events
themes
call for papers
ideology busters
links
staff

Home

L'immagine surrealista e il cinema
a cura di Renzo Principe

Il cinema "critico-espressivo" e l'immagine surreale *

Il rapporto tra cinema e surrealismo richiederebbe una analisi strutturale dettagliata dei film che sono classificati sotto il titolo di cinema surrealista [1] . Esso comprende un arco di tempo breve che va dal 1927 al 1932, anno in cui è stato prodotto Las Hurdes di Buñuel e Pierre Unik e che chiude il periodo storico del surrealismo cinematografico. Tuttavia, mi sono limitato a riportare solo ciò che era indispensabile per capire quali elementi teorici uniscono il cinema alla "poetica surrealista". Per un ulteriore approfondimento rinvio alla bibliografia dell'analisi strutturale di questi film che è sconfinata come lo è del resto quella sul surrealismo in generale.

Certo, non tutto il cinema lascia trasparire le potenzialità dell'immagine dialettica. I film che si possono dire propriamente surrealisti, nel senso che mostrano l'essenzialità dell'immagine come luogo del surreale, si contano sulle dita di una mano. A tale proposito prenderemo in considerazione dei testi che giungono a conclusioni antitetiche rispetto al senso e al valore del cinema surrealista. Secondo Ado Kyrou [2] , tutto il cinema è essenzialmente surreale, poiché nel suo approccio al mondo, si costituisce come produzione di immagini (elaborazione di sentimenti e di passioni) che liberano, come nella scrittura automatica e in un costante flusso metamorfico, il mondo della surrealtà. Per Alain e Odette Virmaux [3] , al contrario, il cinema surrealista si esprime più negli articoli e nei testi "teorici", che nella produzione cinematografica. Secondo quest'ultima interpretazione, ad eccezione di pochissime esperienze, non esisterebbe un cinema propriamente surrealista. Date queste due diverse interpretazioni e ammesso che non si possa parlare di un vero e proprio cinema surrealista, diventa perlomeno indispensabile mostrare in che senso il cinema possa essere inteso come espressione della surrealtà. La surrealtà - scrive Breton - può ben essere paragonata a un paradiso artificiale che non ha nulla da invidiare alle visioni indotte dalla droga o alle sensazioni prodotte dal mondo della virtualità. Il corpo "tecnologico", ad esempio, scopre nuove dimensioni, si tecnicizza nel vero senso della parola. Non solo si muove all'interno di un habitat del tutto tecnologizzato, ma si trasforma ed interagisce con mezzi che gli consentono un diverso rapporto con le cose e con la percezione in generale. Due sono i possibili esiti del rapporto tra immagine, corporeità e virtualità. Il primo focalizza questo rapporto come perdita e mancanza del punto di riferimento tradizionale della percezione, vale a dire, come alienazione dell'ambito naturale e del mondo fisico; il secondo, al contrario, mostra come la percezione legata al mondo artificiale e virtuale possa aprire orizzonti del tutto nuovi e sconosciuti proprio all'ambito della stessa percezione naturale. A mio parere, è in questo secondo esito che bisogna ricondurre la funzione della visione cinematografica [4] . In essa l'ebbrezza prodotta dall'immagine è insieme qualcosa di artificiale e di naturale, è luogo di confine tra lo stato di veglia e lo stato onirico. Cinema dunque come mezzo che agisce sull'intero sistema percettivo, medium tra corporeità ed immagine. Non solo il cinema è la prima forma d'arte interamente tecnologica che si apre sul mondo dell'interiorità e dell'inconscio, ma i diversi processi di elaborazione dell'immagine filmica sono il riflesso della vita moderna, scissa e sclerotizzata. L'immagine cinematografica, essendo il prodotto di un insieme di scelte e di tecniche combinate, mostra, più di qualsiasi altra forma tradizionale di espressione visiva, il carattere essenziale della modernità: il suo essere una realtà incrinata, rotta al proprio interno e visibile solo come insieme di parti disarmoniche e irrelate. Il cinema diviene così lo specchio che mostra il carattere della modernità e, nello stesso tempo, può essere la via per una sua possibile riflessione critica [5] . A tale proposito, il surrealismo cinematografico è un occhio "artificiale", uno sguardo sul mondo che, sotto certi aspetti, è più reale della realtà, poiché fissa il surreale come percezione interiore dell'uomo, in cui onirismo della realtà e realtà del sogno si corrispondono. Lo "schermo" surrealista diviene così uno spazio virtuale in cui immaginazione e realtà perdono i propri confini e si scambiano di ruolo, per accedere al meraviglioso onirico, ambito vitale della nostra conoscenza, che ancora oggi non riusciamo a riconoscere come essenziale per la stessa sopravvivenza umana. Tuttavia è bene precisare che il ribaltamento del senso comune, vale a dire, lo scambio surrealista tra sogno e realtà, non ha niente a che vedere con certe pratiche del montaggio, come ad esempio il découpage classico, che mira fondamentalmente a uno spettatore passivo:

Ciò a cui in primo luogo questo cinema mirava era il dar vita a quello che possiamo definire uno spettatore inconsapevole, che scivolasse docilmente nel mondo della finzione, si proiettasse nella vicenda narrata, si identificasse con i protagonisti del racconto, dimenticandosi di essere al cinema e di assistere ad uno spettacolo, finendo col confondere la realtà rappresentata sullo schermo per la realtà tout court [6] .

L'esigenza di rappresentare la realtà nel modo più realistico possibile, porta all'utilizzo del montaggio, ma ad un montaggio che non sia visibile, ad un montaggio che definisca il cinema "come cinema della trasparenza o montaggio invisibile", tecnica discreta, che sia il più possibile mascherata. A questa forma classica della narrazione filmica si oppongono altre forme linguistiche di montaggio (connotativo, formale discontinuo), ma in sostanza queste distinzioni sono puramente teoriche, poiché in un medesimo film possiamo ritrovarle tutte insieme. Il problema è quello di vedere quale tra queste forme o artifici compositivi assume il ruolo dominante. Due sono gli aspetti fondamentali da tenere sempre presente: il primo è che non c'è film senza montaggio, nel senso che una serie di inquadrature senza montaggio, costituisce tutt'al più un "teatro" in movimento; il secondo è che solo il montaggio discontinuo crea un nuovo senso critico rispetto al découpage classico. Vi sono tre livelli di senso (significato) che si possono ricondurre alle diverse forme di montaggio. Il livello «informativo», che corrisponde più o meno al livello della narrazione e della storia. Il senso del film sarebbe dato dal materiale informativo, il suo significato è prevalentemente denotativo. Il secondo livello è quello «simbolico» o connotativo. In questo caso il senso non è ricavabile dal materiale informativo, ma sarebbe rintracciabile nel messaggio consapevole dell'autore. Anche qui, mettiamo il verbo essere al condizionale, poiché queste distinzioni sono puramente di analisi strutturale. Infine c'è un terzo livello, quello del significato "eccedente", del "senso "ottuso" [7] , che si pone al di là della storia e al di là di ogni intenzione «simbolica» di comunicare un significato. A mio parere questo è l'unico livello che possiamo trovare nella visione reale di un film.

Si sarebbe tentati di pensare che nel senso ottuso - a differenza dei primi due livelli di significato - emerga qualcosa di non perfettamente posseduto né dalla coscienza dell'autore né da quella dello spettatore, [.] potremmo dire come un elemento del tutto irrazionale, alogico che emerge imprevedibilmente nel contesto della rappresentazione, quasi come un lapsus rivelatore o un sintomo [8] .

In realtà, scrive Pezzella, qui ci troviamo di fronte ad un livello molto profondo, legato intimamente al corporeo, al sentire fisiologico, alle emozioni e ai sentimenti che rinviano piuttosto a possibilità oscure o dimenticate della psiche, alle matrici mitiche e arcaiche di un gesto o di una fisionomia: ne costituiscono la fonte in parte ignota, «eccessiva» rispetto allo spirito desto. L'immagine così attinge a una profondità fisiologica ed emozionale, che si sovrappone - come un'ombra - al valore informativo e alla costruzione consapevole del montaggio. Questo elemento non intenzionale (o più che intenzionale) non significa spalancare il vuoto sotto i significati più immediatamente riconoscibili: esso appartiene a ciò che, con una espressione di Benjamin, abbiamo chiamato il contenuto di verità del film, distinto dal suo contenuto reale [9] .

Al livello "simbolico fisiologico", il significato e il senso della visione filmica si gioca interamente nel rapporto dialettico tra l'idea "consapevole" del montaggio e "l'espressione non intenzionale del gesto o della fisionomia". Il senso non può qui scaturire dalla giustapposizione di immagini che, in un qualche modo, sono legati da un'idea di spazialità e di temporalità cronologica della storia narrata. Il senso che qui Pezzella definisce come terza dimensione, come profondità, è inscritto in un tempo e in uno spazio discontinuo.

A questo punto possiamo capire in che senso Pezzella usi il termine di spettatore critico: le immagini non significano più secondo una disposizione spaziale lineare, ma secondo una disposizione temporale discontinua, in cui ogni immagine genera il senso in un sistema aperto di valori simbolici.

L'immagine in cui si rivela il «terzo senso» non appartiene per intero all'irrazionale, al mito o a una corporeità inarticolata; e neppure alla razionalità intenzionale e costruttiva del montaggio. Essa è sulla soglia che media e definisce la dialettica dei due momenti, permette all'alogico di affacciarsi alla soglia del visibile e alla forma di sporgersi sull'ignoto, oltre i propri limiti. In questo senso è una figura simbolica ed è l'attimo culminante della rappresentazione [10] .

A mio avviso, si può ricondurre parte dell'immaginazione surrealista a questo atteggiamento critico-espressivo, poiché essa si fonda principalmente sul corpo e sulla corporeità, sul sentire e sul percepire interiore. Inoltre, il surreale non è mai l'espressione di una irrazionalità pura. Il senso del surrealismo classico che qui abbiamo cercato di mettere in luce è quello della medietà, della ricerca dialettica tra razionale e irrazionale. Per questo motivo il sogno, punto di forza della immaginazione surrealista, non può mai essere l'espressione dell'irrazionale puro.

Le concezioni surrealiste sul cinema, sono sostanzialmente fondate sull'idea che «[.] il cinema avesse in sé la potenzialità di ricreare la dimensione meravigliosa del sogno, di ridurre tutta la vicenda umana ai grandi movimenti della passione, segnando profondamente la coscienza dello spettatore, di diventare creatore di energia, trascinando la folla all'azione, alla rivolta, in nome dei grandi ideali» [11] . Inoltre, al sogno si possono collegare gran parte degli stati psicofisiologici, in cui la coscienza allenta la propria presa sul mondo. Nel sogno, la percezione è quasi interamente automatica e libera le energie che, nello stato di veglia, hanno una funzione di controllo. La condizione onirica si presenta così costituita da una doppia valenza. Da un lato, essa rimanda al sogno come condizione irrazionale, come fuga dalla realtà; dall'altro, può aprire uno spazio di riflessione critica, uno spazio ermeneutico, come ci mostra anche la psicanalisi. Tutta la sostanza che il film elabora e manipola altro non è che un luogo immaginario, un sogno. La piena identificazione tra sogno e immagine filmica, teorizzata dai surrealisti, pone delle problematiche che debbono essere esplicitate e chiarite. Può il cinema, attraverso l'artificialità dei suoi mezzi, elaborare un universo totalmente fittizio e, nello stesso tempo, dire qualcosa di vero sulla nostra reale percezione del mondo? Data questa co-implicazione tra immagine filmica e virtualità, che caratterizza già di per sé il cinema in generale, ci domandiamo se il cinema surrealista debba essere considerato una fuga nell'irreale, oppure una possibile elaborazione critica della realtà. La realizzazione di Buñuel e Dalì, Un chien andalou (1929), è una ricerca sulle possibilità e potenzialità dell'immagine filmica, o una invenzione geniale che risponde alla pura spontaneità?

Questo film - scrive Buñuel - nacque dall'incontro tra due sogni. Appena giunto a Figueras, da Dalì, invitato a passarci qualche giorno, gli raccontai che avevo sognato da poco una nuvola lunga e sottile che tagliava la luna e una lama di rasoio che spaccava un occhio. Lui mi raccontò che la notte prima aveva visto in sogno una mano piena di formiche. Aggiunse: «E se dai due sogni ricavassimo un film?». Proposta che inizialmente mi lasciò perplesso, ma ben presto ci mettemmo al lavoro, a Figueras [12] .

