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Illuminismo e razionalità critica nella filosofia e nella teologia storicistica di Baldassarre Labanca
(Parol on-line, giugno 2001)

di Pasquale Falasca

Una prima approssimazione ed uno sguardo non unilaterale alla storiografia filosofica italiana, mostra con la massima cogenza chiarificativa la caratteristica manipolatoria (anche se non sempre soggettivamente falsificatoria) di un apparato di contenuti categoriali e concettuali (ma anche di tipo logico-storico e logico-formale nonché di tipo gnoseologico e, infine, ontologico). Su questo territorio si rende imprescindibile una riflessione onnilaterale, mediante l'utilizzazione di strumentazioni critico-scientifiche nonché di metodologie innovatrici di tipo "policentrico"; una impostazione delle problematiche filosofico-storiografiche in questa direzione permetterebbe un oltre-passamento di quelle visualizzazioni conformistiche delle categorie filosofiche che hanno strutturato una dicotomizzazione innaturale tra determinismo acritico e oggettivistico, da un lato; e un adattamento categoriale ad un conformismo estrinseco, superficiale e meramente esteriore, sull'altro versante.

Con questa antinomia artificiosa si sono progressivamente affermate - fino alla piena e quasi incontrastata egemonizzazione! - strutture di pensiero concettuale e "nomenclature filosofiche" stratificate su forme oscillatorie di teorie minate nel loro radicamento da sistematica inautenticità e da variabili o apertamente surrettizie (nel senso che dà a questa espressione linguistica Galvano Della Volpe nella sua Logica come scienza positiva e poi storica); oppure caratterizzate da traiettorie ipostatiche e implicitamente idealistiche. Con queste modalità lo scenario filosofico-teologico che compare a posteriori (la rappresentazione filosofica come ricomposizione e armonizzazione secondo l'illuminazione della platonico-hegeliana "Nottola di Minerva"); questo scenario categoriale offusca, di conseguenza, i processi autenticamente costitutivi, mentre il risultato di questa totalità aperta molecolarmente conquistato viene affiorando come un coagularsi di determinazioni asimmetriche e pertanto come una molteplicità indefinibile di escrescenze fenomenistiche; questi processi in realtà, al di là delle superficiali apparenze ideologizzanti, hanno avuto una complessità e una configurazione densa di concretezza, ma per cogliere questa vitalità essenziale si rende necessario l'abbandono della strada primaria e lo sprofondamento lungo sentieri nascosti, impervi e inappariscenti. Soltanto con questa radicale renovatio di metodo critico è possibile pervenire alla frantumazione e al disgregamento di questa "riflessività dualistica", irrigidita e sclerotizzata, tra il "modello realiter egemonico" di "filosofia idealistica", nelle sue ramificazioni spiritualistiche oppure attualistiche etc. (quindi neutralizzare gli "effetti di deterioramento" delle sedimentazioni tanto crociane che gentiliane); e, sull'altro versante fluidificare i modelli di (illusoria) iper-completezza e astrattamente meta-storici tipici tanto della (fregeana-russelliana) "filosofia analitica", specifica costante tanto del "positivismo classico" (spenceriano) quanto del neo-positivismo del Wiener Kreis (ricordo solo la - troppo misconosciuta! - sistematizzazione empiristica di Otto Neurath nonché il poderoso sistema logicistico-fisicalistico, vera enciclopedia totalizzante del "capitalismo maturo", di Rudolph Carnap!).

Ovviamente, la decomposizione (o anche l'implosione) di queste poderose strutture, che partono da paradigmi teologizzanti per sprigionare tutte le potenzialità manipolative sul terreno epistemologico-scientistico, debbono implicitamente caricarsi di una finalizzazione puntuale e mirata; allora l'effetto conseguenziale della rottura sia delle schematizzazioni unilaterali e illusoriamente autosufficienti, sia dell'assolutismo programmatorio di venatura anti-illuministica; lo svuotamento di queste costruzioni architettonico-monumentali, dove il predominio è tutto incentrato sull'esteriorizzarsi categoriale e sul riassorbimento funzionalistico dei dispositivi specifici della categoria fondamentale della mediazione, condurrebbe ad un ricco e produttivo rovesciamento (Umwälzung): i modelli e i contenuti filosofico-teologici che si sono trovati marginalizzati, mutilati e neutralizzati nei loro effetti dirompenti, queste filosofie dell'illuminazione costrette a sopravvivere nell'ombra e nella subalternità; queste filosofie troverebbero, dallo spiazzamento dei grandi blocchi concettuali, una reviviscenza, un'ossigenazione e una nuova linfa in grado di portare ad evidenzialità la tendenza-latenza di un patrimonio onto-antropologico mai dilapidato ma anzi immagazzinato e incapsulato nei sotterranei della Storia, sempre in attesa di concretizzare e materializzare le potenzialità latenti soffocate da causalità eteronome.

