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Il canto e le non agevoli pronunce
Incontro con Sylvano Bussotti
A cura di Cristina Ceroni


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Nanni - Comincio con una notizia molto bella per me: oggi mi riposerò per due ore! Al posto mio parlerà Sylvano Bussotti, qui al centro. (Noto che l'entusiasmo è alle stelle). Alla sinistra di Bussotti c'è il prof. Franco Ballardini: voi lo conoscete in scrittura, perché il suo nome è scritto sul programma, ora ne vedete il corpo, e tra poco ne sentirete anche la voce, perché ho lasciato a lui (che insegna storia della musica al Conservatorio di Trento) il compito di presentare il nostro ospite. Sylvano Bussotti è il primo degli ospiti (che entreranno qua dentro) che io definisco come documenti viventi: ci sono i documenti cartacei, i documenti virtuali e ci sono anche quelli "in carne ed ossa". e non vorrei rinunciare alla loro presenza, perché servono a documentare i discorsi che facciamo all'interno del corso. Ora, non dico il musicista Sylvano Bussotti, vorrei dire l'artista Sylvano Bussotti, perché la sua attività produttiva spazia in tutti i campi, dalla musica alle arti visive e recentemente ha anche pubblicato un libro di poesie, appena uscito, per le edizioni del Girasole di Ravenna, che si intitola Non fare il minimo rumore[1][1]. Immagino che Bussotti partirà proprio da questo ultimo nato, ad ogni modo, ora lascerei la parola a Franco Ballardini.

Ballardini - Presentare un personaggio famoso non è mai facile: da un lato si può far conto sulla sua notorietà, ma dall'altro c'è sempre il rischio di dimenticare qualcosa di importante. Per fortuna il mio compito, oggi, è molto limitato: è quello di una brevissima presentazione prima di dare la parola all'autore, e questo attenua un po' l'onere e la responsabilità. Per questo motivo, lo dico subito, non ho la pretesa di fornire un ritratto del compositore e artista Sylvano Bussotti, ma mi limiterò a pochissime e rapide informazioni, che forse possono essere di qualche utilità per chi già non lo conoscesse.

Il primo dato inevitabile è quello anagrafico (parto proprio da zero, per chi aprisse l'enciclopedia per sapere di chi si tratta): Sylvano Bussotti è nato nel 1931, il che significa, guardando un po' il contesto delle vicende musicali di questo secolo, più o meno nello stesso periodo nel quale sono nati compositori di una generazione che ha dominato e caratterizzato la musica europea nel secondo dopoguerra, in modo particolare tra gli anni '50 e '70; autori come Boulez, Stockhausen, Luigi Nono, e tanti altri, che spesso vengono accomunati sotto il nome di scuola di Darmstadt o di avanguardia post-weberniana, identificata nel così detto serialismo integrale, vale a dire l'estensione della serialità dodecafonica schönberghiana agli altri aspetti del linguaggio musicale, operazione che impegnò molti di questi autori, proprio nella prima metà degli anni '50.

Secondo dato preliminare inevitabile: il luogo di nascita, che è Firenze. Questo, oltre a fornire a Bussotti una quantità di stimoli e di riferimenti culturali importanti durante tutta la sua attività (riferimenti provenienti dalla tradizione rinascimentale umanistica fiorentina, in particolare, ma non solo), gli ha anche consentito di incontrare e conoscere Luigi Dallapiccola, vale a dire il compositore italiano della generazione precedente che per primo si era confrontato con la scuola di Vienna schönberghiana e con il metodo di composizione dodecafonico.

Ora, da queste due premesse si potrebbe dedurre che Bussotti sia stato tra i protagonisti e i fautori della così detta scuola di Darmstadt e del serialismo integrale, invece no: è vero esattamente il contrario. La sua posizione, già negli anni '50, è stata eccentrica (in senso geometrico) rispetto alla dottrina di Darmstadt, e senz'altro più interessata e favorevole, viceversa, alla linea opposta, rappresentata, sul finire degli anni '50 e durante il decennio seguente, soprattutto da John Cage: quella che fu chiamata la poetica dell'indeterminazione, dell'alea, dell'opera aperta (per citare anche il titolo di un famoso libro di Umberto Eco[2][2], dedicato proprio a queste tendenze degli anni '60).

Ora vorrei inserire una breve citazione, che forse può dare un'idea efficace della singolarità della posizione di Sylvano Bussotti rispetto alla situazione musicale di quegli anni. La citazione è tratta da un libro che ormai è un documento storico: Fase seconda di Mario Bortolotto[3][3], uscito nel '69, un testo importante per ricostruire le vicende della nuova musica degli anni '50 e '60. Nel libro, Bortolotto dedica a Sylvano Bussotti un ampio saggio, che inizia con queste parole:

Se uno vi è, fra i compositori della Nuova Musica, che pare incarnare discordanti e sottaciuti appelli: inesausta passione ostentatoria e strabiliante sincerità espressiva, intrepida vorace ricerca di originalità e culto aristocratico della forma, nostalgia di tutte le abbandonate maniere del far musica e curiosità di ogni più legittimo (e illegittimo) futuro; quel compositore è senza dubbio alcuno il fiorentino Bussotti.