Non si può dare una risposta a questi quesiti in modo netto e preciso, poiché il surrealismo non è una semplice visione del mondo, ma un atteggiamento psicofisico assai articolato, che si è espresso, nel movimento surrealista, attraverso una molteplicità di idee. A mio parere, se si prende il surrealismo di Breton, quello più "razionale", quello che più di ogni altro interpreta la surrealtà come un fatto dialettico, allora anche l'immagine surrealista cinematografica è una immagine che vuole essere critica. D'altro lato, se si considera il surrealismo nelle sue forme "deviate", se si porta l'immagine onirica alle conseguenze più estreme, come ha fatto Dalì, trasformando il surrealismo in un iper-irrazionalismo, allora diviene difficile pensare che il cinema surrealista non sia una forma di espressione irrazionale. Sembra che la cultura surrealista sia in declino. Purtroppo l'eredità del surrealismo che oggi sopravvive è quella che si richiama al surrealismo di Dalì. Ma se il surrealismo nasce come una interpretazione originale del materialismo dialettico, contro ciò che appare ma che in realtà è privo di sostanza e corporeità, allora è vero che una certa linea del surrealismo è stata strumentalizzata e stravolta. Un esempio concreto ci viene dato dalla pubblicità. L'immagine pubblicitaria, che si costituisce sull'immediatezza del mezzo televisivo, è sostanzialmente un immagine surreale, ma di un surrealismo che fa leva su un irrazionalismo esasperato e svuotato da qualsiasi contenuto concreto. Questo tipo di immagine sostituisce il fantastico e il meraviglioso, con il fantasmagorico e lo spettacolare. Questo scambio, non è altro che una valvola di scarico per contenere il vuoto che ormai caratterizza tutte le forme di comunicazione e di percezione della realtà. La fantasmagoria e la spettacolarità, come sogno, sono una fuga nell'irrazionale e una deviazione del senso.

Già i dadaisti e i surrealisti avevano concepito un'arte fondata sul frammento, lo choc, la sorpresa: il cinema porta a compimento le loro intuizioni. Se le inquadrature colpiscono lo spettatore con la stessa rapidità di uno schoc, ciò ha conseguenze rilevanti sulla struttura psichica. Ogni sguardo gettato sullo schermo diviene simile a un microtrauma veramente efficace - come ha mostrato Freud - elude la forza assimilatrice della coscienza e si deposita nella latenza dell'inconscio. Se l'intera esperienza della visione assume sempre più un simile carattere traumatico, la coscienza occuperà in essa un posto trascurabile. Il mondo intero, visto e rappresentato in tal modo, viene ad assumere il carattere enigmatico e sfuggente dell'allucinazione e del sogno. L'io viene ridotto in stato di impotenza, e ciò permette che i singoli elementi della percezione vengano ad aggregarsi e comporsi con modalità simili a quelle oniriche: [.] il cinema è l'espressione più adeguata del «sogno collettivo», dei «fantasmi sadici e delle immagini deliranti» della modernità; e la sua stessa tecnica espone e incrementa la metamorfosi del mondo dell'esperienza in un seguito di scene oniriche [13] .

Bisogna leggere con una certa attenzione questo passo di Pezzella, poiché, oltre a citare esplicitamente i surrealisti, lascia in sospeso tra le righe la questione del rapporto tra sogno e immagine filmica.

Il carattere onirico della visione filmica, è solo un primo aspetto del linguaggio cinematografico e della sua portata rivoluzionaria. Infatti, secondo l'analisi di Pezzella, quando un film si può definire critico-espressivo, riconosciamo in esso un "punto di vista opposto" a quello del semplice immergersi in un mondo spettacolare di sogno. In questo caso il carattere spettacolare del sogno continua ad essere la materia prima del film, la sua base e lo sfondo, ma il lavoro del montaggio, la qualità stessa dell'immagine, inducono nello spettatore una capacità critica di riflessione. Il carattere onirico dell'immagine cinematografica ci permette così di considerare il nesso tra lo spettatore e il visibile, come un vero e proprio rapporto dialettico al confine tra sogno e realtà. Questo nesso, nel cinema critico-espressivo, è suscettibile di porsi al livello del subconscio, di produrre sintesi simboliche complesse, che sono superiori rispetto a quelle prodotte dalla coscienza.

Nel cinema, la caducità della visione è compensata dallo sviluppo di una nuova facoltà di attenzione, di una maggiore «presenza di spirito». Se il cinema spettacolare perfezionerà soprattutto l'incanto fascinatorio della rappresentazione, il film critico-espressivo cercherà di elaborare le immagini di sogno, che costituiscono una sorta di prima materia del linguaggio cinematografico. Esso cercherà di sviluppare una forma riflessa e superiore di consapevolezza, che sappia integrarle alla psiche desta. Il film critico è teso - in una eliminabile polarità - tra il sogno delle immagini e il risveglio da esse. A questa polarità della rappresentazione corrisponde - dalla parte dello spettatore - quella tra «distrazione» e «presenza di spirito» [14] .

Nel cinema, ciò che caratterizza la materia prima del film, come materiale onirico, non è il senso di irrealtà; al contrario, ciò che è vissuto nella vita reale come qualcosa di irreale, nel cinema si trasforma in qualcosa di concreto: è lì, lo si può vedere ed è "tangibile". Questo calarsi nella sala cinematografica come in un sogno, questo credere "alla realtà materiale dell'immaginazione" è forse l'aspetto più rilevante e specifico della visione filmica, che si può ricondurre alla immaginazione surrealista: «Qui non si tratta più di logica, di costruzione classica, né di lusinga per la pubblica incomprensione, ma di cose viste, di un realismo superiore, poiché apre un mondo nuovo alla poesia e alla immaginazione» [15] . Presenza e assenza, entrano in uno spazio immaginativo o in uno schermo cinematografico, in cui finzione, sogno, realtà e immaginazione coesistono e si scambiano possibilità e potenzialità, che altrimenti andrebbero perdute. Non bisogna credere che questo spazio sia qualcosa di meramente fantasmagorico e spettacolare. La sala di proiezione diviene così un laboratorio di immagini, nel quale si costituiscono sogni reali, dove la realtà viene filtrata alla luce del meraviglioso onirico. Ciò che è magico nel film, e fa di esso una materia di sogno, è l'uso della spazialità e della temporalità. Il mezzo cinematografico è essenzialmente fondato sulla capacità di trasformare, di elaborare e manipolare (dilatare o restringere) il tempo e lo spazio. Il cinema permette di cogliere la coesistenza di momenti spaziali e temporali molto distanti tra loro e mostrare quanto sia illusoria una rappresentazione del tempo e dello spazio intesi come pure presenze. Al cinema, la simultaneità e l'ubiquità sono cose reali, non effetti di finzione; proprio come in un sogno, morire e tornare a vivere è un fatto possibile. Oltre a questo aspetto che mette a fuoco la materia prima del linguaggio cinematografico, come immagine di sogno, Pezzella, pone il problema della ricezione del film. Nella sua terminologia, distrazione e presenza di spirito sono due atteggiamenti estetici che coesistono nello spettatore. La ricezione non è mai interamente critica o interamente passiva, poiché il sogno come spettacolo e il sogno come interpretazione, nel film, coesistono sempre. Vista dal punto di vista della distrazione, la ricezione dell'immagine filmica non è altro che una esperienza impoverita: il rapido scorrere delle immagini nella visione cinematografica determina una partecipazione distaccata in cui gli oggetti della visione sfuggono alla percezione stessa. In tale senso il cinema mette in luce l'esperienza della modernità, caratterizzata dalla rapidità percettiva dello choc, dalla frammentarietà e parzialità del reale. Ciò che il cinema mette in evidenza, per sua stessa natura, è che l'esperienza percettiva dell'uomo moderno si presenta come un vero e proprio simulacro, rispetto al sentire e percepire vero, in cui l'esperienza cosciente è posta in comunicazione con quella inconscia. Il simulacro appare come un ammasso di schegge percettive che si fissano al livello superficiale della coscienza, senza pervenire ad una elaborazione critica profonda, ad uno scambio tra conscio e inconscio.

Il cinema rende abituale l'essere per la morte di ogni oggetto della percezione, e in tal modo rende esplicito un carattere essenziale della modernità. Perché labilità, incessante novità, ricezione distratta colpiscono anche ogni oggetto che si rivesta della forma di merce, il cui pieno dominio - come è noto - si afferma nella stessa epoca che assiste alla nascita del cinema: «Le esposizioni mondiali trasfigurano il valore di scambio delle merci [.] Creano una fantasmagoria in cui l'uomo entra per lasciarsi distrarre» [16] .

Proprio come l'immagine dialettica benjaminiana, l'immagine critica racchiude in sé la possibilità di mutare l'esperienza visiva del simulacro in una esperienza aperta e positiva: il cinema si apre all'atteggiamento estetico caratterizzato dalla presenza di spirito. «La presenza di spirito - scrive Pezzella - spezza la continuità priva di senso in cui i frammenti si sovrappongono, senza un nesso apparente, isola un particolare, lo sbalza in primo piano, lo considera micrologicamente, lo tiene fermo - per così dire - tra le pinze dell'attenzione» [17] .

Il cinema ha un immenso potere, cioè quello di metterci dinanzi alle cose in modo nuovo e mostrarci come la nostra percezione, quella naturale, non sia la sola possibile, ma possa essere meglio compresa se affiancata da strumenti che si aprono alla virtualità e alla percezione artificiale. A tale proposito, non bisogna dimenticare che all'origine, prima di essere al servizio dell'arte o sottomesso alla potenza dell'immaginazione, il cinema è nato come apparecchio tecnico per comprendere il movimento umano, non come una sintesi di movimento applicata all'immagine fotografica. Bisogna riconoscere che la macchina da presa ha una sua visione del mondo, ha una potenzialità di penetrazione visiva e produzione del senso, che può aiutarci a comprendere meglio la nostra percezione del mondo. Infatti, come scrive W.Benjamin :

Si capisce così come la natura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all'occhio. Diversa specialmente per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell'uomo interviene uno spazio elaborato inconsciamente. Se di solito ci si rende conto, sia pure approssimativamente, dell'andatura della gente,certamente non si sa nulla del suo comportamento nel frammento di secondo in cui affretta il passo. Se siamo più o meno abituati al gesto di afferrare l'accendisigari o il cucchiaio, non sappiamo pressoché nulla di ciò che effettivamente avviene tra la mano e il metallo, per non dire il modo in cui ciò varia in relazione agli stati d'animo in cui noi ci troviamo. Qui interviene la cinepresa coi suoi mezzi ausiliari, col suo scendere e salire, col suo interrompere e isolare, col suo ampliare e contrarre il processo, col suo ingrandire e ridurre. Dell'inconscio ottico sappiamo qualche cosa soltanto grazie ad essa, come dell'inconscio istintivo grazie alla psicanalisi [18] .