Il pensiero complessivo di Baldassarre Labanca, un pensiero carico di fermentazioni e di proiezioni in dimensioni pluralistiche ed eterogenee (una eterogeneità-molteplicità-diversità radicata in funzione di una superiore unitarietà-compattezza anti-monolitico-specialistica!), è - nemmeno a dirlo! - una delle "vittime eccellenti" di queste impostazioni incentrate o sulla dogmatizzazione acritica oppure sulla cristallizzazione delle modalità logico-esplicative.

Il Labanca ha pagato il prezzo della pressoché totale estromissione dai grandi circuiti culturali a causa della grande "flessibilità" ma anche della scarsissima "adattabilità" del suo pensiero; in sostanza il metodo labanchiano è un metodo critico-dialettico, un metodo che per propria "logica autonoma" stabilisce segmenti di incompatibilità rispetto a qualsivoglia "scuola di pensiero"; è programmaticamente impossibile inserire il pensiero labanchiano entro scuole preconfezionate o precostituite. Le caratteristiche strutturali del sistema di pensiero del Labanca è dato da una razionalità apertamente critica (che deriva la propria potentia non dalla potestas di un' auctoritas esterna bensì da essa medesima); l'apparato filologico viene utilizzato come strumentazione di tipo micro-chirurgico nei confronti di quelle strutture di pensiero surrettizio ove viene ad installarsi una dialettizzazione degenerativa di mistificazione e falsificazione; queste sono le enucleazioni dominanti di elementi che - insieme alla concomitanza pluralizzata di altri fattori e componenti - sono all'origine della "sfortuna" (termine da non banalizzare ma da leggere in un'ottica machiavelliana!) del Labanca. Sul terreno oggettivo il Labanca, possiamo affermarlo senza timore di smentire o di confutazioni, è stato uno dei più grandi pensatori non solo all'interno del pensiero filosofico-teologico nazionale (e forse, per alcuni versanti tutti da investigare, anche sul terreno "nazional-popolare"; è opportuno il richiamo ad un'acuta annotazione di Gramsci nei Quaderni dal Carcere ove Gramsci stesso costruisce un parallelismo estremamente interessante tra il Labanca e Georgij Plechanov, il grande logico e materialista dialettico russo, ma anche il primo rispecchiamento di un "pensiero alto" con specifici movimenti popolari o comunque di "classi subalterne"), ma anche nelle sue aggrovigliate e frastagliate ramificazioni europee; particolarmente in Francia l'influsso del pensiero del Labanca è stato, se non onnipervasivamente esteso, certo profondo, ampio e perseverante; il rapporto con Joseph-Ernest Renan non è stato episodico, bensì organico e "simpatetico"; mentre l'influenza labanchiana nelle università tedesche è stata solida e - per fortuna - scarsamente soggetta a fluttuazioni; in ciò il Labanca mostra notevole affinità con un altro grandissimo teologo e filosofo, ovvero con Giovanni Santi Felici (ritiratosi, nell'ultimo periodo della sua vita, nell'eremitaggio di Schiavi di Abruzzo ove morì nel settembre del 1897). Anche il Santi Felici ha avuto - come il Labanca - una penetrazione profonda in Germania e le sue opere sulla genesi della riforma protestante, sul grande mistico Marcello Palingenio Stellato e - soprattutto - sulla pluriarticolazione del pensiero rigeneratore di Tommaso Campanella, hanno esercitato un condizionamento profondo, come altresì documentato da Benedetto Croce, estimatore del Santi Felici e ambiguamente amico del Labanca. In effetti il Labanca ha preferito dirigere le sue investigazioni su territori impervi ed interstiziali in quanto la sua metodologia critica era diametralmente opposta alle forme stilizzate della strutturazione disciplinare intesa come "specializzazione particolaristica" (ovvero "specialismo"); il Labanca partiva dal presupposto concreto che la fenomenologia della conoscenza è, per sua natura intrinseca, dialettica e interdisciplinare e pertanto, la conoscenza che si fa saggezza autentica, culminazione razionale, non può essere né incasellabile né schematizzabile. Allora si tratta di comprendere assiologicamente l'intelaiatura della metodologia critico-dialettica labanchiana; questa metodologia colpisce in quanto intrisa di una fitta rete, di una tessitura fittissima, di mediazioni, euristicamente distinte dalle determinazioni conciliatoristiche e piuttosto poste in relazionalità tanto con i modelli (e orizzonti) di concretizzazione quanto (e sembra di avvertire qui l'impercettibile presenza di Antonio Labriola!) di "combinazioni epigenetiche". Proprio sulla caratterizzazione causalistico-epigenetica nel metodo critico labanchiano