrettanti bisogni sociali, ebbene: non posso fare a meno di riconoscere in questo documento la strategia tipica del libero mercato, ancora una volta scatenato in tutta la sua distruttività contro i bisogni sociali e le risorse naturali.

Ma non è questa la sede per soffermarsi sui caratteri del capitalismo. Piuttosto mi sembra interessante osservare il modo in cui qualcosa di pesantemente concreto e "strutturale" come il profitto entra in relazione con la sovrastruttura "virtuale" del World Wide Web: tutto il meccanismo si basa fondamentalmente sulla scelta e la disposizione di parole chiave ed è volto a provocare determinati accessi ai documenti, indurre determinate indicizzazioni dei contenuti informativi, prevedere possibili intestazioni, manipolare metainformazioni, guidare i percorsi della consultazione...

Nel mondo in forma di biblioteca una strategia commerciale (una strategia ideologica) assume la forma di un complesso dispositivo catalografico.

 


 

Bibliografia relativa alle singole sezioni

[1]

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La memoria del sapere. Forme di conservazione e strutture organizzative dall'antichità a oggi. A cura di Pietro Rossi. Roma-Bari: Laterza, 1988.

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[2]

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