events
themes
call for papers
ideology busters
links
staff

Home

Paesaggi mediterranei tra visioni del Lorrain e miti virgiliani

Ettore JANULARDO

“Io solea maravigliarmi insieme e dolermi che tante ottime e divine arti e scienze, quali per loro opere e per le istorie veggiamo copiose erano in que’ vertuosissimi passati antiqui, ora così siano mancate e quasi in tutto perdute: pittori, scultori, architetti, musici, ieometri, retorici, auguri e simili nobilissimi e maravigliosi intelletti oggi si truovano rarissimi e poco da lodarli. Onde stimai fusse, quanto da molti questo così essere udiva, che già la natura, maestra delle cose, fatta antica e stracca, più non producea come né giuganti così né ingegni, quali in que’ suoi quasi giovinili e più gloriosi tempi produsse, amplissimi e maravigliosi”.

Se la considerazione iniziale dell’albertiano prologo al De Pictura individua d’emblée i termini e i tempi delle trascorse virtù della creazione artistica – in feconda compenetrazione tra ingegno e natura –, l’architetto ripercorre la tradizione che fa del dato naturale il paradigma di una lettura umanistica della storia. Patrimonio dei numi e della cristiana divinità, la vicenda storica si affida al volto e alle proporzioni dell’uomo – che il trattatista considera con attenzione – per rendersi raccontabile nelle pagine degli scrittori e visibile nelle raffigurazioni artistiche. Nella Vaticana Stanza dell’Incendio di Borgo, alla quale si dedicano Raffaello e aiuti tra il 1514 e il 1517, l’episodio del fuoco divampato nei pressi della basilica di S. Pietro, nell’847 secondo il Liber Pontificalis, diviene il motivo di una articolata costruzione architettonico-spaziale che si confronta con la contemporaneità e con il mito dell’antico. Alla drammaticità della scena evidenziata da una premanieristica composizione asimmetrica, in spazi discontinui, e corpi in tensione dal tratto michelangiolesco, fa da controcanto il gruppo sulla sinistra della scena: i tre personaggi maschili riproducono l’iconografia della fuga da Troia in fiamme di Enea, con il padre Anchise sulle spalle, e Ascanio; mentre la donna all’estremità della scena è identificabile con la nutrice Caieta (Fig. 1).

Lungo la linea della trattatistica albertiana, l’arte umanistico-rinascimentale italiana fa della narrazione storica – e della sua ambientazione in luoghi e spazi a misura d’uomo – un genere alto, comparabile solo alla pittura a soggetto sacro. Il mito e i racconti della classicità possono così essere inseriti, come nell’affresco vaticano, in una logica architettonica che si fa teatro dello spazio urbano: dal quale è espunta la natura come acque, rocce, vegetazione. Cristallizzati nella loro presenza di fondali, luminosi come nella tradizione umbro-peruginesca o vaporosi nella visione veneta, i brani di paesaggio restano una forma di pausa rispetto all’articolarsi, drammatico o fideistico, della vicenda al centro dell’interesse pittorico; e anche dove la natura appare protagonista – vegetazione, cielo solcato da bagliori nella Tempesta di Giorgione – l’inquadratura della scena definisce una lettura della proporzione tra personaggi e contesto naturale/costruito in ottica di equilibrio, senza cedere a suggestioni anti-umanistiche di ambiti artistici extra-italiani.

Circa un secolo più tardi, con le cosiddette “Lunette Aldobrandini” di Annibale Carracci e aiuti – Francesco Albani, Giovanni Lanfranco, Sisto Badalocchio –, la visione paesaggistica assume rilevanza tale da costituire definizione della scena: il Paesaggio con la fuga in Egitto, il Paesaggio con la sepoltura di Cristo e le restanti quattro tele, degli aiuti, ristrutturano nell’arte italiana la percezione del rapporto tra personaggi e ambiente. La ristrutturazione carraccesca del paesaggio non si realizza per disputa teorica rispetto alla concezione albertiano-italiana della priorità assegnata alla pittura di storia, ma fa sì che i protagonisti della vicenda sacra trovino risonanza nelle ampie sinuosità – naturali e costruite – di un paesaggio segnato da diagonali articolanti la messa in scena del divino nell’umano, dell’ideale nel reale tipizzato. Le lunette del Carracci, e in particolare il Paesaggio con la fuga in Egitto, divengono l’archetipo di una visione seicentesca capace di contemperare umano e natura, transustanziando gli apporti dell’arte oltremontana in definizione idealizzata di una nuova classicità, bucolico modello di tessitura scenica per la pittura italiana ed europea (Fig. 2).

