events
themes
call for papers
ideology busters
links
staff

Home

Le scienze, le arti e gli studi umanistici (Parol 11, 1995)
di Leonard B. Meyer

[Questo saggio di Meyer è apparso sulla rivista "Critical Inquiry", nel numero di Settembre 1974. E' un saggio molto lungo, diviso in due parti. Pubblichiamo qui la prima parte soltanto, rinviando la seconda al prossimamente. Inedito in Italia, il saggio ci appare di grande attualità e non solo in Italia, ma anche all'estero dove, in teoria, avrebbe potuto e dovuto essere ascoltato da piú di vent'anni. Ovunque continuano invece, nell'estetica, a fiorire e ad avere sempre piú fortuna i luoghi comuni e gli equivoci che Meyer qui criticamente denuncia. Doveroso, allora, tradurre e diffondere questo saggio, ribadendone la sua critica necessità. Tanto piú per una rivista come "Parol" che, su questa linea di riflessione e di senso, ha fondato la sua nascita e tutto il suo, ormai decennale, lavoro. Titolo originale del saggio: Concerning the Sciences, the Arts and the Humanities.]

Negli ultimi decenni le relazioni tra le scienze, le arti e gli studi umanistici sono state materia di un interesse continuo e spesso di un "cruento" dibattito, talvolta confuso. La causa di questo interesse è stata la difficoltà, da parte del pubblico colto, ma non specializzato, di comprendere la scienza; le analogie dubbie hanno creato confusione. Di recente Gunther S. Stent (1972), un biologo molecolare, ha trattato questi argomenti [ Il mio interesse è rivolto alla seconda parte del saggio di Stent (1972), in cui egli considera la relazione tra le scienze e le arti]. Poiché il suo discorso può essere esemplificativo di un punto di vista spesso portato avanti dagli scienziati, e occasionalmente dagli artisti e dall'opinione pubblica, prenderò questo articolo come punto di partenza e lo userò di volta in volta come pietra di paragone. Come molti altri scrittori, Stent ritiene che la scienza e l'arte siano essenzialmente rapportabili tra di loro. Come egli stesso afferma: "Sia le arti che le scienze sono delle attività che cercano di scoprire e di comunicare delle verità sul mondo" (Stent, 1972, p.89). Sebbene non si possa che simpatizzare col desiderio di mettere insieme le cosiddette "Due Culture", non si potrà arrivare a una loro unione plausibile e duratura ignorando o evitando le differenze importanti. Assumendo il comportamento degli scienziati, degli artisti e degli uomini comuni come prova (evidenza) empirica, la prima parte di questo saggio sosterrà la tesi che l'unione di Stent è un "matrimonio riparatore", non certo paradisiaco, e che il suo sforzo di sposare discipline differenti non porta ad una ricerca feconda, ma ad uno sterile equivoco. Nella seconda parte si affermerà che l'equivoco nasce perché, come molti scienziati e un buon numero di artisti e uomini comuni, Stent manca perfino di riconoscere l'esistenza dell'umanista - vale a dire del teorico e del critico d'arte. Tuttavia le discipline umanistiche devono essere prese in considerazione e le aree di ricerca all'interno di esse devono essere differenziate, se discipline diverse devono essere correlate tra loro in maniera coerente e consistente.

Scientificamente parlando la scienza non è l'arte

Possiamo cominciare considerando i termini-chiave, nella definizione di Stent, delle arti e delle scienze. Le nozioni, cioè, di "scoperta", "verità", e "a proposito di". Gli scienziati scoprono i fatti e, quando sono verificati, essi ottengono lo status di verità. Ma la scienza non è costituita semplicemente da un insieme di fatti, per quanto essi possano essere veri [...]. La scienza si avvale di teorie ed ipotesi create appositamente per spiegare ed illustrare le relazioni tra i fatti verificati. Le teorie stesse incoraggiano, inoltre, la ricerca e la scoperta di altri fatti. La verità di una teoria o di un 'ipotesi, però, non è mai più che provvisoria, perché è impossibile, in linea di principio, essere certi che in futuro non verranno scoperti dei fatti che proveranno la falsità parziale o totale della teoria. Le ipotesi vengono confermate con vario grado di probabilità, in base alla completezza e alla adeguatezza dei dati oltre che alle loro relazioni con altre formulazioni teoriche. Ma da ciò non consegue che tutte le teorie possano essere ugualmente probabili. Le ipotesi attuali nel campo della fisica delle particelle, ad esempio, sono abbastanza provvisorie, mentre le teorie nell'ambito della materia a livello ordinario sono chiaramente sia rigorose che attendibili [ La natura della "verità" scienfifica sarà anche discussa in seguito ].

E' importante sottolineare che se le teorie e le ipotesi scientifiche possono essere confermate solo provvisoriamente, possono essere però s-confermate inequivocabilmente. E quando le teorie sbagliate vengono scartate, la validità di quelle che sopravvivono diviene più probabile. Così, attraverso una sorta di metodo per prova ed errore, la scienza si muove verso la verità, arrivando in certi campi ad un'effettiva certezza, in tal altri raggiungendo soltanto risposte provvisorie o parziali ai problemi. A queste condizioni sembra ragionevole asserire che le scienze non solo cercano di dare delle verità sul mondo, ma sono anche in grado di offrirle. Le relazioni spiegate dalle teorie scientifiche esistono in natura. Il DNA è qualcosa che, come tale, esisteva già prima che Watson e Crick formulassero una teoria sulla sua struttura. La sua struttura non fu creata, ma scoperta. Oppure, affinché non sembri che ciò tolga loro la "creatività", si può dire che gli scienziati crearono una teoria per spiegare la struttura del DNA. Inoltre, sebbene la teoria della struttura molecolare - la nostra spiegazione di essa sia stata modificata per la scoperta di Watson e Crick, la natura delle relazioni all'interno della molecola non è cambiata certamente dopo la scoperta di Watson e Crick. Quindi possiamo sostenere con una certa sicurezza che, mentre le nostre teorie che spiegano la natura possono cambiare, rimangono costanti i principi che regolano le relazioni nel mondo naturale, sia nel tempo che nello spazio; valga l'esempio appunto della doppia elica: così 10.000 anni fa e la stessa, ora, dovunque essa si trovi.

Questo non è quanto avviene per l'opera d'arte. Amleto, Guernica, e il Quartetto in do diesis minore certo non esistevano prima della scrittura di Shakespeare, della pittura di Picasso e del comporre di Beethoven. Ilnostro modo ordinario di parlare dà significativa prova di questa differenza tra la scienza e l'arte, perché, sebbene gli aspetti della grammatica e della sintassi impiegati nel Quartetto in do diesis minore esistessero prima della sua composizione, come parte dello stile musicale del primo ottocento, che Beethoven stesso ha contribuito a formare, noi non affermiamo che Beethoven ha "scoperto" il Quartetto in questione, ma che, invece, lo ha creato o lo ha composto. Al contrario, non si afferma che Watson e Crick "hanno creato" la doppia elica, ma che essi hanno, piuttosto, scoperto la struttura del DNA o formulato una teoria che la spiega. I principi che regolano la struttura di un'opera d'arte non sono nemmeno immutabili - cosa che, per altro, complica enormemente, come vedremo, il compito dei teorici e dei critici. Come la storia delle arti nelle diverse culture chiaramente manifesta, i principi che regolano l'organizzazione delle opere d'arte sono relativi al tempo ed allo spazio. I principi che regolano la "scrittura" cinese non sono gli stessi che strutturano un dipinto occidentale, che impiega la prospettiva lineare, né un dipinto prospettico rinascimentale si basa sugli stessi principi di un dipinto espressionista astratto moderno. Similmente, la sintassi che governa un mottetto di Machault (1300-1377) non corrisponde a quella di un quartetto di Mozart o alla struttura della musica dell'India meridionale. Va al di là dello scopo di questo saggio, comunque, ricercare il motivo per cui i principi stilistici dell'arte sono in tal modo cambiati. E importante il fatto che ciò sia successo, mentre ciò non è avvenuto per quel che riguarda i principi della natura. Per prevenire equivoci è giusto sottolineare che i cambiamenti stilistici nell'arte non sono, se non metaforicamente, analoghi a quelli dell'evoluzione biologica né allo sviluppo delle teorie scientifiche. Nell'evoluzione biologica è chiaro il fatto che, per quanto molti organismi cambino e diventino complessi, la loro organizzazione rimane compatibile con dei principi primi invariabili. Questo non avviene, o almeno non è stato dimostrato, per quanto riguarda le arti. Stili differenti di musica sembrano fondarsi su principi sintattici piuttosto diversi ed incompatibili: basta confrontare, ad esempio, la musica di Bach con quella di Boulez. Riguardo a un'analogia possibile tra il cambiamento stilistico e lo sviluppo delle teorie scientifiche sembra che, come vedremo tra poco, poiché le teorie scientifiche sono proposizionali e controllabili, esse si "evolvono", nel senso che si muovono in generale verso una spiegazione più accurata del mondo naturale. Di conseguenza le prime teorie proprie di una determinata disciplina vengono sostituite e perfezionate da teorie successive. Ancora una volta questo non si può affermare in campo artistico. La rappresentazione della crocifissione di Rembrandt non può certo sostituire o invalidare quella del Perugino, così come la Missa Solemnis di Beethoven non può sostituire la Messa in si minore di Bach e neanche una commedia di Bernard Shaw può rendere obsoleta una di Mohère o di Sheridan.

