Federico Pellizzi
Letteratura postuma o letteratura provvisoria?
Generi marginali nel Novecento letterario

(Presentazione del seminario:«I generi marginali nel Novecento letterario», Seminario di studi organizzato da «Bollettino '900» in collaborazione con la Scuola di Dottorato del Dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna, Bologna, 20 febbraio - 5 giugno 1997)


Dietro al titolo di questo seminario sta in realtà un interrogativo fondamentale che riguarda la letteratura stessa: si avvia la letteratura ad essere un "genere marginale"? Non si tratta tanto di stabilire un regime di minorità di alcuni generi (script, traduzioni, riscritture, diari, appunti, ecc.) rispetto a una letteratura ufficiale e alta (il romanzo? il saggio? l'epopea moderna?), o viceversa di dichiararne qualche sorta di raggiunta supremazia o centralità, ma di indagare uno statuto di letterarietà che forse va mutando. Probabilmente certe forme di scrittura laterale, spesso più impregnate di una storicità minima, immanente, rispetto a scritture fornite dalla nascita di ufficialità letteraria, per la loro natura (preparatoria, trasformativa, di commento, e comunque connotata di forti elementi di provvisorietà) cambiano fortemente anche l'universo della scrittura creativa.

Molte forme di arte composta e differita insidiano la pacifica sedentarietà dell'opera, spingendo verso una sua esecuzione, un suo riuso. Le nuove tecnologie della scrittura ricontestualizzano di continuo il testo, riducono lo iato tra quelle che Adorno chiamava tecnologie di produzione e tecnologie di riproduzione, dispongono ancor di più il testo alla sua già implicita connettività.
L'intertestualità è un modo d'esistenza dell'opera, prima ancora di essere uno strumento interpretativo. Ogni opera è in realtà un intertesto che include tutte le forme di scrittura - intesa in senso ampio - che ne hanno accompagnato e continuano ad accompagnarne la produzione, la ricezione e la trasformazione. La nozione di "autore", di testo "originale", di "opera" come ne vengono influenzati? Il lavorìo della scrittura, che espande sempre più il prima e il dopo di un'opera e ne articola la progettazione e la destinazione, dà dignità creativa alle fasi intermedie, alle "bozze"; è un trascrivere, un variare e un ripensare che spesso si configura come preparazione collettiva di qualche forma di fruizione "eventuale" o occasionale di un testo o di una serie di testi, legata a un tempo preciso e a un particolare mezzo di diffusione; oppure assume il carattere di una sorta di divagazione, commento, avvicinamento a un corpus maggiore.
Tutto ciò produce forme di subordinazione della letteratura ad altre arti, e una sua perdita di importanza estetica, di rilevanza antropologica? O mette in luce alcune trasformazioni? Pensiamo che trascurare questi problemi, dedicarsi a una critica inerziale sul corpo glorioso della letteratura esistente non possa bastare, e che sia necessaria da una parte una sia pur prudente ridefinizione del nostro mestiere di indagatori dell'arte verbale e di studiosi della scrittura, dall'altra un riesame della possibilità stessa di riflettere sul sistema letterario nel suo complesso.

Le molteplici scritture che in questo secolo hanno acquistato dignità pubblica e consapevolezza, perdendo a volte parte della loro funzione strumentale, donando spesso parte del loro contenuto di realtà, hanno suggerito un ampliamento del concetto di letteratura, ma forse hanno provocato anche una rarefazione della funzione estetica, un oscuramento dei criteri di valutazione, un'ossessione del microscopico. Concetti che pure sono stati al centro del pensiero filosofico e letterario del Novecento, come letterarietà, narratività, espressione, e categorie che hanno sempre richiesto un impegno storiografico e teorico, le trame, gli stili, i generi, sono spesso usati in ambito italianistico (se usati), in modo elusivo e disimpegnante. La riflessione sulle funzioni supera raramente le dimensioni intratestuali o relative a una poetica individuale.
L'attenzione critica a forme di scrittura marginale, lettere, taccuini, annotazioni, aforismi, glosse, o ad altre forme di comunicazione verbale codificata, relazioni, protocolli, progetti, o a forme private di scrittura di lavoro, schede, appunti, note e richiami, ha assunto uno spazio rilevante nella saggistica contemporanea su rivista. L'espandersi di questo lavoro di commento, di creative correction sui molti corpi separati del letterario, o l'abnorme sviluppo della «città secondaria», per dirla con George Steiner, può avere però la funzione di rimettere in moto la riflessione sulla letteratura, sulla sua posizione nell'universo della cultura, e sulla nostra stessa condizione. Certamente la letteratura, se vista come continua ridefinizione dei generi canonici, come elemento della transizione, del discorrere, senza ipostatizzare, come è costume di alcuni filosofi contemporanei, la parola per farne un vessillo epocale, rimane uno dei mezzi più potenti per parlarci del reale.


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«Bollettino '900», 1997, n. 2