                Sul quale, in anni recenti, dopo il suo ingresso non si saprebbe il più vistoso e sensazionale nella vita musicale italiana, preceduto da un veto di coriacea ottusità e iniqua soperchieria, se ne sono scritte, come era giusto attendersi, davvero delle belle. Parve che il colore della cronaca e della critica (che arrivò ad interessare, secondo il giuoco, settori impermeabili a qualsiasi fenomeno musicale), la sbandierata diversità delle interpretazioni, il carnevale dei giudizi, riflettessero o addirittura mimassero qualche poco di quella incandescenza vitale. Bussotti esecutore ed attore, Bussotti 'allievo' di Cage e devoto di san Giacomo Puccini, Bussotti pittore e disegnatore che risveglia spettri di Gesamtkunstwerk, Bussotti organizzatore, marionettista, polemista, regista, scandalo di Darmstadt e professore di composizione, pecora nera di conservatorio e premiato da giurie molto ufficiali e autorevoli, virtuoso di ornato neo-liberty e pupillo di critici 'impegnati', (ex-) dannunziano come il suo (quasi) maestro Dallapiccola e (semi-) comunista, lettore appassionato di Sade e di Antonio Gramsci, melodista cattivante (anche su subdoli testi) sì da indurre uno studioso (siciliano) ad avanzare il nome di Bellini ed alcuni allocchi a rispolverare l'aggettivo mediterraneo, nonché ad inferocire la pruderie di una penna erudita che, sulla rivista ufficiosa dell'opinione musicale italiota, giunse ad attribuirgli versi dell'Antologia palatina; par proprio non gli manchi nulla per costituire, della difesa purezza cui s'attanagliano i nipotini di Webern, l'antitesi netta.[4][4]

Con questo brano, che certo si nota per la prosa molto fiorita, quasi barocca, Bortolotto dà un'immagine efficace della "singolarità" rappresentata da Sylvano Bussotti nel panorama musicale di quegli anni. Volendone estrarre qualche indicazione meno rutilante e più scarna, se volete anche meno affascinante, ma magari più puntuale, come introduzione per chi già non lo conosca, io porrei l'accento soprattutto su due aspetti che emergono con forza dalle opere e dalla poetica di Sylvano Bussotti.

Il primo è quello che oggi, con un'espressione di moda, si chiamerebbe multimedialità. Aspetto anche questo antitetico rispetto al purismo, all'astrattismo puramente musicale che dominò in un certo periodo la scuola di Darmstadt; in Bussotti, fin dall'inizio, vi è una grandissima attenzione, una particolare curiosità per le "altre" arti (per la poesia, per la pittura, per il teatro). Un'attenzione e una curiosità che hanno radici anche autobiografiche: la sua frequentazione del teatro Comunale di Firenze, fin dalla più tenera età, e il fatto che il fratello Renzo e lo zio materno Tono Zancanaro siano pittori. Fin dai primi anni tutto ciò ha indotto la sua formazione verso questi interessi, che poi sono stati ulteriormente coltivati e ribaditi da tutta l'attività creativa di Sylvano Bussotti (nei suoi scritti di poetica, per esempio, insiste spesso sulla grande versatilità enciclopedica degli artisti rinascimentali). Le sue opere sono in gran parte vocali e teatrali, cioè unite alla voce, al testo, alla parola, e anche quando non lo sono (anche nel caso di musiche puramente strumentali) sono spesso piene di riferimenti alla parola, all'immagine e alla pittura: opere corredate da annotazioni e indicazioni verbali, oppure che chiedono e che invitano gli esecutori a pensarle come se fossero musica vocale. E poi c'è la grafia: la particolare notazione musicale. In quegli anni ci fu in generale un'evoluzione notevole per quanto riguarda la scrittura musicale: le radicali innovazioni dell'avanguardia toccarono anche questo aspetto; ma al di là di questo, vi è in generale, in molte partiture di Bussotti, una straordinaria cura dell'aspetto grafico, come se la partitura avesse un valore non solo musicale, ma anche puramente grafico, pittorico.

L'altro aspetto, per concludere, che mi pare necessario richiamare, riprendendolo dalla citazione di Bortolotto, ma anche dai testi di poetica dello stesso compositore, è anche questo un elemento che lo distingue in modo netto rispetto al clima prevalente a Darmstadt in quegli anni: e cioè la difesa e l'esaltazione della sensualità e del sentimento, del piacere percettivo e degli "affetti" che la musica può esprimere e suscitare. Anche questa è una caratteristica certamente contro corrente, a fronte dell'astratto razionalismo (un po' moralistico) che era presente nelle ricerche di Darmstadt; una caratteristica, viceversa, coltivata da Bussotti anche recuperando atteggiamenti della tradizione tardo-romantica, da Mahler a Puccini, senza alcun timore di risultare, per questo, anacronistico o fuori moda. Questo forse ne fa un precursore delle più recenti tendenze così dette neoromantiche, o almeno delle motivazioni che le sorreggono; certo contribuisce all'originalità della sua collocazione nel panorama della musica italiana di quegli anni e più in generale del secondo Novecento.

Nanni - Bene. Il Ballardini si è laureato con me col massimo dei voti e. sono contento di averlo valutato così!

Adesso sentiamo invece se Sylvano Bussotti deve correggere o aggiungere qualcosa, o dissentire, o comunque. faccia lui! Può dirci qualsiasi cosa!

Bussotti - Io stavo pensando che l'unica cosa che mi rimarrebbe da fare, per essere all'altezza, sarebbe quella di mettermi immediatamente a cantare. Ma, per vari motivi, non mi è permesso.

Nanni - Ma qui è possibile, eh! Qui è come a San Remo: è possibile tutto!

Bussotti - Ma, allora diciamo che mi autocensuro.

Nanni - Ah, ecco! Su questo. purtroppo sulle autocensure non ho potere!

Bussotti - Anche perché non abbiamo accordi specifici in questo senso.

Nanni - Certo. ma potremmo prenderli ora!

Bussotti - Con tutti questi testimoni? No! . Allora vorrei citare subito un cattivo (si tratta di una citazione davvero brevissima) e chiamarlo "cattivo" vuol essere un omaggio; costui scrive: L'uomo ha incominciato come poeta, il giorno remoto in cui cominciò, e come poeta, da allora, si è immiserito.[5][5]  Il pessimismo di questa cattivissima frase non è firmato Giacomo Leopardi (sarebbe del tutto normale!), ma porta una firma recente, che è quella di Canetti. Io penso, o temo (in realtà non ho ragioni di temerlo, perché non mi è successo nulla!) di avere incrociato Canetti, tantissimi anni fa, perché avevamo un amico comune del quale lui era ospite in un bell'appartamento in piazza Navona, a Roma.