La presenza di spirito di cui parla Pezzella può essere paragonata all'atteggiamento surrealista, che fin dalle sue origini si presenta come un nuovo modo di sentire e di percepire.Non è un caso che la pratica surrealista di frequentazione delle sale cinematografiche, così come ci viene testimoniato dallo stesso Breton, evochi in qualche modo il girovagare del flâneur o l'atteggiamento distaccato del dandy. Ma questo distacco non è una distrazione fantasmagorica nel senso benjaminiano, non è una ricerca della pura evasione. In questo senso, non bisogna confondere l'intuizione surrealista, che teorizza una piena identificazione tra cinema e sogno (vedi la posizione R. Desnos), con l'idea che il cinema debba essere una mera trasposizione d'immagini oniriche. I surrealisti, non sono sempre fedeli a questo principio, tuttavia si può dire che essi siano tra i primi a capire l'importanza del cinema, come mezzo che riproduce un'altra natura, come mezzo che affianca alla percezione del mondo abituale e natiurale una percezione surreale. Questo è un punto essenziale per chiarire come i surrealisti intendano usare le immagini nel cinema. Il sogno ha sempre una doppia valenza: un contenuto manifesto che può essere letto come storia e discorso, e un contenuto latente che deve essere interpretato. Se il fine del cinema spettacolare è quello di occultare la dinamica della simulazione, mediante l'affabulazione prodotta dal discorso visibile, mediante la trasposizione in immagini della storia del sogno (livello discorsivo e superficiale in cui lo spettatore è uno spettatore passivo, che si lascia affascinare dalla fantasmagoria dell'immagine), allora il fine del cinema critico-espressivo corrisponde alla possibilità di una apertura critica e di una interpretazione del sogno stesso. Il senso del cinema critico-espressivo è quello di mettere in luce il contenuto latente che emerge da un lavoro complesso e organizzato, da un'insieme di elaborazioni sulle immagini (montaggio ecc). Paradossalmente, più il cinema è realista o naturalista, più occulta il contenuto latente della realtà. La costruzione delle immagini, in questo caso è organizzata in funzione della spettacolarizzazione [19] , poiché è fabbricata in modo da mascherare il senso profondo e inconscio del reale. Viceversa, una specifica organizzazione delle immagini che non tenga conto dei legami razionali, che metta insieme immagini del tutto irrelate, ma unite da un discorso simbolico, aderisce di più al linguaggio dell'inconscio e del profondo. Tutto il problema sta nella capacità di rendere dinamica l'interazione tra immagine e spazio immaginativo, tra immagine e corpo reale. Lo spazio immaginativo che i surrealisti cercano nello schermo cinematografico non è mai il sogno puro, ma il rapporto tra sogno e realtà. In questo senso lo spazio immaginativo surrealista è sempre una interpretazione, una possibilità che si apre sul concreto come visione critica del reale. Considerare il sogno come essenziale al linguaggio cinematografico significa assegnare all'immagine filmica il carattere di immagine dialettica. Per i surrealisti, il cinema è il mezzo espressivo più idoneo a rappresentare la surrealtà. Tuttavia, sono pochi i film classificati come propriamente surreali. La ragione di ciò è dovuta al fatto che, tranne rari film che circolavano al di fuori del circuito commerciale, i surrealisti hanno sempre disprezzato il cinema, ormai divenuto un mezzo al servizio della borghesia. Essi si limitavano a frequentare le sale cinematografiche dei quartieri popolari; entravano e uscivano quasi subito; passavano da un cinema all'altro, senza aspettare che un film finisse o iniziasse, unendo così nella memoria un insieme di immagini del tutto disorganizzate, che non potevano portare a un discorso razionale. Questa messa in forma dell'immaginario irrazionale, questa tecnica molto simile all'hasard objectif o alla scrittura automatica trasposta nella visione filmica è ciò che sta alla base del concetto di cinema surreale. Se non possiamo propriamente parlare di cinema surrealista, possiamo invece dire che il surrealismo applicato al cinema, non è altro che un modo specifico di usare le immagini, un modo per farle collidere e portarle fino all'estremo più paradossale, al fine di far emergere il contenuto latente che si cela dietro a ogni discorso narrativo, dietro a ogni storia. Si potrebbe dire che qui siamo nel campo dell'archeologia dell'immaginazione, nel senso che si tratta di portare alla luce contenuti sommersi, legati a un senso più profondo di realtà, al senso della surrealtà. I contenuti simbolici che nascono dalla giustapposizione di immagini molto distanti tra loro, evocano il simbolismo stesso dell'inconscio. In questo senso il cinema surreale può essere in parte assimilato a ciò che Pezzella chiama il cinema critico-espressivo. La differenza tra cinema spettacolare e cinema critico risiede nel differente modo di mettere in relazione le immagini fra loro, quindi in una diversa modalità di espressione del senso. La possibilità del mezzo cinematografico di imitare la realtà, di coglierla nella sua immediatezza è un'arma a doppio taglio: «La tecnica riproduttiva del cinema contiene la possibilità di una espressione critica radicale; ma anche quella di un'arte estrema della falsificazione. Questa è implicita nell'essenza stessa della riproducibilità» [20] .

Rispetto alla questione della riproducibilità dovuta alla tecnica, il cinema spettacolare si caratterizza per essere una "tecnica" che occulta se stessa, che fa apparire l'immagine artificiale come qualcosa di naturale. Il montaggio, nel cinema spettacolare - scrive Pezzella - non è più un "raccordo di differenze", ma un lavoro che tende all'omogeneità, alla cancellazione delle differenze. Occultando la netta separazione che c'è tra una immagine e l'altra, il montaggio, perviene ad una produzione mimetica della realtà. Viceversa, «[.] l'immagine del cinema critico-espressivo mostra apertamente la propria natura di apparenza e la propria distanza dall'immediatezza della vita» [21] . L'occhio umano è un campo prospettico, è un sistema organico che raccorda tutti i sensi a quello della vista. Questo è ciò che crea, nella percezione naturale, il senso della continuità percettiva. Viceversa, nella macchina da presa tutto ciò manca; il senso della continuità è data dal successivo lavoro di montaggio. In questo senso il montaggio è tanto più al servizio del simulacro e della finzione, quanto più viene naturalizzato il passaggio da un'inquadratura all'altra. La potenza del cinema è una potenza magico-mimetica capace di riprodurre, nella sua artificialità, le cose e il mondo come cose corporee, tuttavia rimane pur sempre un mondo fittizio e una produzione di simulacri. Nel cinema spettacolare:

Le immagini non denunciano più apertamente la propria artificialità, ma appaiono come un riflesso della nuda realtà; il mondo simulato entro cui si svolgono le avventure degli attori è reso indistinguibile da quello entro cui si svolge l'esistenza quotidiana. Il montaggio può, ambiguamente, entrambe le cose: mostrare e rendere riconoscibile l'artificialità dell'immagine; oppure occultarla interamente [22] .

Viceversa nel cinema critico-espressivo:

[.], l'operazione del montaggio è percepibile dallo spettatore e tende a coinvolgerlo in un lavoro di lettura, di interpretazione attiva dell'immagine, risvegliandolo dallo stupore passivo della fantasmagoria. Nel cinema spettacolare, il montaggio impedisce l'esperienza della discontinuità e disinnesca il suo potenziale critico[.] [23] .

Nel cinema critico-espressivo, il linguaggio cinematografico dissocia il contenuto reale dal contenuto di verità, il contenuto di superficie dal contenuto latente e simbolico, profondo e inconscio, che le immagini sapientemente organizzate sanno evocare. La storia esiste sempre, l'aspetto legato alla spettacolarità non si può sopprimere, ma non è più questo il centro di attrazione.

A mio parere, se ci limitiamo al surrealismo bretoniano, il sogno, nell'immagine e nell'immaginazione surrealista, non è qualcosa che possa rientrare nella "pura spontaneità", nella irrazionalità pura. Tutte le pratiche surrealiste, per essere tali, presuppongono uno sfondo di realtà concreta su cui esercitarsi e dal quale fare emergere il contenuto latente che viene occultato dalla Ragione.

Per questo motivo ho insistito sull'idea che l'immagine e l'immaginazione surrealista non siano l'espressione di una pura irrazionalità, ma sempre l'espressione di un rapporto dialettico. A questo proposito, non bisogna confondere la pura irrazionalità, con l'idea surrealista della concretezza dell'immaginario irrazionale. La pura spontaneità o l'irrazionalità pura, è sicuramente un elemento del surrealismo, ma il surrealismo bretoniano nasce nel momento in cui supera questo carattere prettamente dadaista. Bisogna anche considerare che il surrealismo è un organismo collettivo, che lascia spazio ai singoli componenti: non esiste una teoria surrealista del cinema, tanto meno una teoria che possa rappresentare il surrealismo in generale. Esistono studi o singoli articoli individuali da cui derivare una "idea" del cinema surrealista. Il sogno come spontaneità o irrazionalità pura, a mio parere, è l'espressione dell'atteggiamento dadaista. Ora, è vero che il cinema surrealista prende forma dalle esperienze dei dadaisti, ma le considerazioni dadaiste sul cinema si rivolgono agli aspetti astratti della visione filmica e tendono alla distruzione del senso e della corporeità [24] . Il surrealismo cinematografico è invece l'opposto: vuole essere una vera e propria visione che si lega alla corporeità e alla ricerca del profondo. Questo aspetto è senz'altro messo in rilievo da Ado Kyrou, quando afferma che il cinema mette in evidenza il rapporto tra contenuto manifesto e contenuto latente della vita. Breton, in Les pas perdus, racconta un aneddoto su Duchamp; Ado Kyrou, utilizza questo aneddoto per mostrare come il paradosso della visione cinematografica, non è altro che la dimensione stessa del surreale:

Je songe - scrive Breton - à Marcel Duchamp allant quérir des amis pour leur montrer une cage qui leur apparaissait vide d'oiseaux et à moitié remplie de morceaux de sucre, leur demandant de soulever la cage qu'ils s'étonnaient de trouver si lourde, ce qu'ils avaient pris pour des morceaux de sucre étant en réalité des petits morceaux de marbre que Duchamp, à grands frais, avait fait scier à ces dimensions [25] .

Il cinema, per sua essenza, porta lo spettatore al di là della stessa realtà visibile:

De par son essence, le cinéma est plein de sucres de Duchamp. Il est le moyen d'expression rêvé du contenu latent de la vie. Il soulève la cage et fait sentir le poids, il oblige tous les spectateurs à ne plus voir le contenu manifeste-sucre [26] .

Il contenuto manifesto della vita - scrive Ado Kyrou - è per la prima volta posto, nel cinema, sullo stesso piano del contenuto latente, questo gioco dialettico è la surréalitè, alla quale il pubblico crede solamente al cinema. Naturalmente il cinema di A. Kyrou (Mon cinéma est fait de ses possibilités / Ce cinéma est surréaliste) è un cinema ideale, che è già stato tutto esplicitato in l'Age d'Or.

Il cinema come forma della temporalità*.

Secondo Merleau-Ponty, la percezione non è una somma di stimoli, ma un sistema sensoriale complesso, in cui l'oggetto si dà in una struttura unica e indivisa, come una forma già costituita.

«La mia percezione - scrive Merleau-ponty - non è quindi una somma di dati visivi, tattili, auditivi, io percepisco in modo indiviso con il mio essere totale, colgo una struttura unica della cosa, un'unica maniera di esistere che parla contemporaneamente a tutti i miei sensi» [27] .

Sulla base di questo principio generale della percezione, possiamo capire meglio cosa avviene nel film a livello del montaggio.

Se ora consideriamo il film come un oggetto da percepire possiamo applicare alla percezione del film tutto quello che abbiamo appena detto sulla percezione in generale. E si vedrà che, da questo punto di vista, la natura e il significato del film s'illuminano e che la nuova psicologia ci conduce appunto ai rilievi delle migliori estetiche del cinema [28] .

Ribadiamo che quando Merleau-Ponty parla di psicologia, egli intende sempre una psicofisiologia applicata alle situazioni reali della percezione.

«Diciamo innanzitutto che un film non è una somma d'immagini ma una forma temporale» [29] .

Cosa vuol dire questo?

Semplicemente, Merleau-Ponty si richiama alle esperienze pratiche fatte dai grandi registi e teorici del cinema, dalle quali sono nate le teorie sul montaggio. Il cinema è una forma temporale, poiché il senso non è iscritto all'interno di una immagine, come in potenza potrebbe essere nella visione di un quadro, ma si genera esclusivamente nella successione, nel confronto con altre immagini; Questo è valido non solo al livello della semplice inquadratura ma anche da una sequenza ad un'altra. Merleau-Ponty ricorda la «famosa esperienza di Pudovkin che mette in evidenza l'unità melodica del film» [30] . Questa esperienza è nota nelle teorie del cinema come l'"effetto Kuleshov", riportata dallo stesso Pudovkin in questi termini:

Prendemmo da alcuni vecchi film alcuni primi piani del celebre attore Mozzuchin e li scegliemmo statici e tali che non esprimessero alcun sentimento.Unimmo poi questi primi piani, che erano del tutto simili, con altri pezzi di pellicola in tre diverse combinazioni. Nel primo caso, il primo piano di Mozzuchin era immediatamente seguito dalla visione di un piatto di minestra sopra un tavolo; ed era cosa ovvia e sicura che l'attore guardava quella minestra. Nel secondo caso, la faccia di Mozzuchin era seguita da una bara nella quale giaceva una donna morta. Nel terzo era seguito da una bambina che giocava con un buffo giocattolo raffigurante un orsacchiotto. Quando mostrammo i risultati a un pubblico non prevenuto e totalmente ignaro del nostro segreto, ottenemmo un risultato tremendo. Il pubblico delirava di entusiasmo per la bravura dell'artista. Era colpito dall'alta pensosità con cui egli guardava la minestra, era scosso e commosso dalla profonda afflizione con cui guardava la donna morta,era ammirato dal luminoso sorriso con cui guardava la bambina. Ma noi sapevamo che in tutti I tre casi la faccia era la stessa. (Vsevolod Pudovkin, Tipi e non attori, in La settima arte, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 126-7.) [31] [31]

A mio parere, attraverso l'esperienza dell' "effetto Kuleshov" si capisce meglio anche il concetto fenomenologico di intenzionalità; infatti, intenzionare o anticipare un oggetto non è mai qualcosa che si dà in maniera puramente intellettuale e astratta, ma dipende da un insieme prospettico, dal reale contesto in cui si percepisce un oggetto. In altri termini, il senso di una immagine, nel caso della visione filmica, è qualcosa che deriva da un sistema di valori. Il significato di un'immagine, secondo questo principio generale del montaggio, non è statico e fisso, ma si genera in rapporto ad altre immagini, dipende sempre da un sistema di differenze, come ha mostrato De Saussurre per il linguaggio in generale. Ciò vuol dire che «il senso d'una immagine dipende dunque da quelle che la precedono nel film: la loro successione crea una realtà nuova che non è quella della semplice somma degli elementi impiegati» [32] .

