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Nanni Menetti o del compimento ultimo della mimesi

di Giorgio Sandri

La forma denominata della rappresentazione (iconica) pregiudica le relazioni fra natura e arte, assegnando all’una il ruolo della rappresentazione, all’altra il ruolo del rappresentato: in analogia a quanto accade nella relazione fra segno e denotazione, con l’aggiunta secondo cui il segno non sarebbe arbitrario, ma ‘riprodurrebbe’, per così dire, le sembianze della denotazione. Una tradizione che risale fino a Plinio il Vecchio sembra privilegiare le rappresentazioni che possono venir interscambiate con il rappresentato: gli uccelli e la frutta. Una tradizione più sofisticata privilegia la forma della electio rispetto alla imitatio , nel senso che la bellezza ideale sarebbe costruita a muovere da proprietà naturali: l’ideale non sussiste in natura, ma costituisce un rafforzamento selettivo di tratti naturali. Tra imitatio ed  electio  si situerebbe la forma del ‘vero naturale’ che affiora nella epistemologia ingenua che accompagna l’occhio e il gusto penetranti di Longhi.

Il ventaglio delle combinazioni formali possibili fra rappresentazione e rappresentato, e delle loro relazioni, fornisce il supporto alle classificazioni formali della storia dell’arte. Si costituiscono due circuiti separati – due ‘nature’, per così dire – dove a elementi dell’un circuito corrisponderebbero, nella rappresentazione iconica, elementi dell’altro. A Linneo, classificatore delle forme della natura, del rappresentato, corrisponderebbe Woelfflin, classificatore delle forme dell’arte, delle forme della rappresentazione. Non sono forse ‘lineare vs. pittorico’, ‘superficie vs. profondo’, ‘forma chiusa vs. forma aperta’, classi di coppie di elementi simili entro il circuito della rappresentazione a cui corrispondono ‘nature’ diverse, ‘generi naturali’, ‘natural kinds’ in questa natura-seconda, in questa ‘natura rappresentata’? Che cosa differenzia l’albero nella pianura olandese dall’albero rappresentato da  un van Ruysdael, o le nuvole nel cielo inglese dalle nuvole di Constable? Nel mio campo visivo, potrei confondere l’una con l’altra in circostanze opportune, alla stregua del pittore greco menzionato da Plinio. Ecco, sono di materiale diverso, tanto di materiale fisico, quanto di materiale ‘volatile’. D’altro canto, non potrei confondere le foglie che sfumano in luce e colore nel cielo che sfuma in luce e colore in Rubens con le siluettes essenziali di alberi in Baldovinetti      all’Annunziata: là si tratta della relazione fra rappresentazione e rappresentato, qui di due ‘natural kinds’ diversi, di nature diverse, entro il circuito della rappresentazione.

Vi è un senso nel quale si potrebbe dire che la natura-natura (il rappresentato) costituisce il grado zero della rappresentazione, la chose così come è. Ma se ammettiamo gradi di rappresentazione, ammettiamo un continuo di forme naturali che vanno dal grado zero (la natura-natura) a forme nelle quali entrano gradi diversi di rappresentazione, che coinvolgono materiali ‘volatili’: forme di ‘natura’ lungo questo continuo. Forse, se si operasse una analisi dei fattori ed elementi componenti, si giungerebbe a cogliere differenze rilevanti fra l’albero naturale e l’albero di Solomon van Ruysdael. Il primo sarebbe costituito da un aggregato di fattori fisici e chimici, l’altro anche da fattori ‘volatili’: i modi e le tecniche del pittore sono orientate a includere come fattore della rappresentazione (della natura-rappresentata) quei fattori volatili che si potrebbero chiamare ‘modalità della rappresentazione’. E questo in una varietà di sensi: il pittore organizza il proprio modo di ‘vedere’ ( e rappresentare) l’albero attraverso non solo modi visivi semplici, ma anche attraverso un repertorio di forme che vengono dal proprio museo delle forme artistiche, il museo che comprende anche Rubens, i veneziani, fino indietro alla tradizione tattile della pittura fiamminga e olandese del ‘400 e del ‘500.

La natura rappresentata è un aggregato multivariato di elementi fisici e ‘volatili’, per così dire.