Prima ho preso come esempio Amleto perché Shakespeare, come ha fatto spesso, ha preso in prestito questa trama da una fonte già esistente. Ora, se, come afferma Stent, "noi non siamo veramente interessati alla sequenza verbale esatta" ma "al contenuto" (Stent 1972, p. 82), non farebbe differenza alcuna leggere la commedia di Shakespeare, la commedia precedente da cui Shakespeare prese a prestito la trama oppure il racconto su cui la prima commedia si basa. Chiaramente questo non è esatto e Stent è certo cosciente che ciò rappresenta un problema; ma la sua discussione e "soluzione" di questo problema mi sembrano fondamentalmente errate ed ambigue. Di conseguenza sarebbe di scarsa utilità analizzare i punti particolari; io, invece, intendo tagliare il "nodo Gordiano" con una distinzione netta, ma semplice: esiste una differenza profonda e basilare tra le teorie scientifiche, che sono proposizionali e le opere d'arte, che sono invece presentazionali.

Le teorie scientifiche sono formate da affermazioni proposizionali o ipotesi che esprimono e spiegano delle relazioni ricorrenti, osservate nel mondo degli eventi naturali nel comportamento sociale, nell'agire umano. Esse sono generali in quanto si riferiscono a classi o a tipi, astratte, in quanto danno conto soltanto di alcune caratteristiche del mondo naturale. La legge di gravità, ad esempio, esprime la relazione tra la massa e la distanza tra gli oggetti ma non dice nulla intorno alla loro forma, colore e consistenza, alla loro dimensione e al loro materiale, a meno che non influiscano sulla massa.

Le opere d'arte, invece, sono modelli presentazionali che, similmente ai fenomeni della natura e ai comportamenti umani, possono essere occasione di esperienze gioiose, intriganti, commoventi. Anche quando l'arte è rappresentativa ciò che viene rappresentato (ri-presentato) non è un concetto astratto circa relazioni e rapporti tra enti, ma una loro esemplificazione concreta. La nostra esperienza del Mosè di Michelangelo, ad esempio, non è fondata da variabili astratte come la massa, la consistenza, il colore, la forma e il soggetto, prese singolarmente, ma dalle specifiche relazioni risultanti dalla confluenza di tutte queste caratteristiche. Va sottolineato inoltre che la statua non viene compresa come una proposizione generale sulla composizione chimica del marmo, sulle proporzioni del corpo umano o sulla storia del popolo ebraico, sugo stile della scultura rinascimentale o addirittura sulla natura dell'esperienza estetica. Essa non costituisce un oggetto per delle generalizzazioni teoretiche, ma per una risposta e per una comprensione (una valutazione), di tipo estetico. L'argomento, tuttavia, è più complesso, perché il comprendere e il rispondere alle opere d'arte comporta un giudizio di classificazione. Quando noi guardiamo una statua, leggiamo una poesia (recitandola dentro di noi) o ascoltiamo un quartetto d'archi, il nostro apprezzamento dipende da ipotesi che abbiamo interiorizzato (giudizi di probabilità sviluppati in maniera inconscia), ipotesi riguardo a come l'opera d'arte si formerà, si svilupperà e arriverà a completamento. Queste ipotesi interiorizzate dipendono in parte da nostre esperienze generali del mondo e in particolare dalle nostre esperienze di opere d'arte simili (il loro stile, la loro forma, il loro genere e il loro soggetto). Comunque, sebbene la nostra comprensione delle opere d'arte, come la nostra comprensione del tramonto o del football, dipenda da ciò che si può definire "abitudini proposizionali", queste abitudini non sono concetti esplicitamente formulati, come avviene invece per le teorie scientifiche. A loro volta nemmeno le opere d'arte ci permettono di fruire d'esse come proposizioni: il Mosè, il Quartetto in do diesis minore e il sonetto di Keats When I have fears that I may cease to be, sono modelli presentazionali le cui relazioni specifiche e non ricorrenti sono la base, il principio informatore di particolari esperienze estetiche.

Anche concedendo che gli scienziati non creano allo stesso modo degli artisti, ma scoprono e formulano, cosa si può dire a proposito degli inventori? Di sicuro fanno qualcosa di più che elaborare teorie che spiegano delle relazioni già esistenti, essi portano delle novità: la ruota, l'aereoplano, la stampa, la televisione, l'irrigazione ecc. Senza sminuire l'aspetto creativo dell'invenzione, è comunque importante sottolineare che anche le invenzioni sono generali e generiche. Esse non sono confrontabili con la creazione di opere d'arte particolari, ma con l'invenzione di norme artistiche ripetibili - cioè con forme poetiche come il sonetto, o con procedimenti musicali come il contrappunto imitativo, oppure con procedimenti pittorici come la prospettiva lineare ecc. Siccome quello che viene scoperto è un principio generale, le invenzioni sono analoghe alle teorie proposizionali, piuttosto che alle singole opere d'arte. Di conseguenza, come vedremo, non è infrequente il verificarsi di invenzioni simultanee analoghe alla scoperta simultanea nella scienza o nelle tecniche artistiche. Ciò che viene inventato, quindi, è un principio tecnologico generale; non si inventa un'opera singola, unica. Un'unica automobile sarebbe inutile quanto un unico telefono. Detto in maniera differente: inventare un unico oggetto non sarebbe più un'invenzione, ma un'opera d'arte [...].

La distinzione tra le teorie proposizionali della scienza e l'identità presentazionale (presentational presence) dell'opera d'arte è importante, perché ci aiuta a spiegare differenze interessanti tra il comportamento degli scienziati, da una parte, e quello degli artisti e del loro pubblico, dall'altra. Inoltre queste differenze comportamentali ci indicano che, mentre la psicologia della scoperta scientifica, dell'invenzione, della creazione artistica possono in, molti modi essere simili, i risultati di queste attività possono essere equiparati solo con un fraintendimento della loro natura.

Da questo punto di vista occorre sottolineare che non è sufficiente affermare semplicemente che le opere d'arte più recenti "sostituiscono" le più antiche come avviene per le teorie scientifiche. Bisognerebbe fornire delle prove pratiche (empiriche) di questo. In assenza di una teoria psicologica provata sperimentalmente, la miglior prova che abbiamo è l'effettivo comportamento degli scienziati, degli artisti e del pubblico; si considerino, allora, le seguenti differenze nel loro comportamento.

1 - Molto raramente uno scienziato legge un lavoro di uno scienziato del passato: per esempio i Principia di Newton, L'origine delle Specie di Darwin o gli scritti di Einstein sulla relatività. Gli scienziati leggono "libri di testo" che sintetizzano gli scritti del passato e le scoperte in essi contenute. Come C.P. Snow (1971, pp. 94-95) scrive: "Nessuno scienziato o studente di discipline scientifiche ha bisogno di leggere integralmente uno scritto del passato. Come regola generalmente non penserà mai di farlo. Rutherford era uno dei più grandi fisici sperimentali, ma nessun scienziato nucleare di oggi studierebbe le sue ricerche di cinquant'anni fa. La sostanza di questi studi è ormai integrata nella mentalità comune, inglobata nei libri di testo, negli scritti contemporanei, nel vivo presente" [Stent fa un breve riferimento a questo (1972, p. 91), così come anche Kuhn (1962). Non è, comunque, come suggerisce Kunn principalmente "la fiducia degli scienziati nei loro paradigmi che rende possibile questa tecnica educativa" (p. 164), ma il fatto che l'educazione scientifica consiste, al suo stadio iniziale, nell'acquisizione di una conoscenza proposizionale] Tali sintesi cumulativa è possibile perché le teorie scientifiche sono proposizionali - mirano alla formulazione di generali affermazioni classificatorie che descrivono e spiegano le relazioni esistenti in natura.