La concomitanza a Roma, dal tardo ’500, di fattori diversi – trasformazioni urbanistiche, presenza di artisti stranieri di differente estrazione che tendono a specializzarsi in generi trascurati dagli italiani, attenzione per il disegno dal vivo poi rielaborato nell’opera dipinta, diffusione di immagini a stampa – fa sì che l’interesse per la rappresentazione dello spazio diventi nei successivi decenni, attraverso la fondamentale messa a punto idealizzante carraccesca, consapevole composizione di paesaggi che si confrontano con la memoria della classicità e con il racconto dell’antico.

Tra gli artisti stranieri attivi nel XVII secolo a Roma, tanto da passarvi gran parte dell’esistenza e da morirvi nel 1682, Claude Gellée “Le Lorrain” rielabora l’ideale paesaggio sacro-umano di Annibale Carracci trasmutandolo in visione panoramica mitopoietica. A Roma dall’età di quattordici anni, privo di forti riferimenti culturali, domestico presso Agostino Tassi e curioso di viaggiare e scoprire, è nello studio del quadraturista che appare essersi iniziato alla pittura. Dopo un soggiorno a Napoli visita la Francia e la Svizzera prima di stabilirsi definitivamente a Roma: ammesso all’Accademia di San Luca nel 1633, si dedica a un immaginifico campionario di scene ove l’accurata resa di edifici e paesaggi naturali si coniuga con una felicità inventiva resa particolarmente evidente dagli schizzi e dai disegni riuniti nel suo Liber Veritatis, sorta di catalogo di circa duecento opere con titolo, data e committente. Emblema nel Liber di una lettura sintetico-ricostruttiva dello spazio umano e naturale – ove il soggetto è pretesto per la creazione di effetti luminosi tra il bucolico e il pittoresco – è la Vue d’un port avec le Capitole, disegno a penna e inchiostro su carta azzurra relativo all’omonimo dipinto del 1636 conservato al Musée du Louvre: ove le figure sulla riva e gli edifici capitolini tra i velieri delineano un’inventiva scenografica visione (Fig. 3).

A Roma, il paesaggio diviene per Lorrain chiave di lettura del reale. Se le sue opere intorno agli anni ’30 raffigurano scene bucoliche con greggi e contadini al lavoro o in riposo, l’interesse dell’artista non è rivolto al soggetto ma agli effetti di luce: e l’inquadramento della visione mediante alberi raffigurati lateralmente consente la costruzione di un paesaggio sereno-ideale i cui piani slittano l’uno sull’altro attraverso un sistema di diagonali, riprendendo gli esempi di Paul Bril e del Tassi. Accanto alla percezione luministica dello spazio naturale, di ascendenza settentrionale, il Lorrain degli influssi romani non può non risentire del fascino del racconto dell’antico: le Metamorfosi di Ovidio e successivamente il Virgilio dell’Eneide divengono la fonte di una vicenda che si fa mito anche attraverso la definizione della scena pittorica, in grado di conservarne la vitalità. Ricchi di personaggi i dipinti di questo periodo: riuniti in gruppi punteggiano un’opera particolarmente significativa come il Paysage avec l’enlèvement d’Europe, del 1634, che costruisce la vicenda ovidiana all’insegna di una luminosità dinamicamente trascolorante, dalla densa penombra a sinistra in primo piano all’aprirsi del paesaggio verso il mare e l’atmosfera dorata del cielo, mentre il colonnato di un tempio circolare “retrodata” la scena (Fig. 4). Ma Lorrain, a differenza di Nicolas Poussin, non appare interessato a riesumare una antichità eroica bensì propenso ad ambientarvi studi di luce confacenti a una lirica sensibilità, nella quale l’orizzonte della visione oltrepassa i personaggi in primo piano per inoltrarsi in distanza.

È nel corso degli anni ’50 che Lorrain privilegia una maniera stilistica che lo allontana dalla tipologia pittorica fondata sui contrasti accesi in favore di una luminosità diffusa, con opere influenzate anche dalla modalità italiana di definizione “teatrale” della scena, ove le architetture non siano soltanto richiamo al passato ma anche elemento costitutivo dello spazio del dipinto. Accanto alla tematica mitologica di origine ovidiana emerge la raffigurazione della vicenda religiosa.