Siccome c'è nel film, oltre alla selezione dei piani, del loro ordine e della loro durata, che costituisce il montaggio, una selezione delle scene o sequenze, del loro ordine e della loro durata, che costituisce il taglio - il film appare come una forma estremamente complessa all'interno della quale azioni e reazioni estremamente numerose s'esercitano ad ogni istante, le cui leggi restano da scoprire e sono state sinora soltanto indovinate dal fiuto o dalla sensibilità del regista che maneggia il linguaggio cinematografico come l'uomo che parla maneggia la sintassi, senza pensarci espressamente, e senza essere sempre in grado di formulare le regole che osserva spontaneamente [33] .

Tutto ciò che abbiamo detto sulle possibilità che il montaggio ha di costituire un senso, mediante l'accostamento di immagini irrelate, va letto alla luce dell'esperienza spazio-temporale, se si vuole comprendere il significato profondo del cinema surrealista. Se una singola visione d'immagine accostata ad un'altra ha il potere di influire in modo così determinante sul senso che viene generato, allora il cinema è un sistema complesso, una forma temporale - come dice Merleau-Ponty - al cui interno i significati si generano e non vengono depositati una volta per tutte. Il cinema non sarebbe altro che uno strumento capace di mettere in comunicazione interno ed esterno, di far emergere un senso nuovo, oppure di portare alla luce della coscienza ciò che già è depositato nell'inconscio dello spettatore.

Non solo una immagine è condizionata dalle altre immagini, ma anche il suono o la sua assenza, nel cinema sonoro, hanno un'influenza sul senso. I momenti di silenzio sono significativi al pari dei momenti parlati, così come la musica non è un complemento al discorso delle immagini, non è un semplice riempimento dello spazio visibile.

«Che cosa significa, che vuol dunque dire il film? Ogni film racconta una storia, ovverosia un certo numero di eventi che contrappongono personaggi e che possono essere anche raccontati in prosa, come effettivamente lo sono nella sceneggiatura in base alla quale il film è realizzato» [34] .

Il film, secondo questo punto di vista, non è altro che la trasposizione fedele in immagini, la fotografia, di fatti, idee o cose, che costituiscono il materiale di un dramma letterario. Qui si mostra il carattere del "realismo fondamentale del cinema". Ma - scrive Merleau-Ponty - non è detto che il cinema debba restituirci fedelmente la storia come se la vivessimo nella vita reale. È il realismo cinematografico che porta a questo equivoco. Il cinema, come del resto l'arte in generale, non ha «[.] semplicemente la funzione di significarci quei fatti, quelle idee o quelle cose» [35] . La storia è la materia prima del film, ma la funzione del film sta nella "scelta delle prospettive". È nel tempo variabile del racconto che si costituisce il senso del film. Scrive Merleau-Ponty:

Il senso di un film è incorporato al suo ritmo come il senso di un gesto è immediatamente leggibile nel gesto, e il film non vuole dire nient'altro che se stesso. L'idea è qui ricondotta allo stato nascente, essa emerge dalla struttura temporale del film, come in un quadro dalla coesistenza delle sue parti. È la felicità dell'arte di mostrare come qualcosa diventi significato, non per allusione a idee già formate e acquisite, ma grazie alla disposizione temporale o spaziale degli elementi [36] .

In sostanza, il senso di un film sta nel mettere insieme "emblemi sensibili" o immagini simboliche, secondo un ordine temporale e spaziale, in modo che la realizzazione del tutto non sia altro che un significato: «Un film significa come abbiamo visto più sopra che una cosa significa: l'uno e l'altra non parlano a una intelligenza separata, ma si rivolgono al nostro potere di decifrare tacitamente il mondo o gli uomini e di coesistere con loro» [37] .

E questo, dice Merleau-Ponty, rispetto alla percezione abituale del mondo, amplifica nel film la percezione della forma poiché, «mai nel reale la forma percepita è perfetta, c'è sempre del mosso, delle sbavature e come un eccesso di materia [.] il film non si pensa, ma si percepisce» [38] .

Il cinema dunque è una forma di espressione immediata che ci offre direttamente, in modo corporeo, fisico e "brutale", come un gesto, uno sguardo o un qualsiasi altro comportamento, ciò che esso vuole significare.

Il surrealismo e il cinema*

Nel surrealismo, fin dalle sue origini, l'interesse per il cinema è molto forte, ma non è principalmente rivolto alla concreta produzione di film, quanto piuttosto alla naturale identificazione tra cinema e surrealtà. Per i surrealisti, il cinema è soprattutto un mezzo per mettere in atto una sorta di scrittura automatica, legata alla visione dell'immagine filmica, che possa consentire a chi si avvicina al mondo della surrealtà, «[.] di farsi, ciascuno, il suo film personale con i brandelli dei film visti, senza ordine, senza scelta o programma, a caso, passando da una sala cinematografica all'altra, così come si attraversa la strada o si va da un locale pubblico a un altro» [39] . Il cinema dunque, per i surrealisti, prima di essere una forma di espressione artistica, come la poesia e la pittura, è in primo luogo un materiale onirico da utilizzare e affiancare all'esperienza reale della vita quotidiana, al fine di mettere in comunicazione esperienza diurna e vita interiore. È naturale che da questo punto di vista il cinema, per i surrealisti, sia soprattutto uno spazio immaginativo e corporeo legato ad uno stato percettivo inconsueto, da raggiungere, nella fruizione, mediante le immagini proiettate sullo schermo. A questo livello il cinema è visto dal punto di vista dello spettatore:

L'esperienza cinematografica dei surrealisti è in questo senso esemplare e illuminante. Come si è detto, essi utilizzavano il cinema come materiale per le loro costruzioni oniriche, usando i brandelli dei diversi film - una determinata sequenza, un episodio, un'ambientazione, un'attrice, un volto, una didascalia ecc. - come frasi, brani, capitoli di un ininterrotto romanzo visivo affascinante e personalissimo. Al di là della tecnica, dello stile, delle possibilità espressive del mezzo, il cinema era di fatto una «surrealtà»: la frequenza del cinema, la sua continua fruizione, diventava automaticamente una esaltante esperienza surrealistica [40] .

È molto significativo che, ancora nel 1972, Gianni Rondolino, dovendo caratterizzare il cinema surrealista, scelga di non distinguere nettamente tra cinema dadaista e cinema surrealista, riducendo spesso quest'ultimo al dadaismo e al suo carattere di pura negatività:

È chiaro d'altronde che non ha molto senso continuare a parlare di dadaismo e di surrealismo come di due movimenti indipendenti, estranei l'uno all'altro e antitetici, e classificare di conseguenza le opere da essi prodotte in base alla presenza o meno degli elementi considerati determinanti alla loro individuazione, ricavabili da questo o quel testo programmatico, da questa o da quella dichiarazione. E non ha senso per almeno due buone ragioni. Prima, che il surrealismo, essendo nato dal dadaismo, conserva in sé molti dei principi elaborati e propugnati da quello; e il dadaismo dal canto suo, proprio nella sua veste di «padre» del surrealismo, ne anticipa esigenze e motivi. Seconda, che tanto il dadaismo quanto il surrealismo rifuggono da ogni inquadramento classificatorio elaborato su schemi tradizionali, e la validità delle loro opere risiede nel grado di «rivolta» in esse riscontrabile piuttosto che nell'applicazione di una precettistica che, oltre tutto, non esiste e non può esistere [41] .

Invece di distinguere surrealismo e dadaismo - secondo Rondolino - sarebbe meglio indagare sull'eredità comune dei due movimenti; cercarne le differenze nelle opere degli artisti che, a partire dalle produzioni posteriori agli anni '30, hanno lavorato sia in Europa che in America. Il cinema surrealista quindi deve essere indagato all'interno di una rete di riferimenti assai complessi che si collegano al panorama più generale delle arti, della storia della letteratura, della pittura e del teatro.

C'è insomma una «presenza» della rivolta dadaista-surrealista nella cultura contemporanea che non va sottaciuta né trascurata, il cui studio attento potrebbe fornirci utili indicazioni e sulla «validità» o meno di quei movimenti e sulla «attualità» e, infine, sulla natura sulla portata di quella rivolta in rapporto alla struttura attuale della società borghese e neocapitalistica [42] .

Il punto di vista di Rondolino, cioè quello di non riconoscere l'esistenza di un vero e proprio cinema surrealista, è confermato, qualche anno più tardi, anche dallo studio di Alain e Odette Virmaux, Les surréalistes et le cinéma. Il punto centrale da cui parte l'analisi di questi due autori, è la mancanza di una storia del cinema surrealista. Sia Rondolino che i Virmaux criticano la posizione di Ado Kyrou, per il quale il cinema per sua essenza è surreale.

Il dadaismo-surrealismo, scrive Rondolino, ha avuto un impatto così forte sulla cultura contemporanea che non è difficile trovare in film commerciali e di consumo "elementi, motivi e temi propri della «poetica» dadaista-surrealista". Potrebbe essere utile ricondurre al dadaismo-surrealismo tutti i film che direttamente o indirettamente risentono della loro influenza.

È quanto ha fatto, con ricca documentazione, Ado Kyrou in un libro appunto intitolato Le surréalisme au cinéma. Ma, in questo caso, si corre il rischio di smarrire il cammino dell'indagine critica e di rinunciare a un discorso storico: di fare, in altre parole, un'opera surrealista, come di fatto può essere definito il libro di Kyrou [43] .

Dal canto loro, Alain e Odette Virmaux affermano che:

[.] il reste très légitime de consacrer un gros volume aux interférences du cinéma et du surréalisme et d'y démontrer, en particulier, qu'un surréalisme diffus et comme involontaire baigne de nombreux films. Ce fut le propos d'Ado Kyrou dans un ouvrage passionnant, mais au titre extrêmement révélateur : Les Surréalisme au cinéma. Titre qu'il faut entendre ainsi: faute de films surréalistes en nombre suffisant et décisif, cherchons du moins au cinéma des instants, des fragments de surréalisme, au besoin dans la production commerciale, voire dans les films les plus médiocres [44] [44].

Con il loro saggio i nostri autori intendono mostrare che surrèalisme et cinéma sono due nozioni "distinte, lontane e disunite". Esse avrebbero potuto costituire un unico "universo" solo nel caso che «l'existence de nombreux films proprement surréalistes, constituant une tendence durable, une école admise» [45] .

È vero che i surrealisti, oltre ai pochi film realizzati, hanno lasciato una testimonianza del loro interesse per il cinema in molti articoli, in diversi scritti teorici e in varie sceneggiature cinematografiche. È vero anche che la figura di Luis Buñuel è centrale, ma come il surrealismo non si può costituire solo con l'opera di Breton, solo con i Manifesti o pochi altri testi fondamentali, così non essendoci una vera e propria produzione di film, non si può parlare di cinema surrealista e tanto meno di storia del cinema surrealista.

«Si l'on n'a pu écrire l'histoire du cinéma surréaliste, c'est apparemment qu'un tel cinéma n'a pu parvenir au stade de l'existence, sauf cas d'espèce» [46] [46].