sarebbe necessario lavorare a lungo e in profondità, tanto più che le caratteristiche e le innervazioni concrete di questo metodo sono stato spesso oggetto di fraintendimento; più di un critico ha individuato in questa metodologia una retroazione eclettistica; al contrario ci troviamo dinanzi ad un "sistema metodologico" che ha come referenzialità la "fusione delle fonti ", ovvero una canalizzazione sotterranea di sovrapposizioni di fonti in apparenza incomunicabili fino al raggiungimento della sparizione-cancellazione della specificità distintiva della singola fonte considerata nella sua isolatezza. Pensando a questi prolegómena labanchiani verrebbe immediato e spontaneo pensare alla intermittenza e alla rapsodicità. Ma sarebbe profondamente erroneo pervenire a simili conseguenze frettolose. In realtà il pensiero concreto labanchiano ha trovato svolgimento ed estrinsecazione non, come pure sarebbe stato legittimo attendersi, in una frammentazione-segmentazione disgregata, magari con delle venature aforismatiche (di sapore voltairiano-nietzschiano!); al contrario, e in ciò ponendosi in reciproca contrapposizione tanto rispetto al razionalismo illuministico di Voltaire che all'irrazionalismo romanticheggiante di tardi hölderliniani e post-novalisiani; al contrario - dicevamo - il suo metodo ha trovato una piena (anche se non sempre soddisfacente) concretizzazione in un'aperta vocazione all'ésprit de système, ovvero in una sistematizzazione ordinata (ma mai estrinsecamente classificatoria) né esornativa sul terreno della formalizzazione logica. Infatti, nonostante il forte sbilanciamento intellettualistico, il metodo labanchiano non cade nell'astrattezza del panlogismo in quanto il terreno dell'incognito, dell'imprevedibile, dell'inesplorato, il terreno del "trascendere senza trascendenza", ovvero dell'ateismo per Amor di Dio (Ernst Bloch, Simone Weil), rimane una centralità utopico-concreta, non suscettibile di alterazione o addirittura di azzeramento o di annichilazione. Il metodo-sistema del Labanca ha come pietra angolare e come motore permanente, quindi come fondamento cognitivo-teoretico, l'arte e la scienza della dialettica. Del resto è cosa tautologica definire fondamentale la Storia della Dialettica pubblicata in due tomi dal Labanca nel 1876. Quest'opera rimane in assoluto la trattazione più esaustiva della storia e della cogenza del "modo di ragionare dialettico"; del resto questa è una delle pochissime opere dedicata specificamente e monograficamente al concetto di "dialettica" analizzata e scomposta in tutte le molteplici angolazioni, nei nessi sotterranei, nella "corrispondenza al concetto" ovvero nella "corrispondenza all'essenza" tanto nella tradizione platonica che in quella aristotelica. Su questo terreno il Labanca compie una ricognizione estremamente meticolosa individuando le "significazioni implicite" e la Bedeutung nelle pluri-stratificazioni (di senso) o intuitive o razionali. In questa maniera il Labanca ha ricostituito la tessitura e la trama fitta della più "elevata e nobile arte della conoscenza" optando per una rigorizzazione dello "statuto di autonomia" della scienza dialettica (in manifesta opposizione polemica con i filosofi di radice esistenzialistico-spiritualistica che vedono la dialettica solo come "diaframma" per l'astrazione assoluta o l'idealizzazione). Il Labanca, partendo dai filosofi sommi della sapientia greca (con un'attenzione privilegiata ai Dialoghi platonici magistralmente tradotti dall'amico Francesco Acri, nonché al complesso degli scritti di Aristotele raccolti sotto la denominazione di Organon, comprendenti gli Analitici 1º e Analitici 2º, nonché l'essenziale operetta intitolata Dell'Interpretazione oppure Dell'Espressione secondo la più recente puntualizzazione filologica di Giorgio Colli); partendo da questi filosofi classici perviene alle propaggini del pensiero scolastico ed è in questo ambito che viene esplorato il formalismo sillogistico non nella sua semplice matematizzazione ma nella sua integrale processualità storica. In questo modo il Labanca ha modo di dimostrare come la sillogistica non necessariamente deve essere un involucro meccanicistico privo di contenuto concreto; di qui lo smontaggio dei grandi maestri dell'Ars Dialectica, della disamina del nominalismo occamistico e del concettualismo di Giovanni Scoto Eriugena. E proprio dalle modalità di questo "attraversamento logico-dialettico" possiamo individuare l'aristotelismo (recepito dal Labanca anche mediante l'interessantissima, anche se anti-hegeliana, mediazione trendelenburghiana) come "fil rouge", come costante (rispetto alla stemperante pluralizzazione delle variabili!) e come fonte primaria; ma questo impianto aristotelico (quasi a voler esorcizzare il filologismo asettico!) il Labanca lo assorbe sempre entro sottili argomentazioni di tipo averroistico (e allora possiamo parlare, blochianamente, di "aristotelische Linke", di "sinistra aristotelica"). Tuttavia, rispetto a Ernst Bloch, il Labanca si distingue in quanto egli non considera regressiva e non esclude il grande respiro universalistico della teologia tomistica; di qui una preliminare problematizzazione e commistione di contenuti apparentemente eterogenei e incompatibili, ma in cui la consumata arte della mediazione e della sottilizzazione del Labanca riesce a estrarne il "succo vitale", l'essenza incandescente e vivificante. L'impianto tomistico non è un coacervo di formulazioni rinsecchite all'interno di una gerarchizzazione di dogmatismi paralizzanti; al contrario, rimuovendo i vincoli catechistici e l'ornamentazione istituzionalistica, il sistema tomistico, nella sua dinamizzazione virtuale, nella sua dialettizzazione di una ragione geometrizzante, nella reticolazione teorematica (prespinoziana), avviene motu proprio la costruzione della Fede; nella sottrazione dei "contenuti della Fede" al misticismo cattolico-irrazionalistico, nell'emancipazione della Fede stessa dall'ascetismo sia solipsistico che soggettivistico; in tutto ciò il tomismo ha un'evidente valenza progressiva. Ma il concetto di "progressività" nel Labanca si allarga e dilata fino a congiungersi con quelle di libertas philosophandi; alla ragione critica non è possibile imporre coazioni o imposizioni autoritative; del resto il metodo del Labanca dissolve tutti gli orientamenti radicati nella pre-giudizialità (nel senso degli idola tribus che Francesco Bacone dava a questo termine). Su questo terreno il Labanca è tanto inflessibile quanto intransigente, per cui egli rigetta l'ortodossismo asfissiante e sopraffattorio sostituendolo con l'elaborazione di una Etica della tolleranza (Etica de-ontologica); e proprio partendo da questa chiarificazione etica il Labanca si sprofonda nell'esame puntiglioso - rivendicandone l'incondizionatezza della ricerca - dei movimenti e delle disseminate enucleazioni ereticali le quali, lungi dall'essere forme di demonizzazione e di abiezione, rappresentano, al contrario, la raffigurazione simbolica e "carnale" dell'autenticità cristiana. In questo restringimento della coerenza l'idealità è costretta a scendere dall'Empireo incielato per farsi, nella testimonianza del martirio, praxis quotidiana, dialettica del concreto, "pensiero immediatamente vissuto" nella coerenza, nella stoica sopportazione delle avversità, nell'epicurea ataraxía e imperturbabilità; di qui uno scatto in avanti del Labanca per porre questi nobilissimi risultati in contrapposizione irriducibile con le forze degenerative e ripugnanti dell'opulenza, dell'ostentazione vista come "oscenità" da un lato; e come (abbassante) eteronomia esistenziale, dall'altro. Anche qui il Labanca, con l'abituale finezza, distingue il sordido e ottuso materialismo della sensualità e della sensibilità; rispetto ad un materialismo intelligente che può essere momento di sintesi provvisoria rispetto alle istanze baconiane, humiane, hobbesiane e così via. In tutto ciò il Labanca opera senza il minimo cedimento ad una moralità astratta (quanto intimamente schizofrenica!); e in tutto ciò si avverte, palpitante, l'esperienza vitale dello stesso Labanca dal momento che la sua stessa esistenza è stata un modello inarrivabile di sapere e di speculazione, di austerità e di autodisciplina, ma anche di infaticabile ricognizione sia del Vero che del Buono; ed allora, nel ricostruire questo tessuto connettivo, l'intelligenza e la penetrazione tagliente di Socrate e la infinita purezza e virtuosità del Cristo vengono a trovare una sublime ricomposizione e incarnazione; pertanto l'interpretazione della dialettica labanchiana deve tenere conto di una duplice prestruttura ambivalente, ed allora da un lato sono le modalità sillogistiche a dotarsi della hýbris dell'automovimento; ma il terreno della storiografia (che nel Labanca si metamorfizza in storiologia) costituisce una forza centrale dell'esplicarsi dialettico e pertanto la riplasmazione di una continuità tra momenti e fasi sia del paganesimo che del cristianesimo diviene un presupposto imperativo che deve, nella sua saldatura, espungere tanto l'artificiosità che la tendenziosità. Solo da queste premesse è possibile al Labanca un progressivo