Anche in questo circuito (ambito) si va per gradi. Il pittore può accentuare la ‘oggettività’, che potrebbe consistere in un grado basso, nella rappresentazione, di fattori soggettivi e percettivi a favore degli elementi di omomorfismo iconico fra rappresentazione e rappresentato: il ‘vero di natura’ come grado basso di aggregazione di elementi di percezione nella natura rappresentata? Naturalmente anche questo grado è una scelta del pittore demiurgo, che decide per una natura rappresentata senza (o con una bassa) rappresentazione della percezione della natura. I gradi vanno in direzioni ramificate, articolate, e eventualmente divergenti: come porre su una medesima retta, seppure in punti diversi, i fattori che sottostanno a una rappresentazione geometrizzante della natura  in alcune forme del ‘400 italiano, con i fattori che conducono a una visione corpuscolare del tessuto naturale e della luce  nel ‘600 olandese? Dove situare la differenza, come fattore della rappresentazione, dello sfaldamento della luce colore, e quindi dei confini dei corpi,  nel tardo Tiziano dell’Annunciazione di San Salvador, rispetto alla rappresentazione della natura percepita nella pittura impressionista e in Monet?

La tassonomia della natura rappresentata (dopotutto in questo, in parte, consiste la storia dell’arte) si affianca alla tassonomia della natura, e viene a costituire una sorta di  descrizione di una altra natura, nella quale sono rilevanti, oltre agli elementi materiali costitutivi, molti attori in più, attori ‘volatili’, che comprendono autore, suoi modi percettivi, visivi, intellettuali, e altro, fino a condurre a una natura aumentata di processi informativi e computazionali. La natura altra è costruzione , sia nella forma della rappresentazione a grado vicino allo zero, il ‘vero naturale’, sia nelle forme della natura come percezione, o anche nelle forme di costruzione concettuale apparentemente lontane dalla rappresentazione. Natura costruita , in questa accezione, sono le ‘rappresentazioni’ della luce percepita nelle ninfee di Monet a differenti ore del giorno, processi informativi e/o computazionali nei quali irrompono nella ‘rappresentazione’ l’attore che percepisce, le variazioni della luce che sono percepite, i grumi di colore, il loro timbro: quale differenza sussiste fra la natura ‘così come è’ e la natura percepita, con differenti qualità percettive a seconda delle variazioni della luce nelle ore differenti del giorno, e con processi informativi differenti coinvolti nel processo computazionale del percettore? Se di rappresentazione si tratta,  come ‘rappresentare’ queste qualità immateriali? E come rappresentare, nella pittura iconica, attraverso un medium che è lo stesso del medium usato per la rappresentazione del ‘vero naturale’?

Trattandosi di costruzione, la rappresentazione –la natura seconda nella rappresentazione iconica- è un reticolo di elementi e di loro relazioni entro il procedimento informativo e computazionali che lo costituisce. Quali elementi, quali relazioni? Nella convinzione della rappresentazione come sostituto isomorfo del rappresentato (il grado zero della rappresentazione), gli elementi sono costituiti soltanto da quanto sulla tela ‘rappresenta ‘ l’albero: linee di disegno, pigmenti, velature e gli elementi ‘volatili’ che sono raccolti nella espressione ‘modi dello stile’.

Se si risale lungo i gradi della ‘rappresentazione’, altri elementi irrompono, elementi contestuali che abitano dentro e fuori dalla tela, e costituiscono il processo complesso che coinvolge l’opera d’arte: l’artista, le sue azioni, il pubblico, i materiali coinvolti, le intenzioni a compiere un oggetto artistico.

Si racconta che Manzoni sottolineasse come sia parte dell’opera l’andare dell’artista a porre un colpo di pennello sulla tela, il ritornare al punto di osservazione per controllare il risultato, l’indugiare per poi ritornare alla tela, e così via: un processo computazionale a vari stadi che costituisce l’opera. Vi è qualcosa di questo nella indicazione dello storico dell’arte circa il punto di osservazione dell’utente nella rappresentazione dello spazio prospettico nella Trinità di Masaccio?

Vi è di più: se si salgono i gradi della rappresentazione, a muovere dalla rappresentazione iconica isomorfa alla natura si affiancano via via forme di rappresentazione fino a pervenire alle forme che rappresentano il processo dell’opera . Nelle varie forme, il concettuale è l’irrompere esplicito del ‘processo dell’opera’ nella rappresentazione: in realtà, la rappresentazione iconica è la forma di arte concettuale che nasconde – anziché esplicitare- il processo dell’opera nella rappresentazione medesima. Il ruolo dell’artista e del contesto, anziché essere attori espliciti della rappresentazione, si esprimono nella intenzione dell’artista, che viene a costituire il suo stile nella rappresentazione.

