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SEMINARIO

ALLA RICERCA DELL'INVISIBILE

NELLE POETICHE DELLE AVANGUARDIE STORICHE

2002/2003

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA POETICA

DI MARCEL DUCHAMP

Di Renzo Principe.

La congiunzione tra arte e pensiero scientifico è un elemento fondamentale di tutta la cultura del Novecento che investe non solo l'idea stessa di progresso e modernità, il così detto modernismo, ma cambia radicalmente la collocazione dell'arte all'interno della conoscenza estetica. Da questo punto di vista, le avanguardie artistiche del primo Novecento, rappresentano una elaborazione interna all'arte, alla conoscenza poetica, volta ad integrare le innovazioni scientifiche, filosofiche e tecniche, che andavano prepotentemente trasformando la cultura europea di fine Ottocento. Non si è più certi di poter fondare la realtà su postulati puramente astratti, teorici o metafisici; cade la razionalità cartesiana proprio su quella inconoscibilità della materia (del mondo sensibile e del corpo) così tenacemente espulsa dalla cultura occidentale e, con essa, cade anche tutto il pensiero positivo che aveva fondato le proprie idee sulle certezze del pensiero illuminista. Non solo Einstein, sferra un colpo mortale alla certezza del Logos, ma in questa stessa direzione si ritrovano sul medesimo cammino, la Fenomenologia, le nuove teorie scientifiche e soprattutto le nuove concezioni sul tempo, sullo spazio e sulla relatività di ogni possibile sapere e conoscenza. Tra gli artisti del Novecento che più di ogni altro hanno fondato la propria poetica nella congiunzione tra arte e pensiero, tra arte e speculazione scientifica, ritroviamo Marcel Duchamp.

Non è un caso che le opere di Duchamp del 1911-12-13, come i suoi famosi nudi (Nu descendant un escalier, del 1912 e di proprietà della collezione W. Arensberg), partono proprio da una critica interna al cubismo o, se vogliamo, da una visione non statica della prospettiva cubista. Alla spazialità cubista, pluriprospettica, Duchamp aggiunge la temporalità propria della concezione futurista, il movimento, ma con un interesse del tutto opposto e antitetico a quello dei futuristi. Se per i futuristi il macchinismo è una esaltazione del progresso e della continuità (anche se i futuristi si pongono, in arte, contro la tradizione), per Duchamp, al contrario, rappresenta un regresso. Infatti le "macchine inutili" di Duchamp, come i ready-mades o i giochi di linguaggio e le sue performance, sono congegni che mettono a nudo la strumentalità del pensiero e del linguaggio discorsivo; funzionano secondo logiche non razionali non entrate nell'uso, rompono i rapporti causali tra gli oggetti e gli eventi e ci mettono di fronte a un mondo spazio-temporale diverso da quello che siamo abituati a cogliere, con i nostri sensi, nell'ambito della vita quotidiana. L'opera di Duchamp, quindi, è una denuncia forte del tecnicismo razionale dell'epoca, che sfocia nella distruttività della macchina da guerra messa in opera dalle potenze europee; prefigura un mondo leggero, ironico gioioso e giocoso, un mondo dove l'arte svolge una funzione primaria, che è quella dell'esercizio del pensiero. Far pensare e ritrovare nuovi schemi concettuali è la funzione che Duchamp assegna alla sua poetica e che egli stesso definisce poetica dell'indifferenza, del distacco dal mondo degli oggetti precostituiti e strumentali. Ciò che vale, per la sua poetica, è tutto ciò che ha perso il proprio valore referenziale e che può essere reinserito in un nuovo ambito di valori non riconosciuti dalla tradizione. Rompere con la tradizione, non solo in pittura, ma nella vita, è l'opera a cui Duchamp ha maggiormente aspirato. A differenza dei surrealisti, l'inventore dei ready-mades, cerca la leggerezza dell'essere (questo stato in cui le cose si corrispondono e perdono i loro confini stabiliti), non tanto nel mondo enigmatico e sommerso del subconscio, quanto nel gioco, nella sospensione del giudizio e nell'humor. È per questo motivo, che Duchamp cerca nella scienza del suo tempo una nuova dimensione (un luogo non luogo, si potrebbe dire oggi usando un concetto caro a Marc Augé), in cui collocare le cose del mondo e mostrarle attraverso una specularità, uno specchio, un Grande Vetro, dove si riflette una trasparenza impossibile, un gioco tra presenza e assenza che mostra il vero senso delle cose.