Attraverso la storia sacra, la tematica paesaggistica si presta ad ospitare anche episodi della cristianità. Riconsiderando l’esempio della pittura di matrice emiliana, e in particolare di Annibale Carracci e del Domenichino, già a partire dagli anni Quaranta Claude Gellée si consacra alla realizzazione di scene a soggetto biblico, oltre che mitologico, dalle più grandi dimensioni e dalla minore esasperazione di effetti luminosi ma con la costante predilezione per vedute ampie, capaci di far muovere lo sguardo dell’osservatore nelle aree luminose e in quelle ombrose del dipinto. E tale spazialità è ricordata da Céline nel Voyage au bout de la nuit quando scrive: “Il faut croire Claude Lorrain, les premiers plans d’un tableau sont toujours répugnants et l’art exige qu’on situe l’intérêt de l’oeuvre dans les lointains, dans l’insaisissable, là où se réfugie le mensonge, ce rêve pris sur le fait, et seul amour des hommes”.

In una fase ormai fortemente impregnata di classicità, circa sessant’anni dopo il momento fondativo del carraccesco Paesaggio con la fuga in Egitto ove la centralità della Sacra famiglia era il perno compositivo della lunetta, Lorrain ne declina nella piena maturità una versione all’insegna del viaggio come immagine dell’anima umana nell’esistenza terrena. Il Paysage avec le repos pendant la fuite en Égypte del 1661 – al quale il Liber Veritatis abbina un altro esemplare – consente all’artista di riarticolare e ristrutturare con alcune varianti un lessico figurativo ormai consolidato: gli alberi ai lati per inquadrare la scena, quasi a costituirne un’arcata d’ingresso; il colonnato (ora a sinistra rispetto a quanto visto nel Paysage avec l’enlèvement d’Europe) dalla trabeazione e dai capitelli suggestivamente resi come rovina architettonica; la definizione di piani diagonali delimitati ed evidenziati dai ponti su un corso d’acqua immobile come la vegetazione; la forte penombra in primo piano bilanciata da una pacata luminosità sullo sfondo. In un dipinto segnato dalla parsinomia di figure e dal venir meno di elementi potenzialmente distraenti, la Sacra famiglia sulla destra, con l’angelo apparso in sogno a Giuseppe, si illumina di luce endogena in prossimità del boschetto e, di dimensioni fuori scala rispetto agli esseri animati, enuclea in sé il portato religioso della raffigurazione.

Ma le scene proposte da Lorrain si situano tra il viaggio e la rappresentazione del tempo che scorre – vedute sono proposte dall’artista in differenti versioni per evidenziarne diversa luminosità – in una forma di religiosità tendenzialmente panica, adatta a rappresentare con analogo candore il toro del rapimento d’Europa come l’angelo nel Paysage avec le repos pendant la fuite en Égypte, in sostanziale disinteresse per l’esibizione del soprannaturale: imbevuto di profondo rispetto per la luminosa vitalità del paesaggio, Lorrain tende a privilegiare una scena in cui è già avvenuta, o ancora deve compiersi, l’epifania dell’oltre-umano e dalla quale sono assenti episodi drammatici o di violenza, anche solo atmosferico-meteorologica. Lontano dalla tempestosità del coevo Salvator Rosa, Lorrain si dedica a un personale immaginario di marine e porti inseriti nello spazio urbano, costruzioni tra le altre ma dalla asimmetrica facoltà di aprire la scena verso un ailleurs fatto di riflessi luminosi nell’acqua e di viaggi sotto il segno della solarità.

Dopo aver già dipinto scene tratte dall’Eneide, come Les femmes troyennes mettent le feu à leur flotte del 1643 (Fig. 5), negli ultimi dieci anni di vita Lorrain compone una serie di opere ispirate al poema di Virgilio coniugando senso del paesaggio, ambientazione classicheggiante e malinconica percezione del fluire del tempo.

Nella Marine avec Enée à Délos, del 1672, viene raffigurato Enea nell’isola sacra ad Apollo: nel gruppo alla destra del dipinto l’eroe troiano, abbigliato in rosso, è accompagnato dal padre e dal figlio Ascanio al loro incontro con il re Anio, figlio e sacerdote del dio. L’espediente consueto per Lorrain di creare un inquadramento della scena mediante degli alberi diviene qui funzionale a una sottolineatura interna alla vicenda: Anio indica l’ulivo e la palma tra i quali, secondo le Metamorfosi ovidiane, nascono i gemelli Apollo e Diana. Oltre le linee diagonali del dipinto, costruite con un ponte sulla sinistra, l’ampia veduta del mare si apre sulle navi nel porto, riferimento al viaggio di Enea e traslazione della mitica natura mobile dell’isola, sorta di zattera alla deriva prima che Latona partorisse i gemelli; mentre, introdotto visivamente da un colonnato in primo piano, il tempio del dio che domina parte del dipinto è modellato sul Pantheon di Roma (Fig. 6) .