allargamento dell'orizzonte fino alla enunciazione (che anticipa profeticamente il Prinzip Hoffnung blochiano!) secondo la quale l'autenticità non estraneata del cristianesimo è contenuta entro l'involucro delle proposizioni ereticali; e perciò egli concede tanto spazio e primarietà a Marsilio da Padova, oppure all'aristotelico eterodosso Giacomo Zabarella, fino a quella eccezionale riesplosione di analisi e studi incentrati sulla fluctuatio di Giordano Bruno, sull'infinità dei mondi (copernicanesimo militante e rivoluzionario), oppure sulle vicissitudini della materia, sull'eterno ritorno e sul ritmo panteistico delle cose e della natura; oppure gli studi su Campanella che implicano l'apertura alla Cabbalistica, al Chiliasmo, nonché alla genesi (antichissima, quasi rosa-crociana), della Riforma protestante; ma di fondamentale importanza sono gli studi labanchiani sui movimenti gnostico-catari, sul patarinismo e l'Hussitismo. E qui vi è un ricollegamento organico, da parte del Labanca, con i più grandi pensatori e filosofi dell'800. Interessante risulterebbe uno studio comparativistico tra il Labanca e colui che personalmente considero uno dei più grandi storici della filosofia di tutti i tempi. Sto alludendo, com'è evidente, a Felice Tocco il quale nella stesura della sua monumentale Storia delle eresie del Medioevo è largamente debitore agli studi pioneristici del Labanca. E un rapporto di continuità-eredità esiste anche con la immensa storiografia di Delio Cantimori il quale, com'è noto, ha dedicato una quantità sterminata di lavori ai vari movimenti ereticali; la Summum Opus cantimoriana è costituita da quella miniera inesauribile di conoscenze di questo universo così denso di effervescenza e di particolarità anomale e specifiche; stiamo alludendo all'opera Gli eretici italiani nel '500 (Firenze 1939). In quest'opera che è una costellazione infinita di analisi delle "teologie alternative", il Cantimori pone come epicentro dell'innumerabile universo ereticale non tanto il "libertinismo" quanto il "socinianesimo" e quindi le centralissime figure anti-calviniane del Serveto e del Vanini. Il Labanca ha sviluppato molto meno del Cantimori le tematizzazioni sociniane eppure, ciò nonostante, in questa congerie ci troviamo dinanzi ad un incrociamento oggettivo. Infatti il pensiero sociniano è una forma di razionalismo radicale, sgombro di aneliti vacuamente trascendenti, e tutto interno alla solidità epistemica; il socinianesimo de facto esprime la medesima aspirazione del Labanca il quale lotta per l'oltrepassamento dell'ossificazione confessionalistica, ma insieme il Labanca devia il finalismo delle istanze platonico eckhartistiche volte alla disincarnazione e all'immaterialismo angelicante o gnostico-eonico; quindi una rotazione labanchiana anche rispetto all'animazione della sostanza teistico-sostanzialistica di matrice plotiniana (in questo contesto l'ellenizzazione spinge verso una teleologia escatologica di tipo anacoretico).

Tuttavia centralissimo mi pare il rapporto che lega il Labanca all'illuminismo. Questo rapporto è gravido di differenti precorrimenti e sviluppi; del resto inquadrando lo stesso Hegel in una dimensione visceralmente anti-romantica e neo-illuministica il Labanca nega ogni consistenza a ciò che lo stesso Hegel definirebbe "pappa del cuore", "sdolcinata tenerezza per le cose" etc. Tuttavia il Labanca, nella piena rivalorizzazione delle funzioni dell'intelletto, del Verstand, in ciò egli si fa propagatore di illuminazione, di rischiaramento, di Aufklärung, contro l'ottenebrazione superstiziosa, contro il crepuscolo e l'eclisse della ragione (Max Horkheimer); in questo suo amore per la chiarezza e la distinzione, in questa sua tensione verso l'assiomatizzazione, la logicizzazione, in tutto ciò egli fonde la parte non meccanicistico-metafisica del cartesianesimo con la potenza rischiaratrice e asseverativa dell' Ethica more geometrico demonstrata di Baruch Spinoza; ma nello stesso tempo il Labanca utilizza quell'opera così radicalmente rivoluzionaria sul terreno esegetico-ermeneutico che è il Tractatus theologico-politicus spinoziano; molteplici consistenti indizi sui quali ragioni di spazio impediscono di soffermarsi fanno pensare alla conoscenza, da parte del Labanca, dei Frammenti di un anonimo (Fragmente eines Ungenannten) di Wolfenbüttel pubblicati da G. E. Lessing e da lui attribuiti a Hermann Samuel Reimarus. Oltre a tutto ciò il Labanca opera una sottile restaurazione della "filosofia critica" di Immanuel Kant ovvero della "rivoluzione copernicana" delle "scienze filosofico-teologiche