L'interesse per la Quarta dimensione, che agli inizi del Novecento era esplosa dopo la teoria di Einstein, "ci derivava - scrive Duchamp - dal desiderio di sfuggire la banalità della routine". Duchamp pensa l'arte su una scala più ampia, come qualcosa di totale che coinvolge la totalità dell'agire umano. A tale proposito, supera le idee convenzionali e tradizionali, che sono paradigmaticamente espresse, in pittura, dalla corrente impressionista, ma anche da certe concezioni cubo-futuriste. Il gesto di negazione dadaista di Duchamp, nei confronti dell'arte retinica, è un gesto contro un'idea di arte interamente pensata al servizio dei sensi, al servizio dell'occhio. In questo caso - dice Duchamp - ci troviamo di fronte ad un atteggiamento superficiale dell'arte che tocca solamente la pelle della realtà. Contro l'arte del "cavalletto" egli pensa che il valore artistico debba essere ricercato, non tanto in rapporto ai sensi, quanto piuttosto in rapporto al pensiero, al concetto. Duchamp è l'uomo delle intuizioni geniali e la grandezza della sua opera e della sua esistenza è quella di avere posto come elemento primario della poetica la scelta  dell'artista che concettualizza un mondo che sta dietro al mondo dei fenomeni. Arte dunque come conoscenza superiore della mente; oppure come linguaggio, veicolo e segno comunicativo polisenso, come vita, come esperienza sociale e scientifica. Superata la prima fase di formazione artistica, in cui Duchamp attraversa tutti gli stili e ripercorre tutte le scuole pittoriche del suo tempo (dall'impressionismo al cubismo, dal fauvismo all'influenza di Cézanne), Duchamp mette a punto una nuova concezione circa il valore dell'arte che lo conduce dalle "fredde speculazioni astratte" sulla quarta dimensione alla messa in opera del Grande Vetro (La Mariée mise à nu par ses célibataires, même) 1915-23.

Il punto di partenza di tale processo - scrive Artur Schawarz - potrebbe essere l'interesse di Duchamp per le nuove teorie scientifiche che prefigurano uno spazio-temporale a quattro dimensioni dove l'ombra proiettata da una figura quadridimensionale, nel nostro spazio, è una figura tridimensionale. Ciò che noi consideriamo come qualcosa di reale e tridimensionale, in realtà non sarebbe altro che l'ombra, il sigillo direbbe Giordano Bruno, di una realtà più ampia che ci possiamo immaginare solo con l'occhio della mente, mai con i sensi. Questo problema di ordine metafisico risalente a Platone, alla fine dell'Ottocento, è suscettibile di divenire oggetto di analisi di una teoria scientifica. All'intuizione romantica Duchamp sostituisce ciò che è "esteticamente vecchio e soggettivo" con il nuovo e "più obiettivo".

Cosa è il nuovo e più obiettivo?

Non è altro che il disegno meccanico, infatti Duchamp compie uno spostamento dalla pittura al tratto lineare e schematico del disegno meccanico, perché in esso il gusto viene depurato dal tratto essenziale. Duchamp si scaglia contro l'idea di gusto, perché è qualcosa di negativo che non produce una nuova creazione; le idee nuove non vengono tutti i giorni e la maggior parte dei grandi pittori, conformando il proprio stile al gusto dominante, non fanno altro che ripetersi, non fanno altro che ripetere la medesima idea. È così che si forma, in una determinata epoca, una certa concezione del bello che diviene una moda, una consuetudine, una convenzionalità e una tradizione. Rendere il più possibile anonima (meccanica) l'opera d'arte è il primo passaggio che Duchamp compie nella ricerca di uno spazio-tempo nuovo. Non è un caso che egli abbia creato diverse macchine inutili, come la macinatrice di cioccolato, rendendole sempre più rarefatte, cioè viste alla luce di una nuova dimensione, sotto un angolo visuale non umano (disumanizzazione dell'arte dice Ortega y Gasset), che si caricano di ironia e di humor noir.

In Duchamp è fin da subito presente il senso di annientamento operato dalla tecnologia nei confronti della natura; per questo motivo i ready-mades sono macchine il cui funzionamento è liberato da ogni possibile rapporto con il senso e il significato. Sono congegni a-significativi che si pongono tra senso e non senso e smascherano i meccanismi perversi della modernità. Secondo Duchamp anche il linguaggio è un meccanismo perverso. Noi non possiamo mai comunicare senso attraverso il linguaggio discorsivo, poiché esso è valido, come veicolo di senso, solo se colto nel suo valore poetico. Così la parola, in Duchamp, entra a far parte dell'opera, ma è una parola che inganna, che non corrisponde più a ciò che essa deve rinviare. È una traslazione che pone il senso in uno spazio vuoto infinitamente aperto, al confine tra ciò che si vede e ciò che sta dietro l'immagine. Traslazione che Duchamp compie anche nei confronti dell'oggetto materiale. Quindi il distacco nei confronti dell'oggetto equivale ai giochi di parole creati da Raymond Roussel, da Alfred Jarry o da Brisset, che sono artifici di omofonia attraversati da accostamenti di elementi eterogenei.

È a questo che mira la poetica dell'indifferenza: indifferenza per il gusto, per il senso precostituito, per gli oggetti presi nel loro uso comune; è ricerca di nuovi spazi conoscitivi, di nuove tecniche e materiali, di nuovi colori, di nuove leggi, di nuove trasparenze, di nuovi rapporti dove l'immagine del mondo viene ad essere incorporata in una opera d'arte. 

 

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