Nelle arti, invece, prevale la situazione opposta: gli artisti, i critici, il pubblico, di solito sono in disaccordo. Ma insisterebbero tutti con forza nell'affermare che le opere d'arte non sono riassumibili e sintetizzabili. Gli scrittori e i lettori non studiano delle sintesi di commedie, di poemi, di racconti, ma gli originali: sono questi ultimi che gli artisti e il pubblico sono interessati a vedere - anche buone riproduzioni vengono disdegnate; i musicisti sottolineano l'importanza di ascoltare una composizione nel modo in cui il compositore la scrisse, non un insieme di affermazioni proposizionali su di essa. E' frequente, invece, incontrare uno scienziato che non ha letto Newton, Darwin, Einstein; ma è anomalo un umanista che non ha letto l'Amleto, che non ha visto mai quadri di Picasso o udito un Quartetto di Beethoven.

E' evidente anche un'ulteriore differenza; lo studio in campo artistico non consiste certo nella lettura dei libri di testo che contengono le scoperte recenti in ambito umanistico. Quando vengono usati dei libri di testo, sono insiemi di estratti e riproduzioni che illustrano ipotesi critiche e storiche. E' presumibile che gli studenti abbiano letto, visto o ascoltato gli originali a cui ci si riferisce. Questo avviene perché le opere d'arte, anche quelle più rappresentazionali, non sono certo delle proposizioni generali sul mondo o sui sentimenti, ma sono delle presentazioni di modelli particolari che costituiscono una base per l'esperienza estetica.

2- Il fatto che per il suo carattere proposizionale la scienza differisce dalla natura presentazionale delle opere d'arte, si può sottolineare con un altro contrasto significativo. Come C.P. Snow e altri hanno sottolineato, le teorie scientifiche si sostituiscono l'una all'altra; cosa che non avviene per le opere d'arte. La scoperta di Keplero del percorso ellittico delle orbite planetarie confutò e sostituì la teoria degli epicicli[.].

Poiché le teorie scientifiche consistono, come appena sottolineato, in proposizioni generali astratte che si riferiscono alle relazioni ricorrenti tra le variabili selezionate, la loro validità può essere, almeno in linea di principio, controllata empiricamente, e si può verificare il loro legame con altre conoscenze. Una volta fatto questo, le ipotesi alternative formulate per spiegare relazioni identiche diventano, di regola, reciprocamente esclusive: solo una proposizione vera può avere un dato "spazio" concettuale-esplicativo; da ciò si deduce che le teorie e le ipotesi prendono il posto l'una dell'altra.

Questo non è comunque il caso dei fenomeni particolari che vengono spiegati dalle teorie; questi fenomeni non sono astratti, generali, o ricorrenti. Così, sebbene soltanto un'unica vera ipotesi spieghi il modo in cui la rifrazione della luce nelle gocce d'acqua produce i colori di un tramonto, sono innumerevoli i tramonti particolari, e ognuno di essi può essere ammirato nei suoi speciali effetti. E sarebbe veramente strano affermare che un tramonto ne confuta o sostituisce un altro.

Anche le opere d'arte sono particolari, fenomeni presentazionali - sebbene esse siano create dall'uomo, piuttosto che reperibili in natura. Come gli oggetti e gli eventi naturali, l'opera d'arte può, come vedremo, essere materia di ricerche teorico-critiche, ma di per sé le opere d'arte non sono proposizioni astratte e generali. Esse sono concrete (presentano e ri-presentano) oggetti relazionali particolari o eventi. Le opere d'arte si possono susseguire l'una all'altra nel tempo, ma siccome non sono proposizionali non sono dimostrabili né mutuamente esclusive. L'esperienza ordinaria ci offre prove inequivocabili che è cosí: le teorie scientifiche di Aristotele, Tolomeo, sono ora soltanto di interesse storico, ma la musica di Mozart, la scultura di Michelangelo, i drammi di Sofocle e di Shakespeare, sono fonti continue di ricerca e di piacere estetico.

Anche quando il soggetto rappresentato è lo stesso e la qualità della ricerca è confrontabile, le opere d'arte più recenti non si sostituiscono a quelle più antiche. Una Crocifissione di Rembrandt non può negare, eliminare o sostituire quelle di Tiziano e di Crivelli. Nemmeno il Re Lear può soppiantare Timone di Atene nello stesso senso in cui la teoria di Darwin sostituisce, invece, le altre ipotesi sulla creazione delle specie [Su questo punto Snow è piú "percettivo" di Stent (1971, pp. 91-92). Egli scrive "Non c'è intrinseco progresso nella cultura umanistica. Ci sono dei cambiamenti, non dei progressi, non un aumento di consensi" (p. 95). Ma Snow ha ragione solo per metà; la sua affermazione si può applicare, sí, alle opere d'arte, ma queste sono soltanto una parte della "cultura umanistica". I teorici-umanisti, distinti dagli artisti, formulano delle teorie: queste possono essere cumulative, sostituirsi le une con le altre. Le difficoltà della costruzione di teorie nelle scienze umane, che hanno reso lo sviluppo cumulativo un'eccezione, saranno evidenziate nella seconda parte di questo saggio.]. Re Lear viene recitato più spesso del Timone non perché sia più vero proposizionalmente o semanticamente (vedere piú avanti) ma perché è piú ricco presentazionalmente e sintatticamente. Lungi dal confutarsi, dall'invalidarsi o dal sostituirsi reciprocamente, le opere d'arte - e in specie proprio quelle che sono simili nello stile e nel genere, nell'argomento e nella forma - si completano e si illuminano reciprocamente.

3- Un'ulteriore differenza tra il comportamento degli scienziati e quello egli artisti indica che la distinzione tra la scoperta di teorie proposizionali e la creazione di modelli presentazionali è reale e ricca di conseguenze; penso al fatto che gli scienziati e gli artisti danno il meglio di sé in periodi differenti della loro vita.

E' da tutti riconosciuto, ritengo, che gran parte delle scoperte scientifiche - gran parte delle formulazioni teoriche veramente nuove - vengono compiute quando gli scienziati sono ancora giovani, anche se la pubblicazione delle loro opere può essere ritardata, come nel caso di Newton. Ma le piú grandi opere di artisti, scrittori, compositori, sono state in gran parte create in tarda età, anche quando la loro vita è stata breve, come nel caso di Mozart o Keats [...]. Basti pensare agli ultimi Quartetti d'archi di Beethoven, o all'Otello di Verdi, scritto all'età di settantaquattro anni, oppure ai ritratti piú importanti di Rembrandt, dipinti nei suoi ultimi anni, o al Giudizio universale di Michelangelo, dipinto a piú di sessant'anni, o al Faust di Goethe, al Paradiso perduto di Milton, scritti quando gli autori avevano quasi sessant'anni.

Un'altra differenza comportamentale va aggiunta alla precedente: nella maggior parte dei casi gli scienziati, che vengono considerati dei "grandi", sono quelli che hanno formulato delle teorie radicalmente nuove sul mondo. Sono degli innovatori che, per dirla nei termini di Kuhn [...], hanno rovesciato un paradigma esistente. Vengono subito in mente i nomi di Keplero, Newton, Einstein. Ma nonostante i miti persistenti, ereditati dall'Ottocento, sicuramente questa non è la regola per quanto riguarda le opere d'arte. Bach, Mozart e anche Beethoven, Raffaello, Tiziano e Rembrandt, Shakespeare, Cervantes e Goethe non sono certo stati degli innovatosi radicali. Non cambiarono una sintassi, uno stile o un genere già esistente; piuttosto essi elaborarono e costruirono basandosi su quelli già presenti. Come R.S. Crane (1967, pp. 70-71) osserva: "E' un grande vantaggio anche per l'artista originale... se la "forma" in cui egli intende scrivere è già stata ampiamente coltivata dai suoi contemporanei e immediati predecessori, poiché in questo caso gran parte della sua opera di invenzione materiale e tecnica è già stata compiuta".