La riflessione sul cinema è sempre presente nel pensiero di Breton. Anche se nel primo Manifesto il cinema non viene espressamente nominato, il richiamo costante al meraviglioso onirico può farsi risalire alla frequenza quotidiana che i surrealisti avevano col cinema e, in particolare, col metodo surrealistico di fruizione del film. Tuttavia, se è relativamente possibile "materializzare" e "realizzare" il sogno, cioè trasferire nell'immagine filmica l'esperienza onirica, per alcuni surrealisti (René Clair) è quasi impossibile tradurre nel cinema l'esperienza della scrittura automatica e l'automatismo psichico. Ritroviamo qui un primo aspetto che spiega perché la produzione cinematografica surrealista si sia limitata a pochi film, e perché vi sia un notevole divario tra i film prodotti e le sceneggiature che non sono mai state realizzate. Diviene così importante capire in che senso surréalisme et cinéma, si presentano, secondo A. e O. Virmaux, come una "unione mancata". Per i surrealisti il cinema è una sorta di doppia attrazione irresistibile. Attrazione che può essere tradotta nei termini di una "passione spettatrice", come luogo del meraviglioso da cui trarre ispirazione, e come mezzo di espressione e di azione.

Vers 1920, toute une fraction de la jeunesse se rue vers le film parce que le film est aux antipodes de la culture bourgeoise imposée. Les classes dirigeantes, malgré quelques tentatives annexionnistes comme celle du «film d'art», n'ont pas encore réussi à «récupérer» le cinéma, à l'insérer dans leur système de valeurs [47] .

I surrealisti non si accontentano di rinnegare tutta la produzione commerciale, ma vogliono affermare il mezzo cinematografico come rivolta e disprezzo nei confronti della cultura dominante, come forma di espressione della modernità, capace di sovvertire i valori della borghesia. Breton sottolinea questo aspetto, oltre che in Nadja, in La clé des champs e in altri scritti [48] . Il disprezzo è rivolto non solo alla "gens de culture et de bon goût", ma anche a quelli che vogliono definire il cinema come forma d'arte. Agli occhi dei surrealisti, il cinema è una forma di espressione che rappresenta l'anticultura, che rinnega perfino sé stessa come cultura cinematografica. «Il s'agissait d'empêcher que l'ecran ne devînt à sont tour le lieu de nouvelles cérémonies culturelles et bourgeoises» [49] [49]. In questo senso il cinema ha molti punti di contatto con la poesia sovversiva che si sviluppò, in Francia, a partire dai primi decenni del Novecento. Sotto certi aspetti, il carattere sovversivo e rivoluzionario del cinema è considerato, da tutta una generazione di poeti, intellettuali e artisti che gravitano attorno al surrealismo negli anni '20, una nuova forma poetica [50] . Così in Apollinaire, in Rimbaud, in Éluard, in Soupault, in Desnos, in Breton il cinema è più che una forma d'arte, è più che una letteratura: esso è poesia [51] .

Prima della rottura, i futuri surrealisti appartengono al movimento Dada che si costituisce a Parigi; dopo la scissione, per un certo periodo, molti artisti dadaisti gravitano indifferentemente nelle file dell'uno e dell'altro movimento. Più che i letterati, sono stati soprattutto i pittori dadaisti a esprimersi con il mezzo cinematografico, come ad esempio Duchamp, Hans Richter, Picabia, Man Ray. Dunque, prima che nascesse ufficialmente il surrealismo, vi era un forte interesse per il cinema da parte di questi poeti, pittori, artisti e intellettuali. Il cinema non poteva lasciare indifferenti i dadaisti. Tuttavia, anche per i dadaisti come per i futuristi - scrive Rondolino - non si può parlare di una cinematografia in senso stretto:

Il cinema interessò infatti ben presto alcuni artisti dadaisti, pittori più che letterati; ma occorre dir subito che l'incontro del cinema col dadaismo avvenne quasi per caso, ai margini degli interessi veri di questi artisti e di questi intellettuali così come marginale era stato l'interesse dei futuristi per il cinema nonostante le caratteristiche prettamente «futuristiche» del cinema stesso e l'elaborazione da parte dei futuristi di un dettagliato manifesto programmatico dedicato proprio al cinema [52] .

Peut-on parler pour autant d'une ècole, d'un mouvement cinématographique dada ? Par définition, non. [.] Ces films sont en réalité des anti-films [53] .

Per i dadaisti, si trattava di ribaltare tutte le regole del cinema (commerciale o meno), di trasformare il film in pseudo-film, in uno "oggetto dadaista" ottenuto con la tecnica cinematografica [54] . Di questo spirito sovversivo è testimone il cortometraggio di Man Ray, Le retour à la raison [55] che è stato un dei primi "film" dadaisti, ricordato soprattutto nella storia del surrealismo, perché doveva essere proiettato la sera stessa in cui avvenne la rottura con Dada. Man Ray, in questo pseudo-film di tre minuti, utilizzando le sue tecniche di impressione fotografica (le rayografie) applicate all'immagine filmica, ottenne una sorta di automatismo visivo, capace di rompere con ogni rapporto discorsivo e tradizionale del linguaggio filmico, in linea con le concezioni del dadaismo. «Cinema automatico dunque. Ma nel quale l'automatismo, tutto esteriore, consisteva in un rapporto di forme e di movimenti e non nell'«accozzamento lirico e scandaloso di elementi disparati»: differenza che provocò appunto la scissione Dada-surrealismo» [56] . A partire da questa diversa interpretazione dell'automatismo, che per i surrealisti non può che essere un automatismo psichico (e non un aspetto puramente formale ed esteriore), possiamo dire che, in linea di principio, il surrealismo cinematografico è la continuazione dello spirito sovversivo dadaista, ma fondato sulla possibilità di un nuovo linguaggio, che sia eversivo e, insieme, l'espressione più pura dell'immaginario onirico. Cinema surrealista, quindi, non solo come distruzione del linguaggio filmico tradizionale, ma anche come possibilità di una piena reintegrazione dell'inconscio: "Un chemin d'accès à la «vraie vie»". Ed è proprio in questo senso che si deve intendere il cinema surrealista, o per lo meno, ciò che per i surrealisti rappresentava lo schermo cinematografico: un mezzo che si apre all'inconscio, al "contenuto latente", ad una riflessione sulla vita reale e sull'esistenza.

C'est qu'André Breton et ses compagnons ne se content pas de refuser la culture bourgeoise et l'art traditionnel, jugés par eux en faillite. Ils ne se bornent pas non plus à tâcher d'en détruire les restes au moyen d'un arsenal subversif où le film prendrait place. Ce dernier, à leur yeux, est appelé à jouer un rôle infiniment plus constructif. [.] Dans cette perspective, le film devait tout naturellement apparaître comme un moyen idéal d'investigation de la surréalité, comme un véhicule privilégié de l'imaginaire ou de l'inconscient et qui permettrait par exemple de porter à l'écran l'èquivalent figuratif de «l'ecriture automatique». Les surréalistes n'en pouvaient douter: le cinéma était fait pour eux, conçu tout exprès à leur intention, accordé à miracle avec leur visée profonde [57] .

Nel 1952, A. Breton, in Comme dans un bois, conclude queste poche pagine, che sono la sua riflessione più chiara sul cinema, dicendo che non si può pensare il cinema senza una certa nostalgia, senza riflettere su ciò che avrebbe potuto essere. In fondo esso non fa che rispecchiare il fallimento di tutta un'epoca, il cui sviluppo culturale si fonda non sulla base delle proprie necessità interne, ma su "pressioni" esterne che indifferentemente avrebbero potuto essere anche altre:

È ancora alla portata di tutti vedere ciò che erano i mezzi originari del cinema e giudicare l'uso più che parsimonioso che ne è stato fatto. [.] Ma, beninteso, si è preferito attenersi a un'azione di tipo teatrale. [.] «Ora sappiamo, m'è accaduto di dire una volta, che la poesia deve portare da qualche parte». Il cinema aveva tutto quel che ci voleva per raggiungerla, ma nell'insieme - specifichiamo: in quanto attività guidata - il meno che si possa dire è che non ha imboccato quella strada [58] .

Come già abbiamo detto, il punto di vista da cui i surrealisti guardano il cinema è quello dello spettatore e non quello di colui che lo realizza. «Le spectateur solitaire que j'ai en vue, perdu au milieu de ces inconnus sans visages, d'où vient que sur-le-champ il épouse avec eux cette aventure qui n'est ni la sienne ni la leur? Quelles radiations, quelles ondes qui ne défieraient peut-être pas tout tracé permettent cet unisson? On rêve de ce qui pourrait s'entreprendre à la faveur de cette constellation, tant qu'elle dure.» [59] . È al livello dello sguardo che i surrealisti cercano sullo schermo la magia del cinema, anche quando si esaltano per i suoi poteri. Tutto ciò non è un caso. Infatti è con questo spirito che i surrealisti respingono "con orrore" l'idea di ogni perfezionamento tecnico e di ogni progresso, che fa dell'immagine filmica un'immagine "vera" o "verosimile". La "vraie vie", al contrario, non è altro che il dominio del meraviglioso onirico che non è una fuga nell'irrealtà, ma la possibilità di una realtà superiore, che il cinema stesso al pari del sogno, può contribuire a realizzare. «D'avance on récuse le cinéma sonore et parlant, et la couleur, et le relief. [.] Le cinéma n'avait chance d'ouvrir accès à la «vraie vie» qu'à la condition expresse de ne pas évoluer et d'abord de rester silencieux» [60] .

Rispetto al problema relativo all'identificazione tra cinema e surrealismo, vi è stato un dibattito aperto. Non tutti i surrealisti sono d'accordo nel credere che il cinema sia un mezzo adeguato ad esprimere compiutamente la surrealtà. In particolar modo la controversia si è focalizzata sul fatto che il cinema possa o meno tradurre la surréalité in immagini. In altri termini, il problema è quello di vedere se il linguaggio cinematografico possa essere equivalente alla "scrittura automatica" o, più in generale, alle pratiche surrealiste come i giochi sul linguaggio (le cadavre exquis).

A titolo esemplificativo, riportiamo una sintesi del dibattito sorto intorno agli anni '25 / '30, per mostrare più dettagliatamente la natura di questo problema.

«Vingt-cinq années se sont écoulées - scrive Breton - depuis que M.J.Goudal, dans la Revue hebdomadaire, mettait en évidence la parfaite adéquation de ces mojens [i mezzi originari del cinema] à l'expression surréaliste de la vie et cela seconde par seconde» [61] .

In questo passo, Breton rievoca un'articolo di M. Jean Goudal, il quale scrisse un saggio apparentemente critico verso il surrealismo, ma che di fatto conferma l'identificazione tra cinema e surrealtà. In prima istanza, Goudal pone dei quesiti contro i propositi dei surrealisti. Le difficoltà sembrano essere di due ordini: di metodo e relative alle ambizioni antirazionalistiche e alogiche del movimento. Non è facile da determinare - scrive Goudal - se nel surrealismo la realtà superiore corrisponda al sogno, o piuttosto a una sorta di unione tra sogno e realtà. In un modo o nell'altro vi sono delle difficoltà. Infatti, nel primo caso il nostro autore si domanda come si può parlare di inconscio, dal momento che la coscienza riesce a "esplorare" l'inconscio. Nel secondo caso, se la realtà superiore risiede in una sorta di fusione mistica (tra sogno e realtà), allora non si capisce in che modo si possa far comunicare due domini che per definizione sono incomunicabili. Inoltre, ciò che chiamiamo raison è la parte del nostro spirito che è comune a tutti gli uomini: «si elle vient à manquer, ne tomberon-nous pas dans un mode d'expression individuel et incommunicable?» [62] . In seconda istanza, Goudal si appella al cinema. Un fatto è considerevole: le obiezioni che sopra sono state formulate perdono il loro valore se le tesi surrealiste vengono rapportate al dominio cinematografico.

Appliquée à la technique du cinéma, la thése surréaliste ne nous frappe plus que par sa justesse et sa fécondité. L'objection de méthode (difficulté de fondre dans un même plan le conscient et l'inconscient) ne vaut pas pour le cinéma, dont le spectacle constitue justement une hallucination conscient [63] .