La difficile parola "arte" è oramai divenuta, per lo meno, di non agevole pronuncia. Essa subisce, da tempo, una serie vistosa e molto roboante di utilizzazioni improprie. Il termine "grande artista" lo vediamo e lo sentiamo (dico bene: prima lo "vediamo" che "ascoltiamo" o "leggiamo"), basta casualmente trovarsi davanti ad un televisore. E normalmente "grande artista" (sottolineo la parola artista, preceduta generalmente da grande, grandissimo, incredibilmente grande, grandioso) viene utilizzato, nel campo specifico della musica, riferito, per esempio, (faccio un esempio simpatico e sorridente!). a Eros Ramazzotti, che è. "un grandissimo artista"! E ne è intimamente e profondamente convinto! Tanto da protestare, con molta grazia ma anche con molto mugugno, se, per uno dei suoi concerti megagalattici, contrariamente a quello che gli era stato promesso, gli viene dato come spazio un immenso parcheggio. E reagisce dicendo: "Un artista come me. guardate dove deve andare a mostrare al mondo la propria arte!". Questo, per mera associazione di idee, mi fa venire in mente un turpe dialogo pubblico, che mi ha visto coinvolto, un paio di mesi fa, con l'attuale vicepresidente del consiglio, il ministro (allora gli augurai ironicamente di diventare ministro dell'arte) Veltroni. In un dialogo pubblico, di fronte a tantissimi artisti, musicisti e vari personaggi, (qui ho usato il termine artisti in senso rispettoso!) mi è capitato di fare, in modo molto più cattivo del Canetti nella frase che ho citato prima, un'ipotesi sul concerto rock, e buttarla lì, come suggestione. Intendo il concerto rock di vasto successo, che racchiude in un'area, magari più nobile di un parcheggio, un qualche migliaio di persone. Mi è venuto in mente di dire: "se capitasse (basterebbe una sola volta) che tutte le persone che assistono al concerto (alcune si ammaccano, altre stanno sul punto di ammazzarsi per poter partecipare a questo "evento d'arte"!) se ne tornassero a casa con il tumore, ecco che saremmo guariti da questo simbolico tumore che è un concerto rock". Naturalmente la cosa ha fatto impallidire l'interlocutore, e non finirà mai di essermi rimproverata. e vedo che anche in tutta questa modesta (nel senso che siamo pochissimi rispetto al pubblico dell'arte rock) platea, la pronunzia di questa parola non ha provocato il benché minimo fatto sonoro, tanto meno la risata liberatoria che solitamente si fa quando si pronunciano certe parole. Ma se fantascientificamente facciamo questa ipotesi: immaginatevi i telegiornali come ci ricamerebbero sopra il giorno dopo! Ottomila malati di tumore, per essere andati a sentire Sting: sarebbe un fatto! Io ho fatto di tutto per spiegare (capo non cosparso di cenere!) cosa intendevo, e cioè che questa enorme confusione, questo gigantesco spreco del termine "arte", finisce poi per fare ammalare, in maniera secondo me mortale, il nostro "spirito" (altro termine pericoloso, perché è un dato ineffabile, un dato poetico, impalpabile). D'altra parte un artista, se di artista vero si tratta (e questo, lui, per quanto ne sia convinto, non lo può sapere, perché, in genere, si sa molto tempo dopo la morte del personaggio), dovrebbe essere talmente permeato di questo "spirito d'arte" da non poter sopportare qualsiasi uso improprio di tutto ciò.

Arrivando qui, mi sono spaventato quando ho sentito che proprio su questo tema, sul discorso dell'arte, avrei dovuto intrattenervi, o intrattenerci, un po'!

Nanni - Sì, insieme!

Bussotti - Insieme! E di fronte ad un'enumerazione molto precisa, come quella fatta per presentarmi (che tra l'altro accarezza la mia smisurata vanità, pur ricordandomi cose che preferirei aver dimenticato), mi sono sinceramente spaventato, perché a tutto ciò si deve poi rispondere! E bisogna rispondere mettendo l'accento sulla parola polivalenza, polisignificato, polidisciplina, e c'è una serie infinita di poli diversi.

Nanni - Non di polli però!

Bussotti - No, no... che richiederebbe di giustificarsi su tutti questi piani. Ora mi sembrate tutti quanti un pubblico ministero. e vi spiego il perché.

Forse qualcuno di voi, anche se siete giovanissimi, ricorderà che da qualche anno c'è una lite giudiziaria abbastanza buffa e curiosa, tra due rock star: una di statura mondiale, che è Michael Jackson, l'altra di statura, diciamo nostrana, che è Albano Carrisi. A questi due artisti sarebbe capitato un accidente che i musicisti conoscono bene: sono inciampati tutti e due, a distanze notevoli (l'uno nella California, l'altro nella Ciociaria) sullo stesso sasso. Insomma, non è inconcepibile che un sasso assomigli.

Nanni - Ad un altro sasso!