e morali", pertanto la riesumazione e conseguente attivazione della macchina criticistica fa sì che venga rimessa in circolazione anche la concezione della "religione entro i limiti della semplice ragione" kantiana. Pur nella inappariscenza macroscopica questo sostrato (o sub-stratum) di smisurata ricchezza trova nel Labanca una espressione organica anche se non rettilinea bensì labirintica; ed allora questa stratificazione eccezionalmente compatta non si scioglie per scomposizioni singolari; e proprio dalla costanza di questa inscindibilità si congettura il rintracciamento di un ipotetico eclettismo; ma, come abbiamo già specificato in precedenza, di eclettismo ad un analisi rigorosa e "trasversale", non può parlarsi; infatti eclettismo significa giustapposizione, allineamento classificatorio, comparazione estrinseca di strutture di pensiero differenziate; ma di ciò non vi è traccia nel metodo labanchiano il quale è piuttosto un metodo organicistico, il quale tende a penetrare nel cuore dei saperi; infatti nel Labanca prevale un uso sapiente e prudente degli "effetti di padronanza" del modo di ragionare dialettico e mediante l'utilizzazione di un filologismo comparativistico di prima qualità riesce ad estrarre da strutture culturali in apparenza incomunicabili ciò che hanno in comune, ovvero il rapporto di causa-effetto oppure le varie relazionalità e reciprocità. Può essere utile ricordare come il giovane Hegel, nei suoi Scritti teologici giovanili, editi dal Nohl nel 1907, svolge una funzione anticipatoria nel gioco di queste "traducibilità" linguistico-concettuali; il Labanca non ha avuto l'opportunità di conoscere la Vita di Gesù o i Frammenti su necessità e destino del giovane Hegel, tuttavia noi, a posteriori, possiamo stabilire un nesso in profondità piuttosto che un'analogia estrinsecamente superficiale; pertanto si potrebbe parlare, a proposito del Labanca, di un neo-illuminismo ma con ampie aperture a ciò che può denominarsi "empirismo radicale" ovviamente non sovrapponibile al modello positivistico o neo-positivistico (neurathiano, carnapiano) o post-neo-positivistico (lakatosciano, nowakiano, geymonatiano). Tuttavia laddove si tocca con mano la radicalità del rinnovamento illuministico da parte del Labanca è proprio nella coniugazione tra Aufklärung (tradizionalmente resistente alle aperture storicistiche) ed una piena e vasta storicizzazione per cui storia, intelletto, ragione e fede trovano una collocazione armonizzatrice e osmoticamente processuale. Infatti non possiamo dimenticare che il Labanca è un contemporaneo (ma è nello stesso tempo erede della grande "scuola dell'Historismus tedesco"), per cui egli si pone come punto di confluenza e di transizione tra i grandi storici ottocenteschi (si pensi alla "critica della ragione storica" di Wilhelm Dilthey oppure a Le origini dello storicismo di Friedrich Meinecke, ma anche ai Wilhelm Windelband, Heinrich Rickert, Georg Simmel e tutta la storiografia pre-weberiana); ma nello stesso tempo egli è precorritore della più grande rivoluzione della storia della storiografia, ovvero la "Scuola degli Annales des sciences sociales" di Marc Bloch e Lucien Febvre. Tutti conoscono la grandezza e l'estremo avanzamento metodologico di uno storico di incommensurabile importanza quale Marc Bloch. Ebbene, se si leggono in comparazione la Società feudale di Bloch e i vari contributi storiografici del Labanca al feudalesimo (e all'era carolingia in particolare, si pensi solo a quel piccolo grande testo che è - a nostro parere - Carlo Magno e i due papi Adriano I e Leone III nell'arte cristiana, Bocca Ed., Firenze 1903). Leggendo in sincretismo il Bloch e il Labanca si rimane profondamente colpiti dalla congruenza e convergenza tanto sugli impianti tematici quanto sulla metodologia e sull'incubazione-esplicazione dei contenuti storici concreti. Di qui la grande e preziosa modernità del Labanca, il suo costituire un momento inappariscente di precorrimento di tutte le vaste tendenze sul terreno della storiografia religiosa in generale, e della cristologia e filologia tanto vetero che neo testamentaria. Sarebbe necessario soffermarsi con ampiezza sul rapporto che il Labanca ha intrattenuto con la teologia liberale e con la teologia dialettica, ovvero con i grandi blocchi di "teologia della de-mitologizzazione " pre-bultmanniana propria della "scuola di Tübingen" di cui lo Harnack era il grande architetto; queste questioni necessitano di ulteriori esplorazioni e puntualizzazioni, nonché di verifiche dottrinarie basate su una documentazione molto specifica.