Le cinéma constitue donc une hallucination conscient et utilisa cette fusion du rêve et de l'état consciente que le surréalisme voudrait voir réalisée dans le domaine littéraire. Ces images mouvantes nous hallucinent, mais en nous laissant une conscience confuse de notre personnalité et en nous permettant d'evoquer, si c'est nécessaire, les disponibilité de notre memoire.(En général, d'ailleurs,le cinéma n'exige de nous que juste ce qu'il faut de souvenirs pour lier les images.) [64] .

A. e O. Virmaux riportano così il pensiero di Goudal:

C'est que le spectateur de cinéma se trouve placé dans une situation très particulière, à mi-chemin de la conscience et de l'inconscience; le film s'installe dans un sorte d'hallucination éveillée, née des conditions même de la représentation: obscurité, faisceau lumineux, musique d'accompagnement. De plus, le caractère saccadé de la projection ajoute à ses autres pouvoirs hypnagogiques. Corollaire: beaucoup plus facilement que le langage courant, le film peut se permettre de répudier la logique [65] .

Il Sogno, per i surrealisti è la materia prima del film, è tutto ciò a cui si può ricondurre la visione cinematografica: «Dans la visée d'un cinéma surréaliste, c'est exactement là le cour du problème» [66] . Naturalmente bisogna interpretare queste parole nel loro duplice significato, le "cour du problème" può essere letto sia in un senso che nell'altro: il sogno può assumere il senso di uno spazio irreale, oppure quello di uno spazio surreale. Dal canto suo, René Clair risponde a J.Goudal in un articolo intitolato Cinéma et surréalisme, commentando brevemente solo un aspetto del problema:

M. J. Goudal écrit «que l'application des idées surrèalistes au cinéma échappe aux objections qu'on peut adresser au surréalisme littéraire». Soit. Mais d'autres objections se présentent. Si le surréalisme a sa technique propre, le cinéma a la sienne aussi. Ce qui m'interesse dans le surréalisme, c'est ce qu'il me dévoile de pur, d'extra-artistique. Pour traduire en images la plus pure conception sirréaliste, il faudra la soumettre à la technique cinématographique, ce qui risque de faire perdre à cet «automatisme psychique pur» une grande part de sa pureté [67] .

Per questa ragione, René Clair crede che il cinema non possa essere il migliore mezzo per esprimere il senso della surrealtà. Tuttavia, pensa che cinema e surrealismo non siano estranei l'uno all'altro, proprio per il motivo che ha sottolineato Goudal, e cioè che il carattere allucinatorio del cinema fa di esso uno spazio che è al di fuori dal dominio della logica. «Si le cinéma ne peut être un moyen parfait d'expression pour le surréalisme, il reste pourtant, pur l'esprit du spectateur, un champ d'activité surréaliste incomparable» [68] .

Sulla stessa linea di Renè Clair, Marc Soriano sottolinea che la qualità dei film surrealisti è fuori dubbio, ma le parole «cinéma» et «surréalisme» «[.] sont contradictoire. La caméra a ses lois; même les images les plus folles ont besoin d'être liées par l'analogie ou les rythme. Un film surréaliste ne peut nous toucher que s'il fournit une plate-forme raisonnable à partir de laquelle nous puissions rêver. Voilà pourquoi, peut-être, le public boude le surréalisme au cinéma» [69] .

Da questo breve confronto emergono due aspetti. Da un lato c'è il problema della tecnica cinematografica che impedirebbe l'esercizio di un automatismo puro, dall'altro c'è il problema di come si debba considerare l'immaginario onirico. Tutta la questione però ruota attorno ad un equivoco che è quello di considerare il linguaggio verbale come il mezzo più adatto, rispetto a quello visivo delle immagini, ad esprimere l'automatismo psichico. In realtà nello scorcio di questo dibattito non si è tenuto conto del fatto che il montaggio ci restituisce una messa in forma del film, che potrebbe essere considerata al pari di una scrittura "automatica".

Le rêve reconstitué en images qui dansent sur un écran ne vaut-il pas bien, après tout, le rêve recomposé sur la page en caractères romains ? Or, le rêve est justement le mot clé, le mot-refrain d'innombrables textes relatifs à l'écran dans les année vingt. On le trouve sous la plume de tous ceux, surréalistes ou non, qui veulent dire la puissance poètique virtuelle du cinéma. [70] .

Entriamo ora nel cuore del nostro problema. Il film surréaliste, può essere considerato una sorta di scrittura automatica visuale, solo se il sogno è inteso come meccanismo puro di espressione del profondo. Infatti, esso non può essere un espediente o un trucco, sotto il quale far passare tutto ciò che è irrazionale. Il sogno, come evasione dalla realtà, è solo una tappa che porta verso la realizzazione del cinema surrealista.

«Mises sur le compte du rêve - ou de la folie du héros (cf. Caligari) -, les extravagances ne dérangeaient plus personne. Et c'est à quoi, précisément, les surréalistes ne pouvaient se résigner» [71] .

L'aspetto spettacolare del sogno è quindi rifiutato, da parte dei surrealisti, come operazione che maschera il puro svolgimento del pensiero. Testimonianza di ciò, è l'opera cinematografica di Artaud, il quale si rifiuta di considerare La Coquille et le Clergyman come l'espressione di un sogno [72] . È nota la polemica dei surrealisti contro Germaine Dulac, che ha realizzato il film contro le aspettative di Artaud. Il fatto che Artaud abbia rinnegato la Coquille, la presa di posizione da parte dei surrealisti contro la Dulac, tutto ciò, ha portato in un primo tempo a considerare questo film come film non surrealista. In realtà la sua realizzazione sembra essere più importante dello stesso Un Chien Andalou. Vediamo cosa dice Ado Kyrou, rispetto a questo momento iniziale ma centrale del surrealismo cinematografico.

Mais Artaud acteur m'intéresse beacoup moin qu'Artaud scénariste et théoricien. Il est malheureux qu'un seul de ses scénarios ait été tourné et d'ailleurs mal, car en feuilletant ses projets cinématographiques, on se rende compe à quel point il voyait cinéma. Pourquoi les metteurs en scène actuels ne recherchent-ils pas les vieux scènarios d'Artaud ?

[.] Ce fut malheureusement Mme germaine Dulac qui mit en scène la Coquille et le Clergyman; cette dame n'arrivait pas à comprendre ce que demandait Artaud: «J'ai cherché dans le scénario qui suit (la Coquille et le Clergyman) à réaliser cette idée de cinéma visuel où la psychologie même est dèvorèe par les actes.Ce scénario n'est pas la reproduction d'un rêve et ne doit pas être considéré comme tel.Ce scénario recherche la vérité sombre de l'esprit, en des images issue uniquementd'elles-même, et qui ne tiret pas leur sens de la situation où elles se développent, mais d'une sorte de nécessité intérieure et puissante qui les projette dans la lumiére d'une èvidennce sans recours.» (Cinéma et Réalité, avant-propos au scénario de la Coquille et le Clergyman. Publié dans La Nouvelle Revue Française, nov.1927) [73] .

Questa sceneggiatura - scrive Kyrou - oltre ad esprimere un contenuto erotico e rappresentare in maniera forte i sentimenti dei protagonisti, avrebbe potuto dar luogo a un film dello stesso valore di L'Age D'or, ma la Dulac avrebbe tradito lo spirito di Artaud. Tuttavia nel film, a tratti, emergono le caratteristiche che il poeta avrebbe voluto imprimere alla sua realizzazione. In altri termini, Artaud ha inequivocabilmente lasciato la sua "firma" e ciò fa risaltare ancora di più «la faiblesse de la mise en scène et la mollasse des séquences qui auraient dû faire gricer les dents» [74] . Storicamente, la Coquille è il primo film realizzato secondo la concezione surrealista della concretezza dell'immaginario onirico, il primo film veramente "automatico", che non ha niente a che vedere con le ricerche di Man Ray (Le retour à la raison) o di Duchamp (Anemic Cinema) [75] .

Artaud écrivait le 29 octobre au Monde illustré: «on ne doit donc pas y chercher une logique ou une suite qui n'existent pas dans les choses mais bien interprèter les images qui se déroulent dans le sens de leur signification essentielle, intime, une signification intérieure et qui va du dehors au dedans. La Coquille et le Clergyman ne raconte pas une histoire mais développe une suite d'ètats d'esprit qui se déduisent les uns des autres comme la pensée reproduit la suite raisonnable des faits [76] .

È nel medesimo senso che Artaud ha impresso alla sceneggiatura della Coquille, che ritroviamo una convergenza tra cinema e surrealismo.

Ed è anche in questo senso che i primi testi automatici possono essere considerati come vere e proprie sceneggiature cinematografiche, a conferma della tesi di Jeans Goudal, per il quale, «le cinéma se présentait, à l'origine, pour le surréalisme, comme le moyen d'expression le mieux ajusté à sa visée» [77] .

La Coquille rappresenta il momento di passaggio in cui la prospettiva dei surrealisti, riguardo al cinema, passa dal punto di vista dello spettatore a quello del realizzatore. Tuttavia, come hanno fatto notare i Virmaux, i film surrealisti che si possono dire tali si riducono a tre: la Coquille et le Clergyman (1927), Un chien Andalou (1928), L'Age D'or (1930). È quindi un magro bilancio quello che rimane dopo avere separato dal corpo più propriamente dadaista i film che rientrano nell'automatismo psichico. Già abbiamo detto che il dadaismo cinematografico si costituisce come un automatismo impersonale che pone in movimento forme astratte prese dalla pittura e dalla fotografia. Da questo punto di vista il surrealismo cinematografico si presenta come un rifiuto dell'astrattismo e del cinema puro (cinema d'avanguardia); esso è un ritorno al contenuto, all'oggetto concreto, alla concretezza corporea dell'immagine stessa.

De proche en proche, nous voici arrivé au seuil même du surréalisme. A ce niveau, nous découvrons que, semblable à une peau de chagrin, la production exclusivement surréaliste se trouve réduit à sa plus simple expression. On ne peut plus guére y faire figurer que trois titres : La Coquille et le Clergyman, Un chien Andalou, L'Age D'or. Bien entendu, le jeu de massacre pourrait continuer. [.] A la limite, il ne resterait rien. Cela ne doit pas surprendre [.] Or, à les sonder, comme nous nous le proposons, les trois films que nous avons dits se révèlent parfaitement integré dans le grand courant surréaliste [78] .

Quali elementi possono essere elencati come costitutivi della poetica del surrealismo cinematografico?

«Innanzi tutto il disprezzo della tecnica e la preminenza del contenuto» [79] .

Possiamo partire da ciò che Kyrou chiama il "tradimento" [80] della Dulac" che, rispetto alla sceneggiatura di Artaud, ripristina la forma del film "bello", ovvero «la faiblesse de la mise en scéne et la mollesse des séquences, qui auraient dû faire grincer les dents» [81] .

Questo tradimento si configura quindi come un ritorno alla "bella forma", un ritorno all'estetismo del cinema d'autore. Per i surrealisti, per Artaud, si trattava invece di affermare una «poetica del brutto», da opporre all'arte e alla cinematografia tradizionale: "immagini banali", prese soprattutto dal punto di vista della quotidianità piuttosto che dalla spettacolarità. La «poetica del brutto» si definisce come espressione dell'anticultura, "in favore d'un cinema autenticamente rivoluzionario, antiborghese, sgradevole e provocatorio" [82] .

Questo è il carattere della cinematografia surrealista, che si traduce sul piano teorico in un rifiuto della tecnica, intesa come arte, al servizio del contenuto. Ciò che i surrealisti ci vogliono dire, in realtà è molto semplice e può essere spiegato dicendo che l'aspetto formale è tutto ciò a cui la nostra cultura mira e dà importanza. Una poetica che si fondi sulla "preminenza del contenuto", come quella surrealista, da un lato, è consapevole che non ci può essere contenuto senza forma, dall'altro, poiché siamo nel campo di una percezione "poetica", comporta che l'unico modo diretto, immediato, pieno e corporeo di far "vivere" nell'immaginario dello spettatore il contenuto dell'immagine filmica, è quello «della trascuratezza formale con cui esse sono realizzate, è l'unica via d'accesso all'autenticità di quell'azione e di quel pensiero» [83] . Ora possiamo capire meglio il senso in cui i surrealisti intendono usare le immagini cinematografiche, poiché a prima vista sembrerebbero la perfetta rappresentazione del caos. Come è ovvio, non si può guardare un film surrealista con lo stesso spirito con cui si guarda un film tradizionale, in quanto una stessa immagine è usata secondo criteri diversi e soprattutto per raggiungere scopi diversi. I surrealisti, opponendosi con forza all'uso tradizionale delle immagini, al formalismo astratto dei dadaisti, hanno voluto semplicemente portare sullo schermo immagini il cui contenuto fosse il più possibile liberato dal loro aspetto formale. Poiché le immagini di questo tipo, per eccellenza, sono le immagini che ci provengono dall'inconscio, quelle che emergono negli stati ipnagogici o nel sogno, i surrealisti hanno parlato a proposito dell'immagine surreale, di concretezza dell'immagine onirica. L'immagine che vediamo sullo schermo surrealista è sempre un'immagine corporea, cruda, immediata e concepita come se fosse vista dall'interno, cioè liberata dal suo aspetto formale.