Bussotti - Esatto: un sasso californiano può assomigliare ad un sasso della Ciociaria! Ma la SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), questa cosa altissima che sta sopra noi tutti (alta perché possiede tra i grattacieli più alti, in senso materiale, costruiti nel mondo!), ha posto l'accento sul fatto che il secondo, in ordine di tempo, ad inciampare sul "quel" sasso era Michael Jackson, e dunque si trattava di un sasso di proprietà del Carrisi Albano, e. non andava toccato. Ma, per venire al fatto artistico nella sua pochezza, vediamo cosa era successo. Nelle tradizioni antiche (negre per l'uno, ciociare per l'altro) esistevano dei motivi popolari pressoché identici da tempo immemorabile. Senza dubbio tutti, più o meno, ascoltano la musica, dunque è facile capire che più è semplice il motivo e più è normale che questo motivo venga canticchiato nello stesso preciso e identico modo a tutte le latitudini (compresi gli astronauti!). Se poi vogliamo studiare scolasticamente un po' più da vicino la vicenda, allora ci divertiamo, perché scopriamo che Bellini spudoratamente copiava quell'altro, e che storicamente i più spudorati erano quelli che copiavano se stessi; l'hanno fatto tutta la vita Vivaldi e Rossini: il mio maestro Dallapiccola diceva che Vivaldi ha scritto 480 volte lo stesso concerto! Rossini perdeva addirittura il conto: poteva anche succedere che scrivendo rapidamente la "trentaquattresima" opera nuova, doveva prendere dei brani interi da un'altra opera (magari di due anni prima), e questa doveva far ridere, mentre quell'altra doveva far piangere. Insomma, accadevano delle cose inverosimili!. E questo "travaso" del suono e delle idee musicali, accadeva da un cervello allo stesso cervello: figuriamoci da un cervello ad un altro cervello! Tutto ciò è normale ed è sempre stato normale!

Fatto sta che questa causa specifica (Jackson - Carrisi), che si dovrebbe definire il 27 aprile prossimo in un'udienza davanti ad un tribunale penale a Roma (iniziò davanti ad un tribunale civile di Milano), mi vede come perito super partes del giudice: dovrò dimostrare quello che penso - naturalmente concedetemi di non svelarvelo, anche se ho già svelato sostanzialmente.  

Nanni - Troppo!

Bussotti - Sì, tantissimo! Ecco perché mi sembrate un pubblico ministero! Ma questo bisticcio in fatto di musica, mi fa venire in mente che tra le ultime frasi che mi hanno presentato, si sottolineava una presenza molto forte nel mio lavoro al dato che definirei: sensibile. Si è parlato di sensualità e di affetti. Recentemente mi è capitato di intitolare un brano per tenore e pianoforte tenore di forza, tenore di affetti: erano definizioni anche pratiche, non moltissimi anni fa, infatti tenore di forza è uno con una gran voce, mentre il tenore di affetti ha una voce tenera. Sì, si tende ad esprimere. Se lo si fa in maniera spontanea (come sto facendo io ora), siamo ancora nel campo dei romanticismi: si può toccare il "tasto del sensibile" in maniera dimentica del pentagramma o del videogramma se scriviamo musica, o, in pittura, far nascere un dipinto da una tela su cui si è semplicemente pulito un pennello sporco di colore. Ma oggi i tavoli non hanno più né tastiera né pentagramma, né niente: hanno solo. il mouse! Un topolino che gira rapidamente e che vi fa vedere e leggere rapidissimamente delle informazioni. Noi siamo ormai abituati, quando si accende quasi casualmente un televisore vicino a noi, a vedere generalmente dei ragazzini e delle ragazzine che giocano con questo topolino, e credo non ci faccia nessun effetto passare dalla televisione allo schermo cinematografico (molto più romantico e grandioso): andando al cinema, sono ormai rarissimi quei films dove non c'è l'immagine del ragazzino che gioca con le tastiere dei computer, anzi tutta la storia spesso nasce da questo mouse, da questo topolino. Io stesso ho avuto degli shock fortissimi! Sono felice che oggi non mi sia capitato, ma in una circostanza simile a questa (in California, all'Istituto musicale di una delle tantissime università americane), ho dovuto assistere ad una scena sconvolgente: un mouse che viaggiava raccontando (in vece della mia propria voce) la storia della mia vita. L'unica cosa che ho realmente capito era il nome del mio gatto, che era scritto correttamente !. ma insomma, c'erano pagine, pagine, pagine.

Nanni - Scritte da un topo, eh?!

Bussotti - Esatto. da un topo! E mi sono un po' offeso e risentito! Ho pensato: "ma guarda come sono famoso, però come sono indiscreti!". Insomma sapevano veramente tutto della mia esistenza anche privatissima e personale! L'America ha quindi provocato in me un vero shock: vedere un topo che rincorreva il gatto che sapeva tutto di me.?!

Io personalmente, non solo non possiedo quell'apparecchiatura (il computer)[6][6], ma non la capisco e mi spaventa. L'unica cosa che mi affascina, quando vedo i ragazzini al cinema che agiscono su questa tastiera, è l'associazione che mi viene con i pianisti. Le dita di questi ragazzi si muovono molto rapidamente, più rapidamente che su qualsiasi tastiera di pianoforte: su questa tastierina fanno veramente dei trilli, dei tremoli (le robe più veloci che si sentono con un pianoforte!), che mi riempiono di ammirazione. Tutto ciò mi fa dimenticare il film, non guardo più le immagini, non ricordo più la storia, ma sono lì che guardo le dita, queste dita espertissime di bambini al di sotto dei dieci anni (perché il ragazzino micidiale, che fa scoppiare la guerra mondiale con questo gioco, deve avere 8-9 anni al massimo, altrimenti il gioco drammaturgico non esiste più!).

Con quello che ho detto fino ad ora, ho forse abbandonato il campo seminato, o forse ho seminato troppo, senza arrivare ad un costrutto, d'altra parte dovrei mettermi a cantare (torno all'inizio!), o a danzare, o quant'altro.: credo sia giusto, insomma, aver fame di conoscere qualcosa di artistico del sottoscritto. Quindi concludo, se volete, leggendo un paio di pagine del mio libriccino.

Nanni - Sì!

Bussotti - Credo sia la cosa più giusta, sperando che poi mi facciate chiacchierare ancora, chiacchierando voi; mi piacerebbe sentire. dei timbri. dei suoni di voci!

