Giovanni Stefano Savino, Anni solari II (poesie scelte 2002-2004), Firenze, Gazebo, 2004, pp. 430.
di Laura Toppan

 

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Dopo la pubblicazione di Anni solari, poesie scelte, 1999-2002, Giovanni Stefano Savino ci offre la continuazione di questo suo grande progetto con il volume anni solari II, che raccoglie alcune poesie composte tra il 2002 e il 2004. La selezione è stata fatta su ben 26 raccolte e in una nota all'edizione Gazebo (collana curata da Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, «due ali di colomba») leggiamo: «Savino ha nel cassetto ottanta libri di poesia (77 o 106 poesie per libro), scritti dall'agosto 1993 all'agosto 2004».
I numeri balzano agli occhi, a testimoniare dell'urgenza dell'autore di esprimersi in versi, e di una "pratica" giornaliera che segue il ritmo solare delle ore e delle stagioni: «Ritagli di poesia, giorno per giorno, / la dose minima, per rimanere / tra sedia, tavolo, poltrona, sano; / prendo quanto mi basta del passato; / una miniera esaurita il presente / dalla mano del tempo, ricoperta / da pruni; [...]» (da Il Teatro dei soldati, LIII). Savino pare prenderci per mano e delicatamente accompagnarci nella sua intimità quotidiana, nei suoi gesti ripetuti con rigore "da soldato" accanto ai suoi «compagni», gli oggetti della casa. Passato e presente si mescolano e il ricordo della guerra ritorna incessante: «Non cedo la speranza di vedere / con tutti i morti, e i pochi vivi, nuovo / al libro aperto del mare, mattino» (XIV). E le date si trasformano in vivo ricordo: «Liberazione, venticinque luglio, / nascosta nei pensieri più nascosti / come la luce del giorno che viene / a mezzanotte. La notizia giunse / [...] / [...] e divenni un albero / che prende fuoco [...]» (da Le Frange, II).
Il ritmo del verso procede martellando il passare dei minuti e l'interlocutore del poeta, un "tu" il più delle volte al femminile, segna le fasi di passaggio della luce in un'alternanza vita/morte/vita. I luoghi sono toscani, in particolare Firenze, città ove nacque e ove vive Savino e finestra sul mondo: «[...] Dovunque si muore, / sulla terra, e si pena, e si tortura, / e si sciala, e si ride, e si consuma; [...] sono i volti / di uomini e di donne, senza nome / sul passaporto del nostro ricordo, / dove il paesaggio ha un aspetto polare» (da L'osso, XLV). La difficoltà del vivere ritorna incessantemente nei titoli delle raccolte, come La pertica dei giorni, La parete di ghiaccio, L'ostacolo, L'eco ingabbiata, I giorni schiavi, in cui il poeta ci offre la propria "disciplina" nell'atto di resistere alle intemperie della vita: la pratica dello scrivere: «Sulle questioni ultime non vado / oltre una donna e il suo solido pianto; / nulla è cambiato dal tempo del nonno, / [...] / [...] e scrivere mi piace, / e rischio, e malattia non temo e piaga, // "vita puttana, disperata e grande"1» (da Strisce zebrate, XXXII).

 

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Giugno-dicembre 2005, n. 1-2