Così nella musica l'invenzione e l'elaborazione iniziale del principio di forma-sonata - un'innovazione che con le dovute riserve, potrebbe essere comparata ad un'invenzione tecnologica - da parte dei compositori dall'inizio del Settecento è stata un gran vantaggio per Haydn, che ha poi creato basandosi sulle loro innovazioni tecniche e formali. L'elaborazione della forma-sonata, da parte di Haydn, è stata, a sua volta, di aiuto per Mozart e Beethoven. Il nuovo paradigma, l'"idea" di forma-sonata, che si può considerare proposizionale, è stata opera dei primi compositori classici - Wagenseil, Sammartini, C.F.E. Bach e altri - la cui musica viene suonata raramente e i cui nomi sono quasi dimenticati salvo che dagli storici della musica. Nell'arte, quindi, a creare le più grandi opere sono gli elaboratori di un paradigma stilistico già esistente. Nella scienza, invece, avviene il contrario: color che scoprono nuove teorie, considerate giuste, vengono ricordati, mentre gli elaboratori tendono ad essere dimenticati.

A cosa sono dovuti questi diversi comportamenti? Almeno in parte si possono considerare conseguenza della differenza tra la capacità e le circostanze che favoriscono la scoperta di nuove proposizioni e quelle che facilitano la creazione di modelli presentazionali originali.

Lo scienziato parte da un problema, che di solito nasce perché la teoria esistente non può spiegare adeguatamente le nuove scoperte; il suo obiettivo è formulare un'ipotesi (e se possibile dimostrarla) che spieghi i fatti meglio di quella al momento in auge. Per fare ciò deve riuscire a vedere i "vecchi fatti" in modo nuovo. Ma, più la teoria prevalente tende a cristallizzarsi come il modo di percepire e concettualizzare le relazioni nel mondo, più diventa difficile formulare proposizioni alternative - è più arduo guardare il mondo senza le lenti della tradizione. Il credere ha una forte tendenza a diventare visione.

Un esempio semplice e non scientifico servirà a illustrare questo punto. I dati in questo caso sono una serie di parole; il problema è organizzare la serie (suddividerla secondo la punteggiatura giusta) così che acquisti un senso grammaticale.

TIME FLIES YOU CAN'T THEY FLY TOO FAST

Molte persone hanno dei problemi nel rendere la serie intelligibile in inglese. Questo avviene perché il loro modo tradizionale di interpretazione - le loro ipotesi linguistiche iniziali - li porta a intendere TIME (tempus) come un nome e FLIES (fugit) come un verbo.

Solo capovolgendo questa ipotesi e accorgendosi che TIME può essere un verbo e FLIES un nome si può dare un senso alla serie. La frase costruita alla luce di questa nuova formulazione può essere così spiegata e punteggiata:

TIME FLIES? YOU CAN'T! THEY FLY TOO FAST.

In breve: se le abitudini linguistiche fossero state un po' meno consolidate, il problema si sarebbe potuto risolvere più rapidamente.

Considerazioni analoghe sembrano possibili anche per la formulazione delle ipotesi scientifiche. La capacità di scoprire nuove relazioni nel mondo dipende in gran parte dall'essere sufficientemente ingenui, così da guardare i dati in una maniera non tradizionale. Keplero, prima di giungere alla sua nuova teoria sulle orbite planetarie, dovette combattere ed allontanarsi da un modo di pensare tradizionale, che postulava la perfezione del movimento circolare, e quindi la sua necessaria ubiquità. Jeremy Bernstein concorda in questo, quando descrive la difficoltà di Lorentz nell'accettare la teoria di Einstein: "Forse la resistenza alla teoria di Einstein era una questione d'età. Sia Lorentz che Poincarè avevano circa 40 anni quando dovettero affrontare la crisi della fisica, che era stata causata dall'esperimento di Michelson-Morley. In un certo senso essi sapevano troppo, avevano un'acquisizione della fisica classica troppo radicata per poterla estirpare. Einstein aveva solo 26 anni quando pubblicò la sua teoria (non solo la sua scoperta ma quasi tutte le più grandi scoperte della fisica teorica sono state fatte da uomini sotto i 30 anni)" (Bernstein, 1973, p. 101) [Vedi anche Kuhn (i962, pp. 149 e seg.) e Freeman J. Dyson (1978, p. 78)]. Siccome i giovani, genericamente parlando, sono stati meno "condizionati" dai metodi predominanti di concettualizzazione del mondo, le nuove teorie vengono spessissimo concepite da giovani all'inizio della loro carriera scientifica [.]. Per il fatto che la scienza è interessata principalmente alla scoperta e alla spiegazione delle relazioni normative tra gli eventi, ad essere maggiormente apprezzati e ricordati sono coloro che formulano teorie nuove e consequenziali - che non soltanto alternano la concezione tradizionale ma avviano la ricerca di nuovi dati.

D'altra parte l'artista è invece interessato non tanto alla scoperta di principi generali, ma al loro uso; egli impiega regole e principi appartenenti ad un paradigma prevalente - la grammatica, la sintassi e i procedimenti formali di uno stile esistente - al fine di creare un modello originale incarnato: un'opera d'arte. Ma, come sottolineerò più avanti, l'artista non ha bisogno di aver concettualizzato le regole da lui usate - ancor meno d'essere in grado di spiegarle. La sua "conoscenza", basata sulla pratica e sull'esperienza, può essere tacita; l'artista comprende le regole nel senso che è capace di impiegarle efficientemente ed efficacemente, non di formularle come affermazioni proposizionali. Gli uomini possono usare o avere usato il linguaggio con un effetto brillante senza essere in grado di formulare e spiegare le regole della grammatica e della sintassi, della prosodia e della retorica - per non parlare di principi come quelli della grammatica generativa. Allo stesso modo gli uomini sono stati in grado di costruire la Cattedrale di Chartres senza conoscere i principi "proposizionali" dell'ingegneria, le leggi della tensione, della forza, della pressione e simili. Lo stesso avviene anche per le altre arti. I compositori, ad esempio, hanno impiegato la sintassi tonale molto prima che una teoria plausibile per l'armonia tonale fosse formulata.

Gli stili sono "sistemi" di probabilità complessi all'interno dei quali l'artista sceglie tra possibili alternative - cioè, in rapporto ad essi inventa e combina modelli, sviluppa e risolve tensioni, crea ed elabora relazioni formali. Senza un paradigma probabilistico, la scelta creativa sarebbe impossibile; se le regole specificassero precisamente il comportamento, tutte le scelte sarebbero preordinate e l'originalità sarebbe impossibile. L'arte accademica si avvicina a questa situazione. D'altra parte, laddove non ci fossero affatto regole - niente sarebbe possibile e tutte le possibilità sarebbero ugualmente probabili - l'artista sarebbe assalito da una tremenda indecisione; un numero infinitamente ampio di tali alternative, infatti, preclude virtualmente una scelta intelligente.

Lo stile è il punto di partenza dell'artista: guida, ma senza determinarle, le sue decisioni. Le norme sintattiche, i procedimenti della prosodia e le convenzioni drammatiche dell'Inghilterra elisabettiana, per esempio, limitarono molte delle scelte di Shakespeare; non per questo, però, determinarono le parole, i gesti e le azioni specifiche di Amleto, Gertrude e Claudio. Questo dipendeva non soltanto dalla capacità di Shakespeare di inventare interessanti alternative e di immaginare le loro conseguenze, ma dalla sua abilità, quale primo spettatore delle sue creazioni, nel giudicare intuitivamente i loro effetti, scegliendo di conseguenza.