Stanchi gli Eneadi il più vicino lido / si sforzano raggiungere e son volti / a le spiagge di Libia. Ivi s’addentra / profondo un grembo: un’isola fa porto/ co’ fianchi, a cui rompe da l’alto ogni onda / e in lontananti cerchi si divide. / Vaste rupi minacciano e due scogli / d’ambo le parti il ciel; sotto il lor ciglio / addormentato si dilata il mare:/ ma sopra è scena di vibranti selvee cupo rezzo di boscaglia bruna […]” (Virgilio, Eneide, I, vv. 157 sgg.):

ancora del 1672 è il Paysage avec Enée chassant sur la côte de la Libye (Fig. 7), che inscena elementi consueti – alberi ai lati, squarcio visivo sul mare, arcata, folta penombra in primo piano – dando vita a un contesto bucolico che, prima di far pensare a fantasie paesaggistiche da XVIII secolo inoltrato, non appare immemore di richiami all’universo figurativo del tardo-gotico; come sovente per Lorrain, il dipinto è accompagnato da disegni presenti nel Liber Veritatis.

Vi fu un’antica città, Cartagine, la occuparono coloni / Tirii, lontano contro l’Italia e le bocche Tiberine, / ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra, / che Giunone, si dice, abbia amato più di tutte le terre […]” (Virgilio, Eneide, I, vv. 12 sgg.):

la Vue de Carthage avec Enée et Didon (Fig. 8), del 1676, è emblematica della capacità di Lorrain di rimodellare scene precedenti nell’ambito di un nuovo episodio pittorico. Ricorrendo per la metà destra del dipinto a un impianto compositivo estremamente simile a quello della Marine avec Enée à Délos – anche nel rosso che identifica Enea e nella gestualità di Didone, impostata come quella di Anio –, l’artista conserva il precedente lessico figurativo del mare al centro della scena e della flotta troiana pronta a salpare; mentre i gradini digradanti dal colonnato ricordano la scalinata e la loggia – in posizione invertita – in una delle “Lunette Aldobrandini”, il Paesaggio con la Visitazione dell’Albani e del Badalocchio. Ma la struttura architettonica modellata sul Pantheon, verso la quale si tende il braccio della regina fenicia dipinta da Lorrain, appare qui prefigurazione dello scontro bellico tra le sponde del Mediterraneo, sotto un cielo meno luminoso e sereno rispetto ad altri dipinti.

Quei sudano al remeggio e notte e giorno / e seguono le lunghe curve; sotto / agli alberi scompaiono, solcando / per il placido pian le verdi selve. / Salito in mezzo al cielo il sole ardea, / quando i muri e la rocca di lontano / vedono e rare de le case i tetti […]” (Virgilio, Eneide, VIII, vv. 94 sgg.):

nel Paysage avec l’arrivée d’Énée devant Pallantée (Fig. 9), del 1675, la scena si addensa nella metà sinistra, segnata da una forte penombra in primo piano e dall’abitato in altura sullo sfondo, mentre l’arrivo di Enea appare contrassegnato dal cielo luminoso al di sopra delle imbarcazioni – al termine del viaggio – e da un addensarsi di nubi sulla costa; un analogo disegno dello stesso anno è nel Liber Veritatis.

Bellissimo era e di gran corna un cervo / […] / Quello, dolce a la mano e de’ padroniuso a la mensa, errava per le selve,/ poi da sé stesso a la sua nota casa, / quantunque a tarda notte, ritornava” (Virgilio, Eneide, VII, vv. 483 sgg.)

Al termine della sua vita, nel 1682, Lorrain conclude un Paysage avec Ascagne transperçant le cerf de Silvia che scarnifica la scena – la furia Aletto è suggerita dall’addensarsi delle nuvole, in quell’attimo sospeso tra pace e guerra prima dello scoccare della freccia – preservandone il dato naturale ed evidenziando l’episodio mitico-letterario come percezione di morte, misurata classicità intrisa di senso panico di un’esistenza trascolorante (Fig. 10).