C'è l'ultima di queste composizioni poetiche, che è intitolata WUNDERKAMMER[7][7]: in tedesco significa "camera meravigliosa". Ancora tra gli ultimi re e imperatori tedeschi e austriaci era comune ordinare agli artisti (provenienti da diverse discipline) di creare, nei loro castelli, camere meravigliose: luoghi meravigliosi da tutti i punti di vista, non ultimo anche quello del suono, compreso l'eco dei passi (si effettuava un calcolo preciso degli spazi affinché la voce divenisse bella). E WUNDERKAMMER dice questo:

è qui che scrivo. Emozionato reggo

a mani aperte la rilegatura

da tre punti di cuoio fissati dentro

tenuta su. Vergato in seppia oscura

Libro Annona principia l'anno mille-

Settecensettantanove in alto al centro

veloci freghi sotto. Altro non leggo

m'arresta forse odor di sacrilegio

tredici lustri e più della mia vita:

Mathématiques sévères il florilegio

ben costruito dall'adolescenza

verso la Francia e Parigi l'agguerrita

teoria di Max Deutsch farà faville

stampa l'ortografia un Sylvano (y greco)

suda l'espressionismo. L'aseriale

poi armonica poi classica omniscienza

imparata pian piano al Comunale

sordo teatro e un generoso spreco

sotto la vitrea cupola del bagno

brilla di luna in luna ragno e ragno.

Mia Wunderkammer dove un faunetto

s'insinua e fustiga godendo eretto.

(Ventitreesimo verso del poema).                     

                            (Genazzano, 2 giugno 1997)

Se mi consentite, commento alcune cose, perché è un poema mediamente oscuro. Ho letto male, ma ho cercato anche di sottolineare alcune cose: le più evidenti sono la rima e il metro. Il metro è l'endecasillabo, molto classico e severo, e la rima è attentissima. La rima per un musicista è molto importante, perché consente di far rimare (oltre alle parole) dei suoni: trovare dei contatti armoniosi con il suono. Al di là di questa struttura, semplice e anche molto classica, ci sono elementi importanti da chiarire. Il libro dell'Annona, per esempio, è in effetti un oggetto che possiedo e che mi procura una certa emozione nel toccarlo: è un vecchio libro, datato 1779, cucito con un grosso spago di cuoio, il cui titolo dice proprio: "Libro Annona, pricipia l'anno millesettecensettantanove". Molto probabilmente era il libro di un sensale o di un amministratore di un castello, su cui venivano annotate entrate e spese (la cosa più banale del mondo!). Dico che lo reggo in maniera emozionata. Quando scrissi questa poesia avevo l'intenzione sacrilega (ho infatti parlato di sacrilegio) di utilizzare la copertina di questo libro per scrivere della musica, o lo stesso poema Wunderkammer, o dipingervi qualcosa. Tuttora il sacrilegio è da compiere.

Nanni - Cosa ti ha trattenuto?

Bussotti - Non te lo so dire. Qualche volta capita persino a me di essere pudico: naturalmente quando nessuno mi vede, perché, se mi vedono, il pudore se ne va immediatamente per la forte voglia di esibirmi. ma quando nessuno mi vede, posso anche aver paura di toccare questo oggetto! Mathématiques sévères è un termine utilizzato da Lautréamont in un suo famosissimo libro (utilizzato tantissimo prima dai surrealisti in Francia, poi dai futuristi in Italia), che ha implicita, in sé, una protesta: lo studio delle matematiche, nel senso plurale del termine, è qualcosa di severo, ma queste sono invocate da Lautréamont in maniera poetica (Oh mathématiques sévères). Quando poi parlo di florilegio ben costruito dall'adolescenza verso Francia e Parigi voglio sottolineare che quando ero un ragazzo tra i 16 e i 18 anni, volevo andare in Francia a tutti i costi. Oggi non sembra nulla di speciale, ma, quando avevo quell'età, andare in Francia costituiva un problema materiale: però ci sono riuscito. Nella poesia c'è un nome: Max Deutsch, che è stato uno dei miei maestri musicisti (forse il principale, da molti punti di vista) che ho conosciuto quando aveva circa settanta anni. A Parigi ho frequentato per alcuni anni un corso libero che teneva a casa sua. Notevole era l'interesse dell'incontro con questo maestro, perché sapevo che veniva in linea diretta dalla scuola di Vienna di Arnold Schönberg (del quale era stato allievo, frequentando poi quotidianamente personaggi come Anton Webern o Alban Berg). Grande la mia delusione quando, entrato in classe di Max Deutsch, mi accorgo che il soggetto d'analisi del corso di quell'anno era Tosca di Giacomo Puccini. A quell'età ero molto meno indulgente nei confronti di Tosca di Puccini, di quanto non lo sia stato successivamente (mettendola anche in scena all'Arena di Verona), perciò ero estremamente deluso e stupefatto. Mi aspettavo di vedere Moses und Aron, opera di Schönberg, o qualcosa di un po' più vicino a quelle che erano le mie curiosità di allora. Devo però riconoscere (con il famoso senno di poi) un'importanza fondamentale a questa lunga analisi.

Che altro c'è rimasto da sottolineare della poesia? La Y del.

Nanni - Del Sylvano!

Bussotti - Per quanti anni è stata una croce per me questa storia?! E a quanti illustri giornalisti e musicologi ha dato armi furibonde contro di me?!

C'era un tempo in cui riviste o giornali (quando avevo circa 20-25 anni) venivano pubblicate in grandi proporzioni; in uno di questi giornali mi capitò di leggere un bellissimo titolo, L'y che adorna il suo nome di battesimo, firmato dall'illustre Fedele D'Amico: si capiva che l'articolo sarebbe stato una stroncatura del sottoscritto! D'altra parte questa y mi è piovuta addosso, intorno ai 23-24 anni, per un errore di proto. In francese il nome Silvano si scrive con la y, così un giornalista francese, scrivendo un articolo relativo ad un mio corso-concerto estivo, scrisse il mio nome proprio con la y. Poi si rese conto dell'errore e mi scrisse una lettera di scuse molto fantasiosa; si scusava per l'uso improprio della grafia del mio nome, suggerendomi però di sopportarlo e addirittura di adottarlo definitivamente, perché, secondo lui, la y sembrava un uomo a braccia aperte, simbolo del mio futuro di musicista: l'arte mi tendeva le braccia! Figuratevi se mi sono fatto pregare?! Da quel momento ho scritto Sylvano senza più pensarci!