La capacità di inventare ed immaginare creativamente dipende in parte da qualità innate, sia mentali che intuitive. In parte è il risultato dell'esperienza dell'artista - del suo aver imparato, attraverso un paziente ed accurato esercizio, a trovare possibilità promettenti e ad immaginare le loro implicazioni. Similmente la capacità di scegliere, con sensibilità e discernimento, dipende in parte dall'esperienza - non soltanto l'esperienza del mondo, ma anche delle altre opere d'arte. In altre parole, l'abilità dell'artista nello scegliere efficientemente dipende dall'esistenza di regole stilistiche vitali; la possibilità di usare tali regole effettivamente dipende dalla sua ingegnosità e dal suo giudizio, entrambi risultato in gran parte dell'esperienza. Proprio perché la capacità creativa, il discernimento e la capacità di giudizio aumentano con la pratica e l'esperienza, gli artisti sono portati a creare le loro più grandi opere avanti negli anni. Così avviene che tali risultati artistici non vengono prodotti da coloro che promulgano un nuovo paradigma stilistico, ma da quelli che sono così fortunati da poter lavorare su uno già esistente - da quegli artisti che hanno avuto l'opportunità di interiorizzare le probabilità ed i procedimenti stilistici, di esplorare le loro potenzialità, diventando così esperti nel selezionare le alternative più interessanti e piacevoli.

4- Pur essendo il mio interesse primario quello di considerare le differenze tra le scienze e le arti, non intendo però suggerire che non ci siano similarità. Nonostante i suoi molteplici misteri, la psicologia del processo creativo sembra essere un terreno di evidenti rapporti [.]. Sia agli scienziati che agli artisti si richiede di possedere qualità quali una forte disciplina, l'intelligenza per comprendere relazioni complesse, l'immaginazione per prevedere le implicazioni dei concetti e dei modelli, e la capacità di sopportare le tensioni dell'incertezza e dell'ambiguità. Più specificamente gli artisti, come gli scienziati, sembrano usare un metodo per "prove ed errori". Beethoven, ad esempio, scrisse: "Posso ricordare per anni un tema che mi si è presentato una volta. Lo altero, lo modifico e lo sperimento finché non sono soddisfatto; così inizia nella mia testa lo sviluppo (Verarbeitung) in ampiezza, concentrazione, altezza e profondità." [Citazione in M. Cooper (1970, pp. 129-130)]. Ma le affinità psicologiche tra i processi creativi degli scienziati e degli artisti non garantiscono la conclusione che i risultati raggiunti - le teorie e le opere d'arte - siano confrontabili, così come il fatto che l'energia genera sia il suono che la luce non porta alla conclusione che questi fenomeni siano equivalenti sperimentalmente e concettualmente.

Anche l'idea di originalità, spesso considerata caratteristica sia della scienza che dell'arte, sembra denotare tipi di comportamento abbastanza differenti nei due ambiti - come si può mostrare con un semplice esempio. Un musicista del Sud dell'India, improvvisando sul sitar, impiega materiali tonali, procedimenti sintattici e relazioni formali che sono stati usati ripetutamente. Sono nuove non tanto le regole stilistiche e gli schemi archetipici che guidano la sua esecuzione, ma l'attualizzazione di essi come opera d'arte specifica. Il compositore-esecutore verrà considerato originale non perché stravolge un paradigma tradizionale, ma perché, impiegando regole già esistenti in un modo inventivo e immaginativo, crea un nuovo modello presentazionale per il nostro gradimento estetico. Ma lo scienziato, il cui lavoro consistesse nell'inventare variazioni sottili all'interno di una teoria esistente - eseguendo sostanzialmente lo stesso esperimento in maniera ripetitiva - non verrebbe considerato particolarmente originale e creativo, anche se verrebbe riconosciuto certamente il valore del suo contributo.

La distinzione tra il carattere presentazionale dell'opera d'arte e la natura proposizionale delle teorie scientifiche è di interesse più che filosofico. Quando questi due differenti campi del "sapere" vengono confusi, infatti, si possono avere conseguenze bizzarre oltre che deplorevoli.

In particolare nella musica e nelle arti visive, la scoperta scientifica è spesso stata presa, nel recente passato, come il modello della creatività. L'originalità è stata equiparata all'innovazione stilistica. Come ha sottolineato Harold Rosemberg (1959, p. 67), c'è stata una ricerca di novità proposizionali. Sono state, ad esempio, stipulate delle "norme categoriche": l'uso di un solo colore, tracciare soltanto linee rette... scegliere le relazioni musicali da un set predeterminato di altezza e durata, oppure affidarsi a un lancio di dadi. Questa ricerca della novità può essere spiegata storicamente: l'inizio del Novecento è stato caratterizzato da una diversità stilistica. Differenti linguaggi nazionali e privati esistevano l'uno accanto all'altro. Allo stesso tempo, c'era una coscienza crescente del fatto che altre culture ed epoche precedenti avevano impiegato stili differenti. Un senso pervasivo del pluralismo, insieme ad un presunto indebolimento dello stile prevalente, diffuse la convinzione che l'arte era veramente qualcosa di artificiale, se non di arbitrario. Niente sembrò impossibile, così la scelta diventò traumatica. Da questo punto di vista, i programmi proposizionali inventati dagli artisti contemporanei possono essere visti come maniere di limitare - o, nel caso dell'arte aleatoria, di evitare - una scelta.

Allo stesso tempo il pensiero e l'ideologia occidentale cominciarono ad essere sempre più dominati dalla scienza. Molti artisti, cercando di emulare gli esiti della scienza e inconsciamente forse di ottenerne un eguale prestigio, volsero la loro attenzione e le loro energie non tanto a creare l'arte ma a proporre nuove teorie sull'arte. La supposta equivalenza dell'arte con la scienza venne resa esplicita quando le opere d'arte vennero chiamate "sperimentali".

Il fatto che questi eventi siano comprensibili storicamente non garantisce comunque che l'analogia sia sostenibile. In aggiunta ai contrasti più fondamentali appena considerati, anche il fatto che i nostri criteri di originalità differiscano nelle arti e nelle scienze indica che l'analogia è errata. Se le sue conseguenze siano feconde esteticamente [A questo proposito è importante riconoscere che, nelle arti come nelle scienze, possono scaturire delle conseguenze feconde da teorie sbagliate.], sarà la storia a decidere.

Ciò che è più interessante e anche divertente è che una concatenazione di errori sta evidentemente alla base del merito attribuito oggi alla novità nell'arte come nella scienza. In accordo con l'opinione corrente, infatti, "noi ci aspettiamo che gli artisti come gli scienziati vadano oltre il presente, rifuggendo da ciò che è già stabilito, e creando non ciò che è accettabile, ma ciò che verrà accettato" (Bronowski 1958, p. 64). Ma nelle arti il valore posto nella novità è largamente confinato alla cultura occidentale, dove è un fenomeno relativamente recente. Circa all'inizio del Settecento gli artisti non venivano assolutamente pensati come i contestatori di ciò che era già stato stabilito. Il talento e l'originalità venivano valutati in base all'uso inventivo dei mezzi tradizionali, non in base all'invenzione di linguaggi rivoluzionari. Forse, ancor più sorprendentemente, "la novità fine a se stessa non è un desideratum nelle scienze come lo è in molti altri campi creativi" (Kuhn 1962, p. 168).

Il paradosso e l'ironia si mescolano; molti artisti contemporanei, pensando che fosse l'obiettivo della scienza che hanno tentato di emulare, hanno cercato la novità proposizionale. In questo modo non solo hanno posto un'analogia errata ma anche l'obiettivo presunto era sbagliato! Ulteriore e ultima ironia è poi il fatto che, se le opere d'arte fossero veramente confrontabili con le teorie scientifiche, allora, come tali teorie, si potrebbero dimostrare errate e verrebbero scartate. Tutto quel che resterebbe di questi sforzi sperimentali sarebbero curiosità storiche (paragonabili a quelle che possiamo avere verso l'etere e il flogisto!).