Un'altra struttura portante dell'impalcatura della "fusione delle fonti" del Labanca è costituita dall'assimilazione del grande e mirabile edificio storicistico-idealistico di G. B. Vico; è pleonastico sottolineare l'influenza preponderante e anzi esorbitante che il Vico (e addirittura il "vichismo") ha esercitato sul Labanca. È stato proprio quest'ultimo a dare impulso ad una nuova stagione di grande, immensa fioritura di studi vichiani; il Labanca ha concentrato molto precocemente la sua attenzione tanto sul "continente storicistico" che sul "realismo naturalistico" di matrice teologizzante; pertanto prima dei contributi determinanti che in questa direzione hanno dato G. Sorel, A. Labriola, F. Nicolini fino a B. Croce; prima dell'apertura della ricca stagione dello storicismo idealistico (con Francesco de Sanctis che - nel 1848 - a Napoli lancia i primi inequivocabili segnali, con lo studente Labanca presente alla lectio!); prima di ciò il Labanca aveva compreso l'assoluta centralità, in funzione anti-meccanicistica e nel contesto di una riorganizzazione teoretico-cognitiva del soggetto, tanto dell'immanenza storicistica del Vico, ma anche dell'intiero schieramento neo-illuministico napoletano e meridionale gravitante attorno al neo-hegelismo italiano. Con simile inquadramento la Vico-Forschung contiene potentialiter in sé stessa la problematizzazione aporetica del "classicismo" labanchiano; altro tema di sterminato spessore. Infatti una ricerca analitica che andasse in questa direzione implicherebbe la decodificazione di una vastissima proliferazione di micro-influssi e simile interpretazione decodificatoria andrebbe effettuata avendo la padronanza degli "strumenti della ricerca", ovvero conoscendo i dispositivi cogenti, le tecniche e le metodiche da applicare alla "Bibliothēca" del Labanca (usiamo il termine "bibliothēca" nelle modalità un po' provocatorie di stampo borgesiano! Ma vi è molta corrispondenza tra la biblioteca di Borges e quella del Labanca).

Tuttavia il principium individuationis va orientato verso la "logica combinatoria", verso un appassionato conatus enciclopedistico, verso una tendenziale (secondo la linea latenza-tendenza!) categorizzazione delle modalità e delle determinazioni e delle determinatezze (Bestimmungen); tutto ciò rimanda ad una visualizzazione del "sapere logico" che è oltrepassamento-toglimento (sempre in senso hegeliano!) della formalizzazione intesa come apodittico virtuosismo sofistico. Queste, tuttavia, sono "ipotesi di lavoro", congetture orientative che tuttavia danno il senso del laboratorium del totum humanum labanchiano, e di qui anche il sygillum dello sguardo del Labanca, rivolte verso la molteplicità e la pluralizzazione (una specie di "sguardo di Clio" a rotazione variabile!). Un altro versante, per parte autonomizzato e per parte appendicolare alla centrale quaestio del neo-illuminismo, concerne il tormentato rapporto (in nessun caso sottovalutabile) che il Labanca ha intensamente vissuto tanto con l'idealismo oggettivo-dialettico hegeliano quanto con il complesso sistema di ontologia-metafisica di tipo rosminiano (tralascio sempre per ragioni di spazio il problema dei rapporti col Gioberti e con la tradizione neo-guelfa). Eugenio Garin, a proposito del Labanca, tende ad enfatizzare la componente rosminiana mentre tende egualmente a marginalizzare l'influenza hegelianeggiante; tuttavia il Labanca è parte costitutiva e attivistica del ricco movimento del neo-hegelismo napoletano; del resto i rapporti fitti e sistematici che il Labanca ha intrattenuto con il più grande studioso hegeliano dell'800, ovvero con Bertrando Spaventa. Questi rapporti sono ampiamente documentati e tuttavia non possiamo non tenere conto di un elemento essenziale e cioè che il Labanca, durante la fase "milanese" della sua vita, si appropria, primo tra gli intellettuali italiani, leggendola e traducendone ampie zone, della Wissenschaft der Logik (Scienza della logica) dello Hegel; quest'opera è considerata come una delle opere più magmatiche e impenetrabili di tutto lo scibile umano; quest'opera grandiosa, potente, poderosa, si erge come la vetta più alta del sistema categoriale e come la sommatoria universale della totalità della Divinizzazione dell'umano e dell'umanizzazione del Divino. E del resto, proprio a causa di un'osticità e impenetrabilità che è la sua caratteristica distintiva, quest'opera ha avuto una inconsistente diffusione e una comprensione molto frammentaria ed entropica; eppure ciò che colpisce è che il Labanca, nonostante la consumata sperimentazione della mediazione (e quindi dell'attivazione di una tecnica di "sbocconcellamento progressivo" e non di "rullo compressore"); nonostante ciò egli era stato folgorato dalla genialità e dalla universalità del testo hegeliano dal quale aveva ricavato quella sussunzione di "ontologia recta", di concettualizzazione dialettica il cui cominciamento è dato dalla vorticosa fruizione della materia che entra in un complicato processo di divenire e di trasmutazione di essere-non essere-nullificazione (ma ciò non giustifica nessuna "relazione genealogica" con opere di esistenzialismo ontico heideggeriano come ad es. L'essere e il nulla di J. P. Sartre [L'être et le néant. Gallimard, Paris 1953]!). Queste innervature permettono una extrapolazione rispetto al territorio minato del volontarismo (e