Vi sono due conseguenze: (i.) l’artista, nel processo che costituisce l’opera, può decidere per un grado nullo della rappresentazione, una delle scelte concettuali possibili: può esibire l’oggetto della rappresentazione, anzichè rappresentarlo nella forma iconica, e può coinvolgere nella esibizione fisica combinazioni di elementi di natura fisica e volatile a varii livelli. Le vasche plumbee del ‘Mare’ di Pino Pascali sono ‘rappresentazione’ nel senso di costruzione multivariata e multilivello dotata di una semantica complessa, in larga parte autoreferenziale, e dove convergono fattori di natura diversa, fisici, intellettuali e contestuali. (ii.) si vengono così a creare , per così dire, nuove forme della natura . Il percorso è diventato circolare: muovendo dalla rappresentazione della natura, si è pervenuti alla costruzione di forme naturali – nel circuito della rappresentazione- che non esistono in natura. Nella costruzione entro il processo dell’arte di forme di natura che aumentano il repertorio della natura si situano i lavori di Nanni Menetti.

La ricerca sulla rappresentazione nelle arti è pervenuta a questo punto limite, dove vi è uno scambio fra rappresentante e rappresentato e dove ‘rappresentazione’ è ambiguo fra il suo significato ordinario di ‘stare per’ e il senso di ‘costruire’. Si apre la strada a una morfologia di forme naturali in questo circuito secondo, a una loro classificazione, a una scienza della natura seconda. Gli oggetti ‘naturali’ della natura seconda provengono da una funzione segnica, sono originati e hanno funzionato come significanti, come rappresentazione, mentre ora svolgono il ruolo dei rappresentati. Sono anche linguaggio, oltre che natura.

Nanni Menetti propone un sistema in cui, non solo l’artista, nella sua funzione segnica, contribuisce al repertorio delle forme naturali: anche la natura collabora con l’artista alla creazione della forma in cui segno, oggetto e loro interscambi ininterrotti pervengono alla creazione di oggetti che sono segni, e insieme oggetti naturali, e dove il percorso computazionale e informativo è in parte dell’artista, in parte della natura. Il risultato di neutralizzazione dei significati (e di loro annullamento) Menetti lo consegue, in una prima fase, implodendo l’elemento linguistico (le microviolenze), applicandolo su sé stesso come rappresentante e come rappresentato, e neutralizzandone così la funzione. In questa fase, i fattori coinvolti sono tutti entro il processo semiotico e gli scambi di ruolo: emerge un elemento materico nell’apparire di colori freddi e di timbro alto, che interagiscono con i materiali linguistici. E’ come la rappresentazione del fatto che il circuito linguistico precipita su se stesso, e, nel perdere dei segni la loro funzione di significare, stanno come residui di una specie scomparsa.

Molte ricerche concettuali trovano un limite nella non ulteriore percorribilità della ricerca, pervenuta a un pieno compimento dei propri spazi. Una volta annullato il processo semiotico, un modo per riattivare gli spazi di ricerca e di espressione consiste nel far intervenire nuovi fattori: e si tratta, nella via percorsa da Menetti, di fattori non statici, di processi, di sistemi dinamici che operano passaggi computazionali e di informazione. La natura interviene operando ( attraverso il gelo) su un tessuto pittorico predisposto, contribuendo così, non attraverso un oggetto naturale, ma attraverso una attività – estranea all’altro fattore, l’artista-, alla realizzazione dell’opera. Questo interferire di processi – il processo dell’artista, fisico e immateriale, e culminante nella decisione concettuale di aprire il processo al fattore natura, e il processo naturale di ghiacciazione – lavorano fianco a fianco nella forma di processi direzionati. L’elemento casuale del processo naturale è solo apparente, è casuale solo dal punto di vista dell’artista che sistema il progetto e attiva il processo. Si tratta di un processo fisico semideterministico che si intreccia con il progetto semideterministico dell’artista: sono due processi di passaggio di informazione, processi computazionali descrivibili razionalmente nei loro livelli di articolazione.

Il linguaggio entra in due momenti. La natura viene posta con eleganza da Menetti sulla via di una partecipazione strutturata: ma vi è una disomogeneità di fondo, un gelo stilistico nel fissarsi di filamenti apparentemente misteriosi e casuali, come di un linguaggio ignoto, e che invece sono il risultato dell’interazione fra l’intenzione dell’artista e il sistema della natura. L’intervento della natura  non rappresenta in Menetti una forma di organicismo, un denso convivere di forme viventi con altre forme viventi: la natura è un linguaggio freddo, estraniato, e presenta come segni filamenti raggelati che percorrono lo spazio predisposto dall’artista, il linguaggio dei segni dell’artista, a sua volta estraniato e raggelato. L’itinerario della rappresentazione della natura si compie così in Nanni Menetti, al di là delle inversioni e degli scambi, in una forma naturale che si aggiunge alle forme della natura, e che è in parte prodotta dalla natura. Il modo della rappresentazione, in uno dei suoi estremi, ha generato, nella forma della rappresentazione, oggetti naturali: nello spazio concettuale, l’arte genera la natura, oltre a imitarla.

 

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