5- Un'altra differenza comportamentale tra la scienza e l'arte - una differenza collegata al nostro concetto di originalità - è l'occorrenza di scoperte simultanee. I fatti sono tanto sorprendenti quanto indiscutibili. Indipendentemente l'uno dall'altro, e circa simultaneamente, Newton e Leibniz scoprirono il calcolo infinitesimale. Darwin e Wallace formularono teorie dell'evoluzione simili - e questi sono solo alcuni degli esempi più famosi. Ma non è mai avvenuta una creazione simultanea della stessa opera da parte di due artisti operanti indipendentemente. E' difficile immaginare due drammaturghi elisabettiani che scrivono l'Amleto, due compositori dell'inizio dell'Ottocento che creano il Quartetto in do diesis minore scritto da Beethoven, o due artisti dell'inizio del Novecento entrambi autori di Les demoiselles d'Avignon. L'accusa di heghelismo illecito o di storicismo dubbio non può negare il fatto che, quando le condizioni sono propizie, la probabilità di compiere una particolare scoperta scientifica diventa molto alta. Il resoconto di Watson in The Double Helix rende chiarissimo che, se Watson e Crick non si fossero sbrigati, la questione sarebbe stata comunque risolta da qualcun altro prima di loro. Né c'è bisogno del determinismo storico per credere che, data la situazione della conoscenza scientifica negli Anni Cinquanta, se Yang e Lee non avessero confutato le leggi della parità, qualche altro scienziato l'avrebbe sicuramente presto fatto [.]. Ma se Strawinski non avesse composto la Sinfonia dei salmi questa non sarebbe mai stata scritta.

Ancora una volta il contrasto può essere quindi delineato, sottolineando la differenza tra affermazioni proposizionali e modelli presentazionali. Siccome il numero di asserzioni generali valide su alcune classi di fenomeni naturali sembrerebbe finito, non è improbabile che, in situazioni storico-culturali favorevoli, più di uno scienziato possa scoprire una relazione particolare e formulare una teoria che la spieghi. Ma proprio come il principio della rifrazione della luce è alla base dei colori di innumerevoli specifici tramonti, così le regole di uno stile, per quanto costanti e limitate, possono dar luogo a innumerevoli opere d'arte tra loro diverse. Di conseguenza, la probabilità di una creazione artistica simultanea è virtualmente nulla.

Ho prima spiegato che l'invenzione di tecniche artistiche nuove e l'innovazione tecnologica possono considerarsi analoghe. Poiché ciò che viene scoperto è ripetibile, un principio generale - per esempio, la forma del sonetto o il contrappunto, la tecnica dell'irrigazione o la macchina a vapore - scoperte simultanee dovrebbero avvenire in entrambi i casi. Che ciò avvenga per la tecnologia è ben risaputo. In verità John R. Pierce (1958, p. 117) ritiene che, per varie ragioni, "la chance di scoperte simultanee è forse piú grande nella tecnologia che non nella scienza". Nelle arti, sfortunatamente, le cose sono alquanto confuse. I cambiamenti stilistici e le nuove tecniche sono raramente effettuate da un'opera singola, ma attraverso un insieme di quelle spesso dimenticate. Essi evolvono gradualmente nel corso degli anni. Il Cubismo, per esempio, si sviluppò dalle opere di Cézanne e dei suoi contemporanei. Durante la prima decade del Novecento era "nell'aria" perché era un concetto generale. Sarebbe certamente singolare e improprio, però, asserire che un modello specifico come Les demoiselles d'Avignon fosse già nell'aria. In musica, nel decennio seguente, si verificò l'evento del serialismo. E il suo inizio fornisce un chiaro esempio di scoperta simultanea nelle arti. Entrambi Hauer e Schoenberg ebbero l'idea (principio generale) di comporre attraverso i dodici suoni circa nello stesso tempo e indipendentemente l'uno dall'altro.

6- Sia le arti che le scienze sono attività collettive. Ma lo sono in una maniera significativamente differente. Le opere d'arte si arricchiscono l'una con l'altra; la nostra comprensione e valutazione dell'Amleto o del Quartetto in do diesis minore dipendono dalla nostra esperienza di altre opere teatrali o di altre composizioni. In un certo senso si può considerare questa comprensione atemporale. La pittura di Manet condiziona la nostra valutazione di Goya (e viceversa) proprio come la pittura di Manet modifica la nostra comprensione dei suoi contemporanei e dei suoi successori. Anche concedendo questa interdipendenza culturale, le reazioni specifiche che costituiscono un'opera d'arte formano, comunque, un modello completo e coerente, che è "logicamente" indipendente da altre opere d'arte - sebbene non lo sia storicamente e psicologicamente.

La scienza è collettiva in maniera differente e in un senso anche più significativo. A differenza dell'opera d'arte, le ipotesi scientifiche non possiedono un'integrità e una completezza interna. La loro interdipendenza è più che storica e psicologica. Le scoperte scientifiche si completano e si implicano le une con le altre in una maniera logica e sistematica. Non è l'ipotesi individuale che crea la coerenza e l'intensità nella scienza, ma un complesso più ampio e comprensivo di scoperte correlate. Un'affermazione di Joel H. Hildebrand (1965, p. 41) illumina bene questo punto: "Stiamo costruendo dei frammenti di informazione all'interno di strutture di grande bellezza, confrontabili in quanto risultati della mente e dello spirito umano alle piú grandi opere dell'arte e della letteratura". E' da sottolineare che in queste frasi ciò che viene confrontato sono la scienza come attività collettiva e le opere d'arte come attività individuale. Il carattere collettivo della scienza è implicito anche nella testimonianza di C.P. Snow (1971, p. 97) secondo cui Dirac sentiva che "c'era una ricompensa suprema per il suo lavoro scientifico, il senso di prendere parte alla costruzione di un edificio".

Poiché non sono proposizionali, le opere d'arte non costituiscono un ordine logico e sistematico. Un'opera tarda di Manet non può essere certo inferita da un'opera precedente e ancora meno da opere di Courbet o Delacroix; anche presa nel suo insieme l'opera di Manet non implica altre opere d'arte al modo in cui la teoria dell'evoluzione implica ipotesi riguardanti la trasmissione dei caratteri ereditari. Forse ciò è dovuto al fatto che le opere d'arte sono correlate l'una all'altra in modi piú informali, poiché gli artisti raramente pensano la loro arte come collettiva e comune. In via primaria certamente Picasso non guardava a Les demoiselles d'Avignon come a un contributo all'edificio della pittura contemporanea - anche se senza ombra di dubbio questo dipinto la condizionò profondamente.

7- Lasciando da parte il nostro interesse verso la natura e la genesi delle teorie scientifiche e delle opere d'arte, consideriamo adesso il modo in cui la nostra comprensione di esse cambia nel tempo.

Quando una grande teoria scientifica viene formulata per la prima volta, essa sembra strana, anomala e desta perplessità. Essa infatti ci domanda di "vedere" il mondo in una maniera radicalmente nuova. Se la teoria viene accettata e confermata diventa gradualmente parte del modo consueto della cultura di comprendere e spiegare il mondo. Avvenendo ciò, quello che prima sembrava anomalo e incerto diventa evidentemente ordinario e viene considerato una certezza [...].

Anche le grandi opere d'arte spesso, inizialmente, sembrano strane e destano perplessità. Comunque, sebbene formino in parte un paradigma stilistico e si basino su di esso, non vengono mai completamente assorbite da esso. L'"idea" del sonetto, del leitmotif o del pointillisme perderà la sua stranezza originale, proprio come un principio scientifico, al momento in cui diverrà parte di una pratica comune; ma il sonetto di Keats When I have fears the I may cease to be, il Tristano e Isotta di Wagner e la Grande Jatte di Seurat non lo faranno, perché in ciascuno di questi casi i principi generali impiegati vengono realizzati come modello specifico ed unico che conserva sempre molto della sua "stranezza" originaria.

Per esprimere questo contrasto in maniera concisa, si può affermare che una teoria scientifica di successo tende a diventare a tal punto parte della nostra maniera ordinaria di percepire le relazioni nel mondo da perdere la sua aura di stranezza e di novità. Il successo di un'opera d'arte, invece, sta nella sua abilità, nonostante incontri ripetuti, di rimanere fresca, indimenticabile e misteriosa. Un brillante studente universitario può comprendere i concetti che Newton, per esempio, ha formulato - frutto di molto studio - in maniera molto semplice, perché le proposizioni generali possono venire assorbite nel pensiero di ogni giorno; mentre le grandi opere d'arte - l'Amleto, Les demoiselles d'Avignon e il Quartetto d'archi in do diesis minore - continuano a suscitare la nostra meraviglia e il nostro stupore.