quindi anche del praxismo, dell'attivismo, del soggettivismo etc.); ma nello stesso tempo il Labanca non ha suggestioni oggettivistiche grazie alla metamorfosi della Sostanza che si fa Soggetto (vedi tutta la parte sul sapere assoluto nella Fenomenologia dello spirito di Hegel nonché l'interpretazione ad hoc da parte di grandi "sacerdoti" della filosofia hegeliana quali J. Hyppolite, E. Weil e soprattutto A. Kojève!). Allora la Darstellung, la rappresentazione di un dispositivo ontologico che è totalità in movimento, non si fa mai nel Labanca sostanzialismo informe né astrattezza metafisica; allora l'ontologismo perde gli originari caratteri di proiezione ultra-sensibile e smaterializzante, per assumere la funzione opposta di fondamento entro i paradigmi della concretezza e della materialità; questa seducente operazione di rigorizzazione di un'ontologia dialettica, che è assorbimento entro tendenzialità dinamiche di una oggettività tolta dal terreno del fattualismo spontaneo, diviene cominciamento di un sapere di tipo nuovo che è quasi ripresentazione di una "scienza nova" di vichiana memoria; diviene sic et simpliciter filosofia del tertium datur, diviene una strategia operativa per una "terza via" filosofica che sarà la "causa eziologica" della "sfortuna" del Labanca; infatti questa metodologia sincretistico-organicistica genererà l'odio e il risentimento tanto degli esponenti dell'integralismo idealistico quanto il disappunto degli esponenti del positivismo del "factum brutum", della calcolabilità intesa come idoleggiamento del "principio della quantificazione e dell'equivalenza" (vedi ad esemplificazione L'uomo senza qualità, Mann ohne Eigenschaften di Robert Musil). Tuttavia, nei tempi lunghi la strada del Labanca, che non è lastricata né di idealismo né di positivismo né di eclettismo, questa strada si dimostrerà una strada densa di verità e autenticità, in quanto si configura come unica alternativa né pragmatistica né nominalistica, rispetto agli schematismi unilaterali ed entropici; in questo stesso sentiero il Labanca ha trovato come "compagni di percorso" nobili spiriti quali Felice Tocco, Francesco Fiorentino, Francesco Acri, Piero Martinetti.

Oggi che viviamo la drammatica temperie del crollo delle certezze apodittiche e dei valori di riempimento vitale; questo crollo, questa catastrofe non trova una surrogazione nemmeno nella riemersione di classiche "filosofie della crisi" quali lo stoicismo e lo scetticismo; oggi che l'irrazionalismo assume i connotati della disgregatezza e dell'autodistruzione, in direzione dell'annichilimento dell'autonomia del pensiero; oggi che si corre il rischio concreto di una involutiva egemonizzazione di un imbarbarimento parossistico che pone come condizione normativa e permanente lo status di minorità intellettuale e di demoralizzazione integrale; oggi, a causa di queste pulsioni di irresistibile forza la ragione critica è violentemente messa in discussione e l'imperturbabilità intesa come serenitas et tranquillitas animi viene messa in discussione dall'incultura dell'intolleranza e della stucchevole esteriorità esibizionistica; nella predominanza della miseria intellettuale e morale, nell'universo della cosificazione e della reificazione molecolare e deterministicamente irreversibile. In questo universo dove il "divertimento" (non-pascaliano né brechtiano!) e la banalizzazione diventano le coordinate entro cui inserire un'esistenza svuotata di ogni significatività e portatrice solo di desolazione, infelicità e tedio; in un contesto così drammaticamente decadentistico, la riattualizzazione di pensiero della libertà, della maturità, della serietà intellettuale e morale, quale è il pensiero labanchiano; questa rinascita in nuce di una diga potente contro le forze (necrofile) della degradazione della vita; questa rinascenza, sia pure minoritaria e circoscritta, può costituirsi da un lato come calda oasi rispetto alla oggettiva estraneazione del vivere quotidiano; ma può essere anche un preludio affinché la "speranza concreta" di una faustiana "metafisica della vita migliore" divenga postulazione critica, imperativo categorico, determinatezza incontrovertibile; infatti la vita deve essere vissuta entro la costellazione elastica ma definita della libertà, della conoscenza sistematicamente anti-dogmatica e della razionalità critica; con simili strutturazioni la vita si appropria di un codice di significatività e di un corredo teleologico e pertanto essa può oggettivarsi in una dissipazione razionale pur nell'indistinzione dei suoi insormontabili momenti di insensatezza e di negatività; ma qualora si frantumino questi presupposti allora - come direbbe il giovane Giörgy Lukács - ci troviamo sospesi davanti al Grand Hotel-Abisso; e allora lo "spirito vitale" viene trasmutandosi in degradazione insensata, in esistenza sottoposta al brutale corrompimento del tempo divoratore; e allora l'apparato dell'heideggerismo, con il non-essere, l'indeterminatezza che si edifica ad essere-per-la-morte viene a ripresentarsi con tutto il goticheggiante nichilismo di complemento. Ma al di là di tutto ciò è l'insegnamento del Labanca, egli ci esorta a divenire Uomini, a uscire dal Dasein, dalla deiezione insensata, per essere i soggetti, i protagonisti e i sovrani della nostra peregrinatio vitae.

 

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