Sotto il segno di una articolata combinazione tra schizzi – ove la dialettica è tra il chiarore del foglio e il segno scuro – e luminosità convenzionale nell’atelier, l’universo immaginario di Lorrain si stratifica attraverso effetti di luce e di rifrazione, autentici protagonisti dei dipinti rispetto ai piccoli personaggi che vi sono rappresentati. Su questa scia di partecipe visione della natura l’artista diviene già nella prima metà del XVII secolo un riferimento per la pittura europea: senza avere allievi diretti, Claude – come viene chiamato nel mondo anglosassone – è il protagonista di una lettura del paesaggio all’insegna di un pittoresco che mantiene vitalità anche nel ’700 e nella temperie romantica: basti citare l’ammirazione di cui lo gratifica William Turner, a sua volta autore di dipinti ispirati al racconto virgiliano. E inoltre, sorta di intellettual-sentimentale forma di land art, giardini all’inglese dal XVIII secolo in poi materializzano il processo di idealizzazione della natura proposta come composizione artistica in sé, quasi un’opera di Lorrain in dimensioni di paesaggio reale: la tenuta di Stourhead nel Wiltshire, con villa neopalladiana nonché giardini e boschi modellati secondo un gusto pittorico memore del cromatismo dell’artista francese, diviene allora l’ulteriore tappa di un itinerario tra parola e mito, tra immagine e natura.

Immagini

Fig. 1. Raffaello Sanzio e aiuti, Incendio di Borgo, 1514.
Affresco, 500 x 670 cm. Città del Vaticano, Stanze Vaticane

Fig. 2. Annibale Carracci, Paesaggio con la fuga in Egitto, 1603-1604.
Olio su tela, 122 x 230 cm. Roma, Galleria Doria Pamphilij

Fig. 3. Claude Gellée (Le Lorrain), Vue d’un port avec le Capitole, 1636.
Olio su tela, 56 x 72 cm. Parigi, Musée du Louvre

Fig. 4. Claude Gellée (Le Lorrain), Paysage avec l’enlèvement d’Europe, 1634.
Olio su tela, 170 x 199 cm. Fort Worth, Kimbell Art Museum

Fig. 5. Claude Gellée (Le Lorrain), Les femmes troyennes mettent le feu à leur flotte, 1643.
Olio su tela, 105 x 152 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art

Fig. 6. Claude Gellée (Le Lorrain), Marine avec Enée à Délos, 1672.
Olio su tela, 100 x 134 cm. Londra, National Gallery

Fig. 7. Claude Gellée (Le Lorrain), Paysage avec Enée chassant sur la côte de la Libye, 1672.
Olio su tela, 112 x 157,5 cm. Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts

Fig. 8. Claude Gellée (Le Lorrain), Vue de Carthage avec Enée et Didon, 1675-1676.
Olio su tela, 120 x 149,2 cm. Amburgo, Hamburger Kunsthalle

Fig. 9. Claude Gellée (Le Lorrain), Paysage avec l’arrivée d’Énée devant Pallantée, 1675.
Olio su tela, 175 x 224 cm. Cambridge, Anglesey Abbey

Fig. 10. Claude Gellée (Le Lorrain), Paysage avec Ascagne transperçant le cerf de Silvia, 1681-1682.
Olio su tela, 120 x 150 cm. Oxford, Ashmolean Museum of Art

 

Bibliografia

ARGAN 1968
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana. Dal manierismo al neoclassicismo, 1968, ediz. Firenze 2008

COTTE 1970
Sabine Cotte, L’Univers de Claude Lorrain, Paris 1970

HAUSER 1951
Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte II – Rinascimento Manierismo Barocco, 1951, ediz. it. Torino 2001

KITSON - WARRELL 2009
Alain Kitson – Ian Warrell, Turner et le Lorrain, Paris 2010

MEROT 2009
Alain Mérot, Du paysage en peinture dans l’Occident moderne, Paris 2009

RUSSEL 1983
Diane Russel, Claude Gellée dit le Lorrain (1600-1682), Paris 1983

SONNABEND 2011
Martin Sonnabend, Claude Lorrain: The Enchanted Landscape, Oxford 2011

VAN TUYLL VAN SEROOSKERKEN - PLOMP 2011
Carel Van Tuyll van Serooskerken – Michiel Plomp (a cura di), Claude Gellée dit le Lorrain. Le dessinateur face à la nature, Paris 2011

VIRGILIO
Publio Virgilio Marone, Eneide, tradotta da Giuseppe Albini, Bologna 1963

WITTKOWER 1958
Rudolf Wittkower, Arte e architettura in Italia 1600-1750, 1958, ediz. it. Torino 2005

 

Logo Parol
© 1985/2013 Parɔl - Quaderni d'Arte e di Epistemologia
Per qualsiasi utilizzo delle risorse presenti sul sito contattare la redazione
Site designed and managed by Daniele Dore