Le teorie scientifiche, come abbiamo visto, sono dei costruiti che formulano quelle relazioni tra i fenomeni, che sono regolari e invariabili. I fenomeni - il movimento dei pianeti, la struttura molecolare, i movimenti dell'economia - non derivano da - e quindi non possono riferirsi o essere a proposito di - qualcosa d'altro. Inoltre essi non sono né rivelezioni né proposizioni: essi esistono. Le teorie, direttamente o indirettamente, derivano da queste realtà esistenti e si riferiscono ad esse. Poiché sono collegate tra loro in questa maniera, è normale e ragionevole asserire che le teorie vengono formulate "a proposito" dei fenomeni: per esempio la teoria proposta da Watson e Crick è a proposito del DNA; la legge della domanda e dell'offerta è a proposito dell'andamento dei prezzi in certe condizioni economiche; negli studi umanistici un saggio teorico o critico può essere a proposito della forma-sonata o della Sonata al chiaro di Luna. Ma l'opera Al chiaro di Luna può essere considerata a proposito di un qualche fenomeno? Secondo la leggenda, quando a Beethoven si domandò il significato della sonata (a proposito di che cosa fosse) egli si recò al pianoforte e la suonò di nuovo. La sua risposta sembrò non soltanto appropriata ma convincente. Se invece supponiamo che un fisico, alla domanda "a proposito di cosa sia la legge della gravità", rispondesse lasciando cadere a terra un oggetto, sicuramente verrebbe considerato slealmente spiritoso e la sua risposta sarebbe ritenuta impropria. La risposta di Beethoven è ragionevole, mentre quella del fisico non lo sarebbe, perché la sonata Al Chiaro di Luna non è a-proposito-del-mondo nel senso in cui lo è la legge di gravità. Non si riferisce a niente - neanche alle relazioni tonali e temporali da cui essa è formata. E' qualcosa: un'opera d'arte.

A questo punto si potrebbe sostenere che la musica è un caso particolare, perché non è di regola esplicitamente rappresentazionale - come invece sono in generale la letteratura e le arti plastiche. Ma questa convinzione, per quanto sia comune, è sbagliata. La relazione infatti tra u n'opera d'arte e ciò a cui si riferisce è sia sottile che complessa e qui la si può descrivere soltanto sommariamente. Ma pochi critici, seri, sarebbero, io penso, in disaccordo con la posizione di base qui sostenuta.

Molte opere d'arte si servono di fatti ed eventi trovati nel mondo - parole e gesti, linee e colori, forme e azioni. Ma questi vengono cosí trasformati, quando vengono ri-presentati dall'artista, che il modello risultante acquista un'integrità e un'autonomia tipiche dei fenomeni naturali. Anche quando il soggetto è un evento o personaggio storico, come nel Giulio Cesare o in Guerra e Pace, l'integrità del modello estetico è evidente. Mentre la nostra capacità di comprendere una commedia o un racconto dipende dalla nostra esperienza del mondo (incluse, specialmente, altre opere narrative) e dal nostro senso di ciò che è probabile e plausibile, noi non giudichiamo il Giulio Cesare certamente in base all'accuratezza e alla veridicità con cui i dialoghi, gli eventi e le azioni vengono riportati - come invece faremmo se avessimo di fronte un trattato storico. L'opera d'arte piuttosto è giudicata in termini di una propria coerenza e plausibilità interna. Come Barbara H. Smith osserva: "L'opera d'arte fornisce lo stimolo e l'occasione per un'esperienza cognitiva rara e gratificante, ma anche per un'esperienza fortemente fittizia; nel fruire un'opera d'arte, infatti, noi possiamo avere tutta la soddisfazione che accompagna la ricerca e l'acquisizione di conoscenza senza necessariamente aver acquisito alcuna conoscenza. O, piuttosto, ciò di cui noi acquisiamo conoscenza in un'opera d'arte è principalmente l'opera d'arte in se stessa, un microcosmo organizzato, designato ad essere conoscibile proprio in questo modo" (1970, p. 262).

Soprattutto, le opere d'arte non sono a proposito del mondo nel senso di proposizioni generali. L'Amleto, per quanto sia un'esemplificazione fittizia del comportamento di un principe colto in un particolare insieme di circostanze domestiche e politiche - circostanze che vengono comprese in parte perché sono di tipo ricorrente attraverso la nostra esperienza del mondo -, non è una teoria sul comportamento umano o sull'azione politica. Se fosse a proposito del mondo, nel senso in cui lo è la scienza, la tragedia dovrebbe essere considerata uno dei piú grandi fallimenti mai esistiti; le teorie sul mondo e le sue storie, infatti, sono giudicate secondo la loro precisione, chiarezza e validità empirica. Ma, come dimostra la mole di scritti critici, il "contenuto" proposizionale dell'Amleto è tutt'altro che esplicito e preciso. Come i fenomeni nel mondo, la tragedia può essere soggetto di ricerca teoretica e il pubblico come pure la critica può fare differenze a proposito del significato proposizionale. Ma, in quanto opera d'arte, non è una spiegazione proposizionale, bensí un'esemplificazione presentazionale.

Le opere d'arte non sono neanche "a proposito" delle emozioni, anche se la loro abile rappresentazione ed esemplificazione può essere provocante e illuminante. E, cosa ancora piú importante, le opere d'arte possono evocare e formare un'esperienza affettiva, proprio come altri fenomeni: tramonti, giochi sportivi, riunioni politiche ecc. E' comunque la psicologia, non l'arte, che formula teorie sulle emozioni. Il critico-umanista - usando teorie psicologiche, o, poiché queste sono ancora rudimentali, servendosi del senso comune - può cercare di spiegare la nostra risposta a una particolare opera d'arte. Ma l'opera d'arte non è a proposito di tale esperienza, piú di quanto non lo sia un magnifico tramonto, un'eccitante partita di calcio o un'importante convegno politico. Gli scienziati hanno spesso notato la presenza di una marcata componente affettiva nella scoperta scientifica; ma pochi, si sospetta, asserirebbero che l'atto della scoperta sia a proposito della loro esperienza emotiva.

Il terzo termine nella complicata triade di Stent - cioè la "verità" - è piú problematico. La convalida delle teorie non solo è provvisoria, ma dipende da considerazioni come la forza esplicativa e la semplicità di un'ipotesi in relazione alle varie alternative, e da come essa si adatta sia ad altre teorie sia ai dati empirici. Anche una controprova non è sempre un fattore decisivo. Le formulazioni teoriche possono andare ben al di là dei fatti a disposizione, e le discrepanze verificate sono spesso tenute in poco conto nell'interesse del potere esplicativo e dell'eleganza della teoria. Queste complessità, insieme alle vicessitudini storiche di concezioni un tempo ben radicate, hanno reso gli studiosi riluttanti ad asserire la "verità" delle teorie [.]. Mi sembra, comunque, che alcune teorie siano cosí sicuramente supportate dal peso dell'evidenza e da un cosí ampio campo di ipotesi che la loro verità non può essere negata. Anche considerare tali teorie come provvisorie sarebbe cavilloso - come sostenere che l'asserzione "tutti gli uomini sono mortali" è soltanto possibile, perché non è completamente provata.

La validità delle teorie scientifiche può, dopotutto, essere collaudata empiricamente. Come John C. Eccles ha sottolineato, sebbene l'intuizione fornita da una nuova ipotesi possa avere "un richiamo estetico immediato per la sua semplicità e per lo scopo, deve comunque essere soggetta a una critica rigorosa e a un rigoroso controllo sperimentale. La scoperta ha avuto spesso l'immediatezza di un flash, come è avvenuto per Kekulé e l'anello del benzene, per Darwin e la teoria dell'evoluzione, per Hamilton e le sue equazioni. Ma tale immediatezza non è una garanzia della validità di una ipotesi. Ho ricevuto solo una di queste illuminazioni improvvise - l'ipotesi della cosiddetta cellula-Golgi dell'inibizione cerebale - e qualche anno piú tardi si rivelò falsa" (Eccles 1958, p. 144).

Le teorie scientifiche possono essere provate nella loro falsità, perché sono delle proposizioni generali sulle relazioni tra i fenomeni esistenti. Una teoria che collega i colori di un tramonto alla rifrazione della luce, una teoria che mette in relazione il prezzo della merce in un mercato con la legge della domanda e dell'offerta, possono, in linea di principio, essere dimostrate empiricamente. L'asserire però che un tramonto particolare è vero (o falso) è qualcosa assolutamente senza senso. (E' possibile, naturalmente, sottolineare la qualità di un tramonto, notare la sua speciale vividezza o colore, e si può proporre una teoria che correli le nostre risposte estetico-emotive a tali qualità). Per il tramonto e i cambiamenti nel prezzo, essendo fenomeni particolari nel mondo, non proposizioni a proposito del mondo, i termini "vero" e "falso" sono irrilevanti e non intelligibili.