Così si spiega anche perché Kyrou, a proposito del suo cinema "ideale", ha insistito molto sulla messa in campo del "contenuto latente".

La proposta teorica che ci viene da questi film - a volte forse in maniera inconsapevole - sta proprio in questo rifiuto della tecnica, nel senso proprio di techne, arte, a profitto del contenuto, ma non nei termini semplicistici e superficiali che si potrebbe pensare. [.] Ora, l'abbandono dei canoni espressivi propri del cinema d'arte - come, in genere, l'abbandono di tutti i canoni espressivi propri di tutte le arti tradizionali - e l'utilizzazione del mezzo allo scopo preciso di costruire immagini e ritmi, in quanto queste e quelle sono l'estrinsecazione fisica di una esperienza interiore, porta il film surrealista su un piano analogo a quello della «scrittura automatica», anche se l'analogia è valida soltanto a livello teorico [84] .

L'immagine che ci viene presentata sullo schermo, ci colpisce come materia prima, come "materia bruta", è il riflesso di un pensiero e di una azione vissuta come parte della nostra interiorità. La brutalità dell'immagine ci costringe a guardare la realtà con una ottica inconsueta, ci costringe a guardare e a mettere insieme tutti i contenuti che ci vengono proposti dalla visione filmica, con l'occhio della surrealtà.

Il primo manifesto del surrealismo ci permetteva di illuminare con la luce dello spirito questa notte dell'occhio in costante cattività delle trappole della vita. Ma è stato necessario che André Breton descrivesse questa luce spirituale che è il surrealismo e ne chiedesse l'occultamento profondo perché l'occhio potesse «vedere» tutto quanto c'è di visibile nello spirito [85] .

È ovvio che non siamo abituati a guardare il mondo attraverso questa vista soprasensibile, poiché l'occhio abituale è sempre offuscato e rivestito dalla quotidianità. In questo senso, si potrebbe dire che l'occhio tagliato in due dalla lama del rasoio è la metafora del surrealismo. All'occhio abituale della quotidianità si sovrappone l'occhio surreale, che possiamo invece definire come occhio critico.

La realtà fisica trasportata senza intermediari - o con quella indispensabile mediazione insita nel mezzo tecnico usato - sullo schermo diventa, grazie all'appiattimento prospettico, alla bidimensionalità, alla dilatazione dei rapporti di misura, alla concentrazione e selezione dello spazio, una realtà metafisica: diventa cioè lo strumento per una interpretazione critica della realtà stessa [86] .

Nei film surrealisti, scrive Rondolino, tutta la realtà viene costituita da riferimenti simbolici estremamente elementari, per niente elaborati e brutali, che riportano il reale al livello dell'esperienza quotidiana. Ma la quotidianità di cui parla Rondolino, mescola sogno e realtà, mette insieme immagini irrelate come "la mano mozza e una spiaggia deserta, come quattro carogne di animali e un interno borghese". Questa fusione e questa mescolanza non è tuttavia una fuga nell'irreale, «non si tratta alla fine del rifiuto d'un atteggiamento critico di fronte la realtà, dell'appiattimento di ogni valore, [.] quanto invece del tentativo di coinvolgere lo spettatore nei gradi diversi della sua esperienza di vita: ideologica, morale, sociale, politica, fantastica, onirica ecc.» [87] . Potremmo dire che la tentazione surrealista della totalità dell'esperienza, riportata nell'ambito del cinema, si mostra proprio nel "disprezzo della tecnica" e nella "preminenza del contenuto". Essa si unisce ad un altro aspetto fondamentale del surrealismo, cioè a quello della violenza sistematica che a volte è intollerabile sul piano della visione filmica. Intollerabile soprattutto per la cultura di quegli anni. «L'esempio dell'Age D'or è sintomatico, ma non è il solo» [88] , il film venne censurato per la sua carica eversiva e per il grado di intollerabilità da parte della cultura borghese. Riguardando oggi l'Age D'or ci si stupisce di quella intolleranza, ma allora l'opera intaccava le stesse strutture della società, rompeva con tutti i canoni della rappresentazione, stravolgeva il valore dell'arte e la sua forma.

Questo film resta, a tutt'oggi, la sola impresa di esaltazione dell'amore totale quale io lo considero, e le reazioni violente scatenate dalla sua proiezione a Parigi non hanno potuto che consolidare in me la coscienza del suo incomparabile valore [89] .

È chiaro - scrive Rondolino - che quando anche la critica borghese accolse positivamente le opere, o almeno alcune opere, del cinema surrealista (in particolare Buñuel), non è che queste avessero esaurito la loro missione rivoluzionaria o si fossero progressivamente svuotate del loro contenuto antiborghese, ma piuttosto che quella cultura, vecchia e nuova, aveva ormai assorbito, almeno in parte, sia taluni motivi e temi della polemica surrealista, sia il concetto di un'arte non più privilegiata, ma debitrice della tradizione antiartistica del dadaismo [90] .

I testi che abbiamo preso in considerazione ci hanno portato all'interno di un mondo inconsueto e particolare come quello del surrealismo al cinema. Attraverso di essi ci siamo fatti una idea dello spirito con cui i surrealisti si sono avvicinati a questo mezzo, che è il mezzo più adatto alla costruzione di una immagine che vuole restituire in modo integrale il nostro percepire interiore. Bisognerebbe veramente riflettere su questa eredità del surrealismo, per capire come il nostro vivere quotidiano altro non sia che una piccola parte della realtà. Il sogno, la fantasia, l'immaginazione ci restituiscono tuttavia una realtà che è assai più ampia di quella che siamo abituati a riconoscere nella vita cosciente Come ci hanno insegnato i surrealisti questa realtà, quando riusciamo a vederla, è innanzi tutto una realtà corporea che difficilmente può essere espressa con le parole del linguaggio verbale. Per definirla i surrealisti hanno usato il termine surrealtà, ed hanno provato a raccontarla attraverso la poesia, la pittura e il cinema. E certamente non è un caso, poiché questi tre ambiti dell'arte sono legati all'immagine e alla immaginazione, ma anche alla corporeità dell'immagine stessa. Essendo la surrealtà una realtà psicofisica costituita da una profondità, da uno strato impenetrabile e anche inaccessibile, è ovvio che il solo esercizio della ragione non può restituirci un'immagine di essa. Il surrealismo cinematografico, come dice Rondolino, è una realtà metafisica, una vista superiore che si pone come strumento per una interpretazione critica della realtà, e ciò conferma il nostro punto di vista, che pone il surrealismo come spazio di mediazione tra razionale e irrazionale, tra corporeità e immaginazione; spazio che con altre parole abbiamo definito mistico-profano.


*Il termine "critico-espressivo" viene utilizzato da Mario Pezzella in Estetica del cinema, Il Mulino, Bologna, 1996.

[1] Come esempio ricordo qui il lavoro di Auro Bernardi, L'arte dello scandalo (Bari 1982, premio «Pasinetti Cinema Nuovo»), dedicato all'opera di Buñuel e, in particolare, a L'âge d'or.

[2] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, Le terrain vague, 1963.

[3] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, Ėditions Seghers, Paris, 1976.

[4] A tale proposito è molto importante la figura di Jean Epstein, come filosofo, teorico del cinema e cineasta. Come scrive Jaques Aumont, Epstein è una figura assai diversificata che difficilmente può essere collocata all'interno di uno specifico movimento d'avanguardia come il surrealismo, il futurismo o il costruttivismo.

Secondo Epstein, il cinema si presenta come un vero e proprio laboratorio di analisi, una lente sul mondo e sull'uomo che indaga minuziosamente la nostra realtà quotidiana, la scompone, ne altera i movimenti, ne espande o contrae lo spazio, il tempo e la durata. Attraverso, l'accellerato, il rallentato, l'ingrandimento, il primo piano, le sovrapposizioni d'immagini e la riproduzione inversa, il cinema penetra fin dentro le pieghe più nascoste dei sentimenti e dell'affettività, mostra quanto sia esile il filo che separa il mondo organico da quello inorganico, quanto sia astratto e mobile il concetto di identità e il principio di non contraddizione. In esso cadono tutti i rapporti di causa-effetto, è una forma di conoscenza, superiore alla stessa conoscenza razionale, uno strumento come il microscopio che ci permette di cogliere taluni aspetti della realtà che altrimenti rimarrebbero sconosciuti alla nostra percezione naturale. In Epstein e, più in generale, in tutti i filosofi che in un qualche modo hanno vissuto in prima persona o si sono confrontati direttamente con la cultura surrealista, vi è il netto rifiuto di pensare la realtà come una Totalità ben strutturata e ordinata, come una struttura chiusa e autoreferenziale, così come ci viene presentata dalla scienza tradizionale di stampo positivista.  cfr. Jean Epstein, Ècrits sur le cinéma, Paris, Seghers, 1974 - 1975, 2 voll. ; Jean epstein. Cinéaste, poète, philosophe, sous la direction de Jacques Aumont, Paris, Cinémathèque Française, 1998. ; Jean Epstein, Spirito del cinema, Bianco e Nero editore, Roma, 1955. ; Laura Vichi (a cura di), L'intelligenza di una macchina : omaggio a Jean Epstein, catalogo, Università degli studi di Bologna 2000.

[5] M. Pezzella, Estetica del cinema, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 9 : «Il cinema è la sola arte capace di esprimere adeguatamente l'esperienza della tecnica e i suoi effetti sulla percezione. [.] Per comprendere in che modo il cinema riesca a «visualizzare» la natura delle «macchine moderne», occorre comprenderne la natura complessa, in bilico tra due tendenze profondamente discordi. La «tecnica prima» - nella terminologia di Benjamin - deriva dall'impotenza originaria dell'uomo di fronte alla natura e dal tentativo di attenuarne la minaccia. In questo senso, essa conserva un legame di continuità con la magia arcaica, che prefigura la ragione strumentale e il suo sforzo di dominare l'estraneità del cosmo. Esiste anche una «tecnica seconda», che tende invece a diminuire la discordia con la natura, potenziando le capacità estetiche e ludiche dell'uomo. [.] Se è vero che il cinema è in primo luogo l'espressione di un simile spirito, dovremo aspettarci di trovare in essol'ambiguità che lo contraddistingue. Un'istanza magica che tende a confermare fascinazione e accecamento si opporrà a una istanza espressiva che invece libera e intensifica le potenze percettive e psichiche dell'umanità. La storia del cinema è fin dall'inizio divisa fra la tendenza apologetica dello spettacolo e quella critica dell'espressione».

[6] G. Rondolino / D. Tomasi, Manuale del film : linguaggio racconti analisi, UTET, Torino 1995, p.160-161.

[7] Mario Pezzella prende questa formula da Roland Barthes (L'ovvio e l'ottuso) per indicare ciò che non può essere ridotto alla pura presenza.

[8] M. Pezzella, Estetica del cinema, op. cit., pp.84 85.

[9] Ivi, pp. 85 86.

[10] Ivi, p. 89.

[11] R. Mazzoni e F.Ghiselli, Robert Desnos e il meraviglioso moderno, Edizioni ETS, Pisa 1995, p.18.

[12] L. Buñuel. Dei miei sospiri, op. cit., p.113.

[13] M. Pezzella, Estetica del cinema, op. cit., p. 14.

[14] Ibid.

[15] R. Mazzoni e F.Ghiselli, Robert Desnos e il meraviglioso moderno, op. cit., p. 37.

[16] M. Pezzella, Estetica del cinema, op. cit., p. 15.

[17] Ibid.

[18] W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it., Einaudi, Torino, 1966, p. 42.