Vorrei bruscamente congedarmi, perché credo di aver terminato il tempo a disposizione.

Nanni - No, no, no.

Bussotti - ..e ringraziarvi dell'attenzione e pregarvi di farmi 1003 domande. Grazie.

Nanni - Bene, dunque adesso tocca a voi. Penso che i musicisti presenti (che sono venuti apposta per l'occasione, e li ringrazio) abbiano qualcosa da chiedere, ma lascerei prima spazio agli studenti. Mentre Bussotti parlava, ho visto qualche commento silenzioso a qualche passaggio, dunque ora sarebbe il momento di esplicitare, senza pensarci troppo.

Studente - Volevo avere qualche anticipazione dello spettacolo che si terrà qui a Bologna..

Bussotti - Anche se si terrà il 1° aprile, non sarà un pesce d'aprile! Si tratta di una data vera e io ne sono innocente! Non sarà uno spettacolo, ma un concerto per solo pianoforte, che comprende un ampio raggio delle mie musiche pianistiche, dalle prime che ho scritto a quelle più recenti. Credo ci sia anche una prima assoluta: per la prima volta sarà fatto sentire in pubblico un brano che ho scritto alla fine degli anni quaranta, che avevo perduto ma che qualcuno ha ritrovato. L'aspetto "spettacolo", siccome mi sarà imposto per ravvivare una sede piuttosto fredda e cupa (anche se dipinta di bianco!), lo farò io, se sono in vena e se il pubblico mi aiuterà.

Approfitto anche per segnalare, per chi avesse voglia e possibilità di viaggiare, l'indomani ad Orvieto l'esecuzione dal vivo del mio Rara Requiem, una delle composizioni più monumentali sia per la durata che per il numero di musicisti necessari per eseguirla. Ci tengo tantissimo, perché è "una grandissima opera d'arte"!.

Nanni - Dunque, questo il 2 aprile ad Orvieto.

Bussotti - E, per continuare a segnalare, il Rara Requiem verrà riproposto a Venezia il 17 ottobre al Pala Fenice.

Studente - Io volevo fare un'altra domanda. Un aspetto del suo lavoro, magari meno conosciuto, è stato la collaborazione con la rivista Frigidaire: come si è sviluppata?

Bussotti - È nata per un'amicizia, come spesso accade per questo genere di cose. Un giovane fotografo, Luciano Morini (purtroppo scomparso prematuramente), mi fece una serie di ritratti, tutti casuali, in cui indossavo una camicia rossa e degli occhiali da sole rossastri. I responsabili della rivista hanno poi fatto un disegno ispirato a queste fotografie, e .

Studente - Credo l'avesse fatto lo stesso Morini.

Bussotti - E, forse perché non sapevano cos'altro proporre, hanno messo nella copertina del numero 1 dell'annata successiva questo disegno. I rapporti furono prolungati: hanno pubblicato anche dei testi e finanche un servizio su di me, che tra l'altro diede luogo, nel comune di Viareggio, a delle veementi interrogazioni di un consigliere comunale di estrema destra contro il sindaco di estrema sinistra (allora ne esisteva ancora un barlume!). In questo servizio, mi si vedeva fotografato appoggiato ad una figura nuda dietro alle mie spalle: praticamente gli appoggiavo la nuca sulle chiappe. Nella didascalia si scriveva che quello era l'angelo custode venuto fuori per magia fotografica e io sottolineavo che l'angelo custode, se custodisce veramente, volta la schiena perché guarda le spalle! Da ciò è successo l'ira di Dio! Ma questo fatto cementò anche l'amicizia con molti responsabili della rivista: tutt'oggi, nel mio studio di lavoro, c'è un quadretto con incorniciato un fumetto della rivista, con una frase (irripetibile!) dedicata al sottoscritto.

Nanni - Qualcun altro vuole intervenire?. Magari sul concerto rock?!

Bussotti - Ci sono delle ottime pillole, che si possono prendere prima di andare ad un concerto rock.!

Nanni - Tu, Franco, volevi chiedere qualche cosa?

Ballardini - Le cose sono tante. Una prima curiosità sarebbe di conoscere i progetti, i programmi.

Bussotti - Cerco di rispondere con ordine. I progetti sono curiosi: capita ormai (e solo agli artisti fortunati, a cui le istituzioni fanno ancora commissioni modestamente retribuite, ma garantite in luoghi di prestigio!) di doversi rifare a centenari o bicentenari (cento anni che è nato quello, o duecento anni che è morto questo.) di grandi personaggi. Certi rapporti si stanno incrociando tra Francia e Italia (i miei luoghi linguistici più frequentati): un centenario pesantissimo, quello di Giacomo Leopardi, e un altro, non più leggero, che è quello di Stephane Mallarmé. Per entrambi ho delle sollecitazioni; sto cercando, nella mia testa, di interscambiare Leopardi con Mallarmé, e viceversa: cerco di immaginare come avrebbe reagito l'uno alle sollecitazioni dell'altro. Per ora sono solo idee e prove, ma c'è ancora un po' di tempo: per Leopardi, a dire il vero, non tanto, visto che è questo l'anno in questione, ma la gobba (del poeta) è talmente grande che proietta un'ombra fino al 2000!