E' ciò che avviene anche con le opere d'arte; non possiamo, salvo che in senso metaforico, asserire che esse siano "vere". Che cosa potrebbe, infatti, significare confermare o negare l'Amleto o Les Demoiselles d'Avignon o il Quartetto in do diesis minore? Quale tipo di dati e di esperimenti si possono immaginare tali da poter confermare la loro validità? La risposta è: nessuno; infatti ciò che può essere verificato sono le teorie generali sul mondo, non i suoi modelli fenomenici e neanche le sue particolari manifestazioni. "Test" semplicistici, come quelli relativi all'accuratezza della rappresentazione, danno risultati ovviamente ridicoli. Si può affermare che una novella "realistica", come Grapes of Wrath di Steimbeck, sia piú vera dei Viaggi di Gulliver o del Faust di Goethe? Si può dire che un quadro di K. Kent sia vero e uno di Bosch o di Picasso falso? (E' comunque del tutto pertinente asserire che un'opera d'arte sia piú interessante, elegante, piacevole e commovente di un'altra, proprio come facciamo con altri fenomeni presentazionali - tramonti, giochi sportivi o riunioni politiche).

Anche la storia indica che le nozioni di verità e falsità non sono applicabili alle opere d'arte. Se le opere d'arte, infatti, fossero delle verità proposizionali sul mondo, allora la loro storia, come quella delle teorie scientifiche, sarebbe stata quella di una reciproca sostituzione. Le opere d'arte piú recenti, cioè, sarebbero risultate piú convincenti di quelle passate e le avrebbero sostituite. Questo chiaramente non è avvenuto. Sarebbe assurdo affermare che c'è un'evoluzione verso una verità piú grande, quando noi passiamo dalle opere di Sofocle a quelle di Shakespeare o di Pinter, da Josquin a Mozart e a Bartok o da Donatello a Rodin.

Le grandi opere d'arte richiedono - e con forza - il nostro assenso. Queste grandi opre d'arte, come delle teorie già convalidate ed accettate, sono autodimostrative e incontrovertibili, significative e necessarie, infallibili e illuminanti. Senza subbio c'è un'aura di "verità" intorno a loro. Comunque, esse ci persuadono e ci convincono, non tanto perché siano convalidate proposizioni generali sul mondo fenomenico, ma perché i modelli e le relazioni che presentano posseggono un'integrità e una coerenza autonoma interna. Con ciò non si nega che l'arte rappresentazionale, specialmente la letteratura, debba essere credibile nel senso di conformarsi (entro limiti ampi e indefiniti) alla nostra esperienza di quanto è possibile nel mondo e nell'umano comportamento [...]. Tuttavia, anche in questa apparente similarità, l'arte e la scienza sono in contrasto l'una con l'altra. Le teorie scientifiche, infatti, sono proposizioni generali la cui verità viene verificata rispetto a dei fenomeni specifici, mentre le opere d'arte sono fenomeni specifici la cui credibilità viene corroborata dall'esperienza generale.

Se teniamo ferma l'idea che le opere d'arte non sono confrontabili alle teorie a proposito dei fenomeni, ma ai fenomeni stessi, allora possono chiarirsi altre relazioni tra l'arte e la verità. Le opere d'arte, come i fenomeni naturali, possono essere le occasioni per lo sviluppo di teorie generali. Tali teorie, come quelle delle scienze, possono essere formulate esplicitamente: per esempio, nella filosofia e nella psicologia, nella sociologia e nella teoria musicale. La validità di tali teorie può, almeno in linea di principio, essere verificata. Spesso, inoltre, i componenti del pubblico formulano delle ipotesi di tipo informale, il cui risultato sembra essere una verità assoluta. Si deve sottolineare che l'artista presenta delle relazioni da cui si possono inferire delle proposizioni generali: non presenta le teorie in se stesse, come fanno gli scienziati. Siccome la condizione umana è in maniera pregnante e precisa esemplificata nelle opere d'arte, le relazioni fittizie portano spesso a tali inferenze.

Inoltre, situazioni pregnanti come quelle rappresentate nel Re Lear, nel Volpone e personaggi memorabili come Coriolano o M. Jourdain non soltanto incoraggiano tali inferenze, ma cambiano significativamente le maniere in cui comprendiamo e concettualizziamo l'esistenza umana. Da questo punto di vista, le opere d'arte sono collegate alla verità non in una maniera semplicemente "passiva" - nel senso che sono congruenti alla nostra esperienza generale del mondo - ma in una maniera "attiva" perché, come altri fenomeni nel mondo, influiscono profondamente sulla nostra percezione, comprensione e esperienza dell'esistenza. In tal senso, allora, l'arte è profondamente e veramente rapportabile alla scienza. Proprio come la nostra esperienza di un'alba, infatti, è influenzata radicalmente dalla nostra conoscenza della teoria eliocentrica, la nostra percezione del mare è modificata dalla nostra familiarità con la pittura di Turner, e la nostra comprensione del comportamento umano è modificata da una tragedia di Shakespeare.

Le teorie scientifiche, una volta formulate, diventano "fenomeni" culturali. In quanto tali possono essere l'oggetto di ulteriori ricerche in altri campi della cultura - per esempio nella filosofia e nella storia. Come altri fenomeni, come i tramonti, il gioco degli scacchi, le opere d'arte, le teorie possono essere l'occasione di piacere estetico. C.P. Snow, esprimendo sentimenti simili a quelli di Hildebrand (sopra citato), osserva che "l'edificio scientifico del mondo fisico è nella sua profondità intellettiva, nella sua complessità e articolazione, il piú bello e meraviglioso lavoro collettivo da parte della mente umana". La presenza di tale piacere estetico può essere una delle ragioni, per cui l'analogia che sto cercando di confutare è cosí diffusa e sembra cosí plausibile.

La diffusione e la plausibilità non possono compensare la mancanza di consistenza e precisione. Se le relazioni tra le discipline e i campi della ricerca devono essere poste in maniera comprensibile, coerente e utile, allora le teorie scientifiche devono essere paragonate non tanto a modelli presentazionali, ma ad altre teorie - in particolare a quelle create dagli umanisti per spiegare le opere d'arte.

(traduzione dall'inglese di Claudia di Prisco)

Opere citate

Bernstein, Jeremy, 1973, Profiles - Albert Einstein - I. in "New Yorker" (March 10): 44-108.

Bronowski, j. 1958, The creative Process in "Scientific American", 199, n. 3 (September): 58-65.

Cooper, Martin, 1970, Beethoven: The Last Decade, 1817-1827, London.

Crane, R. S. 1967, Principles of Literary History, Chicago.

Dyson, Freeman j. 1958, Innovation-in Physics, "Scientific American" 199, n. 3 (September): 74-82.

Eccles, john C. 1958, The PhYsiology of Imagination, "Scientific American" 199, n. 3 (September); 135-146.

Feinberg, Gerald, 1967, Ordinary Matter, "Scientific American" 216, n. 5 (May):126-34.

Hildebrand, Joel H. 1965, Order from Chaos, "Science" 150, n. 3695 (October 22): 44-150.

Kuhn, Thomas, 1962, The structure of Scientific Revolutions, Chicago.

Pierce, John R. 1958. Innovation in Technology, "Scientific American" 199, n. 3 (Septembe) 116-30

Rosenberg, Harold, 1959, The tradition of the New, New YorK.

Smith, Barbara H. 1970, Literature, as Performance,Fiction,and Art., <<Journal of Philosophy>> 67, n.16 (August 20):553-62.

Snow, C.P. 1971, Public Affairs. New York.

Stent, Gunther S. 1972, Prematurity and Uniqueness in scientific Discovery,<<Scientific American>>227, n.6 (December):84-93

 

Logo Parol
© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia
Per qualsiasi utilizzo delle risorse presenti sul sito contattare la redazione
Site designed and managed by Daniele Dore