[19] Vedi sopra, capitolo secondo, nota 55, p. 79.

[20] M. Pezzella, Estetica del cinema, op. cit., p. 22.

[21] Ivi, p. 77.

[22] Ivi, p. 22.

[23] Ibid.

[24] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, Ėditions Seghers, Paris, 1976. p. 22 : «Entre les produits cinématographiques inventés par Dada et les films proprement surréalistes, il existe en fait le même rapport dialectique et historique qu'entre les deux mouvements. Très sommairement, Dada fait table rase, ce qui va permettre au surréalisme d'entreprendre la création d'un nouvel univers. Vues de Sirius, assurément, les deux instances peuvent paraître étroitement liées, comme les deux étapes successives d'un même processus révolutionnaire: non seulement elles ont quantité de points communs, mais on retrouve dans leur rangs les mêmes Hommes. Dans ces conditions, comment déterminer où commence le surrèalisme et où finit Dada? Il faut admettre que peu à peu «la pratique de l'incohérence a forcé les portes de l'inconscient» (Henri Béhar). Cette formule s'applique parfaitement au domaine de l'écran. En matière de cinéma, les quelques initiatives dadaïstes se sont bornées à une dislocation systématique des notions régnantes et de l'idée de film, par le recours à l'incohérence et à la dèrision. Et c'est sur ce terrain rasé, déblayé, nivelé, que le surréalisme va pouvoir tenter de construire un cinéma complètement différent, qui ne soit plus fondé sur la rationalité supposée du réel, mais sur les richesses imaginaires et oniriques de l'inconscient. Autrement dit les surréalistes vont poursuivre le travail commencé par Dada, mais en allant beaucoup plus loin et en témoignant d'une foi beaucoup plus ardente dans les possibilités du film».

[25] A. Breton, Les pas perdus, Éditions Gallimard, 1969, p. 162.

[26] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, Le terrain vague, 1963, p.12.

*Questa parte è tratta da una conferenza tenuta da M. Merleau-Ponty il 13 marzo 1945 all'istituto d'Alti Studi Cinematografici di Parigi. Essa è stata pubblicata, con il titolo, Il cinema e la nuova psicologia in, Senso e non Senso,  Saggiatore, Milano, 1967, p. 69 e sgg.

[27] M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, tr. it., op. cit., p.71.

[28] Ivi, p.75.

[29] Ivi, p.76.

[30] Ibid.

[31] Questa citazione è tratta da G.Rondolino, D.Tomasi, Manuale del film : Linguaggio racconto analisi, op. cit., pp. 179-180. Cfr. anche J.Mitry, Storia del cinema sperimentale, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1971, p. 117 : «Per Vertov, il montaggio era un'«organizzazione del caso», un modo di costruire con l'imprevisto, ma pur sempre un metodo di costruzione. Con Kuleshov divenne un principio, una forma di linguaggio, una scrittura».

[32] M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, op. cit., p.76.

[33] Ibid.

[34] M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, op. cit., p.78.

[35] Ivi, p. 79.

[36] Ivi, p. 80.

[37] Ibid.

[38] Ibid.

* I testi sul cinema che vengono presi in considerazione in questa sezione, nonostante le loro pubblicazioni siano ormai datate (Ado Kyrou 1963; Jean Mitry 1971; Gianni Rondolino 1972; Alain e Odette Virmaux 1976), sono ancora i testi fondamentali per comprendere, da un lato, il legame tra la poetica surrealista e il cinema, dall'altro, per comprendere le caratteristiche nuove che emergono nel cinema surrealista. Questa sezione è stata concepita come un dialogo tra questi testi, che trattano la medesima materia, ma con sfumature diverse.

[39] G. Rondolino, L'occhio tagliato, Editore Martano, Torino, 1972, p. 20.

[40] Ivi, p.28-29.

[41] Ivi, p.25.

[42] Ivi, p.28.

[43] Ivi, p.27.

[44] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, Ėditions Seghers, Paris, 1976, p. 8.

[45] Ibid.

[46] Ibid.

[47] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 13.

[48] Cfr. Comme dans un bois in, A. Breton, La clé des champs, Jean-jacques Pauvert, 1967, pp. 290 e sgg. ; cfr. anche la traduzione italiana in, I. Margoni, Breton e il surrealismo, op. cit., pp.716-717 : «Allora noi vedevamo nel cinema, comunque fosse, solo una sostanza lirica che bisognava agitare in blocco e a casaccio. Ciò che in esso apprezzavamo di più, a tal punto che ci disinteressavamo di tutto il resto, era credo, il suo potere di spaesamento. Questo spaesamento avviene a vari livelli, intendo dire che ammette diverse gradazioni. La meraviglia, al cui confronto il merito d'un film determinato è ben poca cosa, risiede nella facoltà accordata al primo che capita d'astrarsi dalla sua propria vita quando ne ha voglia, almeno nelle grandi città, non appena abbia varcato una di quelle porte imbottite che danno sul buio. Dal momento in cui ha preso posto fino a quello in cui scivola nella finzione che si svolge sotto i suoi occhi, egli passa per un punto critico non meno cattivante e inafferrabile di quello che unisce la veglia al sonno (il libro e anche il teatro sono incomparabilmente più lenti a produrre questo scatto.) Com'è che lo spettatore solitario cui alludo, sperduto fra altri sconosciuti senza volto, aderisce subito insieme con essi a un'avventura che non è né la sua né la loro? Quali radiazioni, quali onde, che forse non sfiderebbero qualsiasi tracciato, permettono quest'unisono? C'è da meditare su quanto si potrebbe intraprendere grazie a questa costellazione, finché dura. Si può andare al cinema cos' come altri vanno in chiesa, e io penso che, in una certa prospettiva e in modo del tutto indipendente da ciò che vi si proietta, è al cinema che si celebra il solo mistero assolutamente moderno».

[49] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p.15.

[50] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, Le terrain vague, 1963, p.181: «Ainsi, bien avant la rédaction du premier manifeste, le promoteur du mot «surréalisme», Guillaume Apollinaire, proclama-t-il dans des critiques l'importance des films de Feuillade. Depuis, tous les surréalistes s'intéressèrent au cinéma, et, à des degrés divers (par leurs collaboration à la réalisation de films, par leurs scénarios ou par leurs propres écrits), firent avancer l'expression cinématographique dans le sens - faut-il l'ajouter? - qui nous intéresse».

[51] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 17 e sgg. : «Mais le goût du «ciné» ne constitue pas le seul point de rencontre, à ce niveau, entre les surréalistes et Apollinaire. Comme eux et avant eux, l'auteur d'Alcools aura cru passionément à l'avenir du film. [.] Si des hommes comme Artaud ou Desnos entretiendront avec l'univers cinèmatographique des relations de quelque durée, c'est aussi parce qu'il semblait alors tout à fait admis que le cinéma était devenu l'affaire des poétes».

[52] G. Rondolino, L'occhio tagliato, op. cit., p.15.

[53] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 21.

[54] G. Rondolino, L'occhio tagliato, op. cit., p.16 : «Diciamo piuttosto un oggetto del dadaismo. In questo senso possiamo allineare, a fianco di quadri o pseudo-quadri, di poesie o pseudo-poesie e così via, anche film o pseudo-film, cioè ottenuti con la tecnica della cinematografia».

[55] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, op. cit., p. 174: «Le premier film de Man Ray, le Retour à la raison (1923), fut rèalisé pour être présenté à la célèbre soirée dada du «Cour à Barbe». Premier film français rèalisé en marge des voies commerciales, le Retour à la raison (titre dont l'ironie manifeste rappelle le titre de la reveu Littérature) a été tourné (plutôt impressionné) en une seule nuit, la veille de la la soirée où il a été projeté. Man Ray, dans le but de choquer et de scandaliser par la négation de tout ce qui se faisait jusqu'alors, filma les mouvements d'une spirale en papier qu'il nommait «abat-jour» et qui est le premier mobile (bien avant Calder), et parsema la pellicule vierge, d'epingles et divers objets usuels tels que boutons et allumettes, qui impressionnèrent la pellicule de telle façon qu'à la projection, on avait l'impression d'assister à une curieuse chute de neige métallique. Un corps de femme nue et des lumières de foire sont les seuls élément concrets de ce film qui, par sa nouveauté et par sa volonté de détruire le «spectacle» cinématographique, provoqua un des plus grands scandales de l'histoire dadaïste».

[56] J. Mitry, Storia del cinema sperimentale, tr. it., Gabriele Mazzotta editore, Milano, 1971, p. 141

[57] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., pp. 22-23.

[58] A. Breton, Come in un bosco, in I. Margoni, Per conoscere Andrè Breton e il Surrealismo, Mondadori, 1976,  p.719.

[59] Comme dans un bois in, A. Breton, La clé des champs, op. cit., p. 292.

[60] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 25.

[61] Comme dans un bois in, A. Breton, La clé des champs, op. cit., p. 295.

[62] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 307.

[63] Ivi, p. 308.

[64] Ivi, pp. 310-311.

[65] Ivi, p. 24.

[66] Ivi, p. 25.

[67] Ivi, p. 318.

[68] Ibid.

[69] Ivi, p. 323.

[70] Ivi, p 27.

[71] Ivi, p. 28.

[72] La Coquille et le Clergyman, è stato realizzato da Gemaine Dulac, sulla sceneggiatura di Artaud. Prima della sua uscita (febbraio 1928), nacque la controversia relativa al titolo e in particolare intorno alla parola "rêve". Infatti, la Dulac aveva previsto come titolo: «la Coquille et le Clergyman, rêve d'Antonin Artaud, composition visuelle de G. Dulac». Artaud reagì e la Dulac, infine decise per questa formula: «scénario d'Antonin Artaud, réalisation de G. Dulac».

[73] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, op. cit., p.183.

[74] Ibid.

[75] J.Mitry, Storia del cinema sperimentale, op. cit., p.142 : «Non meno dadaista fu l'Anemic Cinema di Marcel Duchamp (Anemic è l'anagramma di cinema) in cui personaggi reali - delle donne, un soldato, una statua, - intervenivano a caso per mezzo di dischi girevoli detti «rotoreliefs», i quali erano soltanto un ritorno alle forme geometriche semplicemente modificate dalla rotazione e dagli effetti stroboscopici (1926)».

[76] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, op. cit., p.184.

[77] A. et O. Virmaux, Les surréaliste et le cinéma, op. cit., p. 30-

[78] Ivi, pp. 38-39.

[79] G. Rondolino, L'occhio tagliato, op. cit., p. 30.

[80] A. Kyrou, Le surréalisme au cinéma, op. cit., p. 183 : « [.] mais Germaine Dulac trahissant l'esprit d'Artaud, en fit un film féminin».

[81] Ibid.

[82] G. Rondolino, L'occhio tagliato, op. cit., p. 31: «Di qui la necessità di privilegiare i contenuti. Le immagini diventano a volta a volta il supporto di un messaggio rivoltoso, anarchico, antiborghese, anticlericale, oppure d'una esaltazione dell'individualismo o, dell'amore - l'amour fou - della morte. La forma, sembra vogliano dire i surrealisti, distrugge la sostanza: la bella immagine, il virtuosismo tecnico-espressivo, le sovrimpressioni e il raffinato ritmo del montaggio, la «sinfonia visiva», sono elementi formali estranei al discorso violento che si vuol fare, anzi ne  annullano la portata rivoluzionaria, ne riducono grandemente la forza d'urto, trasformano un grido di rivolta in un melodioso canto di battaglia. L'immagine e la sequenza possono avere invece, nella loro concretezza visiva e ritmica, l'immediatezza della realtà bruta, e su di essa, all'interno di essa, è possibile costruire una nuova realtà, la «surrealtà» capace di smascherare la falsità e i miti contenuti nella realtà come ci viene presentata da una determinata cultura, educazione, arte, ideologia ecc.».

[83] Ivi, p. 32.

[84] Ivi, p. 31

[85] M. Nadeau, Storia e antologia del surrealismo, op. cit., p. 267. Vedi capitolo primo nota 55.

[86] Ivi, 32.

[87] Ibid.

[88] Ivi, 34

[89] A. Breton, L'amour fou, tr. it., Einaudi, Torino, 1974, pp. 92-93.

[90] Ibid.

 

Logo Parol
© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia
Per qualsiasi utilizzo delle risorse presenti sul sito contattare la redazione
Site designed and managed by Daniele Dore