Materialmente, per ora, sto invece cercando di creare un modello: sto scrivendo un'opera, sostanzialmente musicale, che si intitola Modello. Si tratta di una partitura classica (grandi fogli con tanti pentagrammi, per l'esattezza 28) per cimentarmi nella quale ho atteso ben 43 anni. Il modello in questione è la forma del concerto per violino e orchestra. Devo a questo punto premettere che fino ai 13-14 anni ero ritenuto un fanciullo prodigio per il violino, e proprio quando ricevetti i primi sussidi economici dal Conservatorio, lasciai lo strumento. A quell'epoca si teneva a Roma un Festival denominato Musica del XX secolo, organizzato dal russo Nabokov (non il famoso Nabokov, autore di Lolita, bensì il fratello, compositore e musicista). Durante questo festival, per il quale mi allontanai da Firenze (per Roma, appunto), si tenne anche un convegno, a conclusione del quale fu proclamato un bando di concorso, in cui si invitavano i giovani compositori, a scrivere un concerto per violino e orchestra per l'anno successivo, tenendo conto del fatto che, purtroppo, da molto tempo non se ne scrivevano più. Io obbedii d'impulso: tornato a casa mi misi subito al lavoro! Ma tra gli osservatori europei, presenti al festival, c'era niente di meno che Pierre Boulez, il quale poco tempo dopo, pubblicò su una sua rivista, un commento tremendo sulla richiesta fatta a questo convegno. Ironizzava sulla sentita mancanza del concerto per violino e orchestra e seguiva una serie tremenda di commenti su questa forma classica. Letto questo articolo, mi sono ovviamente ritirato nel mio guscio, e sono passati ben 43 anni da allora. Ora mi sento libero di scrivere. Si tratta di un concerto che tiene conto attentamente non solo di quello di Beethoven, ma anche di quello più autenticamente romantico, quello di Cajkovskij. Il violino e l'orchestra dialogano, quando dialogano, in rapporti preferirei dire neoclassici, ma l'effetto che vorrei ottenere è. di far piangere almeno il destinatario (perché sarà senz'altro dedicato alla stessa persona alla quale da 27 anni dedico la totalità dei miei lavori). E se fallisco. aver aspettato 43 anni per non riuscire a farlo piangere.?!

Nanni - Qui c'è anche il professor Mario Baroni, che forse voleva chiedere qualcosa, vero?!

Bussotti - Aveva detto che andava via, invece. mi fa piacere che sia rimasto.

Nanni - Ho visto gli occhietti che ogni tanto lampeggiavano.

M. Baroni - Una sola cosa. Dicevi prima, anzi qualcun altro diceva, che c'è un punto di differenziazione tra te e gli altri musicisti: questa sensibilità corporeo-tattile, oltre che emotiva, si parlava insomma di sentimento. La parola mi ha stupito, perché è un po' obsoleta rispetto le parole che di solito si usano adesso, e certo è una parola che, in fin dei conti, dice poco: dice che uno vagamente sente, ma che contenuti diamo a questo sentimento, se è effettivamente vero che esiste dentro di te?!      

Bussotti - Ti sei salvato, anzi mi hai salvato, proprio con le ultime 3-4 parole, e con quel "se veramente esiste dentro di te". Non so esattamente quanto sono alto, né quanto sono largo, ma certo sono un modesto vaso ricolmo di sentimenti, e quel che è peggio, è che sono convinto che qui ci siano diversi vasi, volenti o nolenti (tu compreso!) ricolmi di sentimenti, perché non se ne può fare a meno. Ricordo persino che uno degli ultimi anni in cui insegnavo alla scuola di musica di Fiesole, mi proposi, imitando il maestro Deutsch, un tema per l'anno intero: "la poetica del sentimento". La poetica del sentimento è fondamentale per un musicista, soprattutto se autore di opere teatrali, che devono grondare di sentimento: compito delle opere è saper esprimere sentimenti a circa 2000-3000 persone per volta (il pubblico di un teatro d'opera). E alcuni miei allestimenti di opere, quali il Simon Boccanegra di Verdi, non sarebbero riusciti a resistere a oltre 17 anni di continue messe in scena, se non ci fosse stata una quantità enorme di sentimento nel produrli. Lo stesso sogno di John Cage, a cui sono stato avvicinato nella presentazione, era di rappresentare una sua opera teatrale alla Scala, e di far piangere! Certo, quando ho detto che desidero far piangere qualcuno col mio concerto per violino e orchestra, sono forse caduto nel sentimentalismo, ma cosa succede ad avere tutto questo pudore e tutto questo rispetto accademico del sentimento. che ce lo ruba Eros Ramazzotti! Il quale fa i miliardi con la forma più semplice, immediata, seducente e sentimentale del sentimento!

Studente - Io vorrei riaccendere la discussione su Eros Ramazzotti. Qualche settimana fa mi è capitato in mano un libro di Baricco, che forse ha letto.

Bussotti - No, non leggo i suoi libri, ma conosco lui: è molto carino da vedere, ma non altrettanto da leggere! Comunque, forse li leggerò.

Studente - Il libro in questione si intitola L'anima di Hegel e le mucche del Winsconsin[8][8]

Bussotti -Sì ho visto il titolo.

Studente - Si tratta di una riflessione sulla modernità in musica. Questo libro mi ha scosso e anche un po' depresso, nel senso che.

Bussotti - Vedi che ho ragione io: i suoi libri non sono da leggere!!!

Studente -  Ci sono delle riflessioni sul malessere della musica del Novecento. Baricco fa partire questa malattia, in pratica, da Schönberg, addirittura dai pezzi op. 11. Lei, credo si trovi dentro a questa cosa fino al collo, e penso debba lottare con questo problema. Come reagisce a questa incomunicabilità con il grande pubblico?

Bussotti - Non voglio apparirvi presuntuoso, ma non mi è praticamente mai capitato! Non lo sento e non lo vivo come un problema! Ti darei la facile risposta di Brigitte Bardot quando fu interrogata su come viveva il problema del sesso: "è la soluzione di tutti i problemi!". Il pubblico ha sempre risposto positivamente.

Parlo spesso di Ramazzotti, a volte anche ironizzando, ma lo considero un artista: ha una voce stupenda ed è inventore di personaggi e canzoni di un certo interesse. Anzi lo vorrei a cantare la mia musica! Dopotutto non mi chiamerebbero a fare il super partes della questione Jackson - Carrisi, se non fosse risaputo un mio interesse reale per queste questioni.

Studente - A differenza della sua discussione con Veltroni (che ricordava prima), ora mi sembra che sia passato ad una bieca difesa del rock. Non credo che il rock abbia bisogno di essere difeso, forse la musica contemporanea ne avrebbe più bisogno.

Bussotti -  È giustissimo ciò che dici, tant'è vero che se ho fatto un'affermazione così violenta, invocando spettri di malattie inguaribili, è perché la situazione ufficiale sta diventando pericolosa: c'è un progetto di legge (che si teme venga approvato tra qualche mese) che vuole incentivare, in maniera sostanziale, la cosi detta "musica popolare contemporanea": pop, rock, Renzo Arbore, ecc. Qui siamo in un'aula universitaria, perciò la conoscenza di un qualsiasi tipo di linguaggio, tra cui quello musicale, è dovuta al grado di istruzione; ma il grado di istruzione di un cittadino comune di qualunque paese, città o continente, è quello che gli è concesso dalle leggi vigenti. Ebbene, lo studio della musica nel nostro paese è ancora lontanissimo dall'essere obbligatorio, anzi non la conosce quasi nessuno (solo piccolissime minoranze). Ovviamente per "conoscere", non intendo necessariamente uno studio approfondito, bensì una pratica musicale: ma se la pratica musicale è fatta col mouse. non ti rimane nulla: ecco perché ci si deve affidare a messaggi musicali ingigantiti, per esempio, dalla televisione; e la musica, per la maggioranza di persone nel mondo, è proprio quella. La possibilità di distinguere tra uno stile ed un altro, è retaggio di una strettissima minoranza nel mondo. Concludo con una frase di Proust, che come saprete ha avuto frequentissimi, meravigliosi e tormentati rapporti con la musica: "guai a chi parla male della cattiva musica! Essa è la grazia e l'idea di milioni di persone, senza la quale con la musica non avrebbero nessun tipo di rapporto".

Studente - Ho capito quello che a lei non piace, e sono d'accordo con molti suoi punti di vista; però io che vivo in questa realtà moderna, dove esistono 2000 generi (cross over, techno, pop, disco, jazz, ecc., e io sono un grande appassionato di rock) non riesco a capire, a questo punto, chi è veramente "artista"; si è parlato di chi "non è artista", questo significa che non c'è niente altro che mouse e computer? Oltretutto io non conosco la sua musica.

Bussotti - Ah, allora comincia subito!

Studente - Vorrei, insomma, capire qual è la sua idea poetica riferita al contesto moderno.

Nanni - In senso positivo!

Bussotti - Nei periodi in cui ho insegnato, in particolare alla scuola di musica di Fiesole, mi sono accorto di cominciare i corsi con 40-45 iscritti (che è un numero altissimo per questo tipo di corsi), ma nel giro di 4-5 anni mi trovavo con 5 iscritti circa. Questo perché li ho scoraggiati! Li ho scoraggiati perché sono convinto che l'opera d'arte, musicale in particolare, sia qualcosa di molto raro: durante 100 anni, si possono trovare 2, massimo 3, persone (e io, oggi, ne vedo solo 1 e mezzo!) capaci di fare da parafulmine a quel fulmine che è l'arte. Se c'è questo grande musicista, ho l'obbligo di credere di essere io! (Dunque ti prego di ascoltare la mia musica!). E finché io resterò in vita, non ce ne saranno altri! Questo è molto duro da accettare per persone che studiano, oltretutto con me, per un anno intero o più!

Sono anche un convinto fautore del rapporto intimo, stretto e personale della musica: la musica andrebbe ascoltata con un violoncello che suona accanto a te, meglio ancora se il violoncello lo suoni tu! Ti invito quindi ad avere, prima di tutto, un rapporto più ampio con i generi musicali (sei giovanissimo, dunque hai tempo per poterti guardare attorno, non limitandoti al rock, il cui successo poi è determinato più dalla popolarità della rock star che dal valore della musica!), e di farne un rapporto più personale e solitario.

Nanni - Posso chiederti una cosa, una curiosità? Quali sono i tuoi rapporti con la critica? Sei stato capito, ti sei trovato bene?

Bussotti - Se posso risponderti con una parolaccia, firmata però Erik Satie. Satie fece otto giorni di prigione per aver inviato ad un critico musicale, che l'aveva stroncato totalmente, il seguente telegramma: "Lei, signore, è un culo ma non suona!". Io con la critica ho un rapporto simile. Ho avuto rapporti tesissimi.

Nanni - Beh! Accontentiamoci di questo silenzio, ben più eloquente di tante spiegazioni. Ringrazio sinceramente Bussotti di avere accettato il nostro invito e di tutte le cose che ci ha detto. Le terremo con noi e all'occasione ne faremo prezioso documento di riflessione. Grazie a tutti e . buona sera.


[1][1] SYLVANO BUSSOTTI, Non fare il minimo rumore, 29 poesie e una prosa 1982-1997, edizioni del Girasole, Ravenna giugno 1997.

[2][2] UMBERTO ECO, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962.

[3][3] MARIO BORTOLOTTO, Fase seconda: Studi sulla nuova musica, Einaudi, Torino 1969.

[4][4] "Le cinque tentazioni di Bussotti", tratto da M. BORTOLOTTO, Fase seconda: Studi sulla nuova musica, Einaudi, Torino 1969, p. 201.

[5][5] Citazione tratta da E. Canetti, in SYLVANO BUSSOTTI, Non fare il minimo rumore, op. cit., p. 57.

[6][6] Oggi, 2002, il maestro Bussotti possiede, "ahimé" (sostiene), un computer, anche se si ritiene ancora molto lontano dal saperlo utilizzare.

[7][7] Tratto da S. BUSSOTTI, op. cit., p. 55

[8][8] ALESSANDRO BARICCO, L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Garzanti.

 

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